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Da Napolitano a Grillo. Il ruolo detonatore dei movimenti

Nel suo precedente mandato, Napolitano ha interpretato ruoli molto diversi all’interno degli equilibri tra organi costituzionali: fino a quando la maggioranza parlamentare era forte e compatta, il presidente si è limitato a controfirmare gli atti che i ministri gli sottoponevano (ha infatti fatto scarsissimo uso- una sola volta in 5 anni- del potere di rinvio alle camere), mentre al momento della crisi di governo ha assunto poteri di indirizzo politico nominando Monti come premier di un governo tecnico. Dal punto di vista giuridico non si possono far molte critiche a questo modo di procedere, dal momento che è proprio del nostro sistema sbilanciarsi verso il capo dello Stato quando non vi è coesione nel Parlamento. Secondo la nostra architettura costituzionale tanto più forte è il Parlamento tanto più debole è il Presidente della Repubblica, e viceversa. Si può dunque dire che la torsione verso una sorta di “presidenzialismo d’emergenza” è pienamente inscritta nelle regole della nostra democrazia parlamentare, dal che ne consegue che le nostre critiche sono dettate  da valutazioni squisitamente politiche. Il punto di partenza è infatti la comprensione dei rapporti di forza che sono alla base della strutturazione politica di uno Stato, la comprensione cioè che la decisione costituente del governo di un paese si radica ed è espressione delle forze  dominanti, a livello economico e sociale, in quel dato momento storico.

Perciò diciamo che il neo eletto Presidente è stato solo uno strumento di giochi ed equilibri economici e politici, in parte estranei ai centri di potere nazionali. Napolitano ha incarnato e si è fatto portavoce del neoliberismo europeo ed internazionale il quale, attraverso le emergenze economiche e sociali da lui stesso create, si impone in tutta la sua forza (forza di Stato, forza di legge) scaricando i costi della ristrutturazione sulle categorie socio-economiche subalterne, inasprendo dunque le condizioni materiali di vita di tutti. La crisi sistemica, in cui imperversano le economie occidentali, pesa su tutti perchè: se le crisi cicliche erano momento necessario, non solo per aggredire nuovi territori e conquistare nuovi mercati ma, anche per riaffermare come naturali e ineludibili le regole del mercato (per cui bastavano le politiche Tatcheriane e le riforme di Amato), oggi è evidente che sarà necessario cambiare anche i regimi di governo, oltre che incidere sulla struttura produttiva.

Sta di fatto, che i mercati sono spaventati dall’instabilità politica e la necessità di tranquillizzarli diventa il valore ultimo dell’attività degli organi politici: sopire le preoccupazioni delle borse attraverso segnali di continuità. Napolitano è il nostro segnale di continuità!

[ D’altra parte, per tirare questo genere di conclusioni non bisogna neanche più saper leggere tra le righe dal momento che è lo stesso Napolitano ad esplicitarle nel suo discorso di insediamento: “La rielezione, per un secondo mandato, del Presidente uscente, non si era mai verificata nella storia della Repubblica, pur non essendo esclusa dal dettato costituzionale, che in questo senso aveva lasciato – come si è significativamente notato – “schiusa una finestra per tempi eccezionali”.Ci siamo dunque ritrovati insieme in una scelta pienamente legittima, ma eccezionale. Perché senza precedenti è apparso il rischio che ho appena richiamato : senza precedenti e tanto più grave nella condizione di acuta difficoltà e perfino di emergenza che l’Italia sta vivendo in un contesto europeo e internazionale assai critico e per noi sempre più stringente. Bisognava dunque offrire, al paese e al mondo, una testimonianza di consapevolezza e di coesione nazionale, di vitalità istituzionale, di volontà di dare risposte ai nostri problemi : passando di qui una ritrovata fiducia in noi stessi e una rinnovata apertura di fiducia internazionale verso l’Italia.]

Il “vecchio” presidente esprime chiaramente la volontà di consacrare la necessità (ad esempio di assicurare governabilità in un momento di emergenza) come valore ultimo dell’agire politico delle istituzioni, come giustificazione a posteriori di qualunque decisione politica: la necessità, insomma, diventa fonte di legittimità; nel nostro caso legittimità di procedere al rafforzamento del ruolo dell’esecutivo, governo o capo dello Stato poco cambia, a scapito di quello legislativo.

Seguendo il filo di questo ragionamento, individuiamo nella nomina del governo Monti uno dei passaggi più salienti dell’imbarbarimento, della vita politica italiana. Infatti la spoliticizzazione della vita pubblica, la presunta neutralità delle posizioni e delle decisioni di fronte all’emergenza, auspica governi tecnici e chiede a gran voce che negli organi istituzionali non siedano politici di professione, ormai generalmente riconosciuti come una casta, ma tecnici che sanno usare strumenti adeguati per tagliare, cucire, ristrutturare il paese con apposite manovre “salva Italia”. Il dato da sottolineare è che questo spostamento verso i tecnici porta con sé l’abbandono del concetto di responsabilità politica: solo un professore può tagliare i fondi allo stato sociale senza incorrere nella sanzione della mancata rielezione, come solo un buon padre di famiglia è nel diritto di censurare, inibire, reprimere le aspirazioni del figlio o della figlia in nome del loro bene. Monti e Napolitano rappresentano un vero e proprio processo di infantilizzazione, del quale la struttura economica capitalista si è sempre servita per assicurare in generale il suo dominio e la stabilità delle relazioni gerarchiche, in particolare una costante crescita della ricattabilità lavorativa (ma anche esistenziale) attraverso una altrettanto costante crescita della competitività.

