RBO al Festival Alta Felicità – In dialogo con Louisa Yousfi
Il termine “Barbari” viene utilizzato da Louisa Yousfi nel suo libro “Rester barbares” allo scopo di mettere in luce una trappola: da una parte il paradigma del razzismo proclamato, quello dell’estrema destra che definisce barbari i soggetti razzializzati e dall’altro lato il razzismo integrazionista, quello per cui occorre essere dei “buoni selvaggi”educati per essere all’altezza dei bianchi. Che significato ha dunque questa integrazione? A chi conviene?
Il discorso integrazionista occidentale fa un proposta indecente alle masse di persone non bianche che abitano i suoli europei: se volete fare parte di questa società dovete rompere con tutto ciò che riguarda le vostre origini e la vostra cultura, dovete diventare i soldati dell’impero che vi distrugge e abbandonare la vostra barbarie originale. Ma accettando questa offerta ci si rende conto ben presto che non ci si è spogliati della barbarie, semplicemente ne si è assunta una più congeniale alla morale occidentale, la barbarie coloniale, genocidaria e schiavista che grava sui Paesi occidentali. Per diventare Uomini e Donne bisogna assumere la barbarie dei Bianchi.
Diventa facile comprendere che “barbari” è un modo di nominare l’alterità radicale dei soggetti razzializzati, ciò che non è compatibile con la morale bianca degli imperi coloniali europei. Ma la barbarie è anche quell’aspetto della propria identità di soggetti razzializzati che è stato impossibile colonizzare e adeguare ai principi morali della Republique, è il luogo della dignità e della resistenza delle popolazioni nere, arabe e musulmane. Proprio da ciò nascerà l’antagonismo irriducibile che permette di elaborare un progetto politico in grado di essere all’altezza di una trasformazione radicale della società e di ribaltare i rapporti di dominazione esistenti, praticando un’alternativa possibile.
Il discorso egemonico dei nostri tempi parla di integrazione come un miglioramento dello status degli indigeni, dove tutto ciò che è disfunzionale, come il terrorismo, viene rinviato automaticamente all’identità delle popolazioni razzializzate: le ragioni del terrorismo vengono legate alla cultura dei paesi arabi, alla loro religione. Raramente si prende in considerazione il fatto che i giovani che si sono resi protagonisti di questi atti siano francesi cresciuti e formati all’interno del paradigma integrazionista francese, immersi nei valori e nella cultura della Republique.
Il movimento decoloniale crea un nuovo terreno politico, nuove strategie e una nuova agenda politica propria delle popolazioni razzializzate che sia aderente ai propri interessi, non in quanto lotta settoriale ma in quanto lotta che ha la possibilità di portare un progetto di società collettiva. Oggi in Francia vediamo ostilità anche da parte della sinistra, perché c’è il tema della leadership, c’è il tema di chi si pone in qualità di avanguardia della composizione razzializzata che è anche quella proletaria. Sono tutte tematiche su cui i movimenti oggi stanno lavorando. In generale, i movimenti decoloniali si iscrivono in una fase in cui l’Occidente sta mostrando le sue faglie, nonostante costruisca la propria solidità da secoli sulla “barbarie occidentale”, ossia la capacità di narrare della propria innocenza davanti alle guerre, all’esportazione della democrazia, all’imposizione della propria dominazione, nascondendola dietro all’elargizione dei diritti. Il progetto occidentale è oggi sempre meno credibile. Vediamo la costruzione di una controegemonia portata avanti dai movimenti decoloniali, contestualmente a un’avanzata delle destre più estreme, come in Francia. Il declino della narrazione dell’innocenza occidentale non è sufficiente in sé per fare crollare il sistema come lo conosciamo oggi. Anzi la fine di questo racconto può avere risvolti ancor più drammatici, come la fascistizzazione della società. E’ fondamentale quindi che siano le lotte a determinare il suo nuovo ordine e sviluppo.
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