E siamo quindi giunti al secondo ordine di considerazioni: la delegittimazione delle istituzioni. Possiamo iniziare col dire che alla crisi economica iniziata nel 2008 ha fatto da contro altare l’esplosione della crisi della rappresentanza, e dunque delle istituzioni democraticamente elette, dal momento che, come dicevamo prima, oggi si gioca la partita della ridefinizione della forma di governo oltre che del sistema produttivo. Infatti la crisi della rappresentanza, non investe le categorie sociali che da sempre non trovano rappresentazione dei propri interessi (i lavoratori, i disoccupati, i precari) ma, è interna alla classe finora dominante: la borghesia. Non a caso i partiti che si trovano in difficoltà sono quelli che, se un tempo riuscivano a rappresentare gli interessi dell’intera classe borghese, oggi sono invece espressione solo di segmenti della stessa: grande borghesia legata all’economia transnazionale ed europea (PD), grande borghesia legata all’economia domestica (PDL). Se il sistema dei partiti, il loro ruolo all’interno del regime democratico, rappresenta l’ossatura della forma di governo, la loro trasformazione da canali di partecipazione a cordate di interessi rappresenta l’involuzione autoritario-corporativa delle democrazie contemporanee, le quali difatti oggi portano avanti aggressioni neo-coloniali (neanche troppo mascherate, in nome dei diritti umani e della civilizzazione), militarizzano territori interni dilaniati da emergenze ambientali (da L’aquila alla Val susa), rinchiudono nei C.I.E. i clandestini che arrivano sulle nostre coste a causa delle guerre scatenate dallo stesso blocco occidentale.

Tornando all’attualità specificamente italiana, il dato politico di questi giorni che bisogna raccogliere è che, per la prima volta, l’elezione del Presidente della Repubblica (che avviene completamente all’interno del palazzo del potere) è divenuto momento di espressione del disagio della cittadinanza, che infatti si è assiepata davanti a Montecitorio per esprimere la sua opposizione/indignazione verso l’ennesimo “inciucio” tra partiti e poteri forti europei. In quella folla non c’erano solo elettori del movimento 5 stelle incitati dalla miopia politica di Grillo (che ha gridato al colpo di stato) a scendere in piazza, ma, come chiunque abbia avuto modo di rendersi conto facendo una passeggiata lì in mezzo, anche molti delusi del Partito Democratico, di Rivoluzione civica, di Sel e di tutti quelli che ancora credono che i partiti possano essere canale di partecipazione, e strumento di traduzione, degli interessi degli elettori. Raccogliere un dato politico significa anzitutto cercare di interpretare le condizioni oggettive che lo hanno determinato, non tanto per riprodurle, ma per analizzarne le potenzialità. Ovviamente l’analisi non è mai neutra, ma influenzata dal punto di osservazione in cui ci si situa: un osservatore modifica un sistema solamente per il fatto di osservarlo. Dunque il punto di vista da cui partiamo è quello della radicale opposizione al capitalismo, che oggi si presenta nella sua declinazione neoliberista.

Da questo punto di vista ci sembra quindi di vedere nel Movimento 5 Stelle un elemento di continuità: il loro obiettivo è salvare l’Italia dal vero cancro che l’affligge: corruzione e partitocrazia. Inutile sottolineare quanto simile prospettiva politica sia distante da noi, anche perchè inevitabilmente destinata a sfociare in proposte liberiste che spostano semplicemente le cordate del profitto da una filiera all’altra (ad esempio attraverso la green economy). É elemento di continuità perchè continua a vedere nel Parlamento, nelle leggi e nelle riforme, strumenti per agire il cambiamento di cui crede essersi fatto catalizzatore, mentre invece ripropone la cultura della delega: Grillo decide quando e come protestare o essere visibili nelle piazze, mentre detta la linea del contegno che i “suoi” parlamentari devono tenere durante i lavori delle camere (ad esempio: sabato scorso davanti Montecitorio si sono ritrovate le persone che avevano risposto alla mobilitazione e che spontaneamente credevano fosse giusto esprimere la propria rabbia di fronte a questa ennesima presa in giro. Ma dopo poco tempo, le pressioni che sicuramente ha ricevuto Grillo, hanno prodotto la ritirata dell’appello alla mobilitazione e in primis la diffusione della falsa notizia secondo la quale il presidio si sarebbe spostato a Piazza del Popolo).

Se l’m5s è espressione di qualcosa possiamo dire che ha sicuramente colto e fatto sua l’insoddisfazione, arrivata al suo apice, verso il sistema politico-partitico Italiano e le sue pratiche, e infatti lo stesso sabato in cui Grillo batteva ritirata, poche migliaia di persone sono comunque approdate in piazza per delegittimare la figura di eroe della patria di Napolitano. Tutte le persone che si sono mosse in corteo, da sotto Montecitorio, non vedevano l’ora di urlare e sfogare la rabbia per una situazione insostenibile.

Sembrerebbe dunque corretto dire che, da un po’ di tempo ormai, si è avviato un processo di consapevolezza che evidentemente risulta soffocato, e soprattutto indirizzato verso falsi obiettivi. Se ci sono dispositivi che intercorrono tra l’indignazione e la capacità di mediarla forse dovremmo svolgere semplicemente il ruolo di detonatore. Infatti, se con la morte della prima Repubblica si è delegato alla magistratura l’insoddisfazione, oggi sicuramente migliaia di persone si sono messe in gioco per denunciare e trovare delle alternative. Come si fa a non cogliere questo? Se prima si rifiutavano alcuni partiti che avevano gettato la maschera, oggi è evidente che si rifiuta il partito prima di tutto come dispositivo che non vuole e non può intercettare la domanda politica e riversarla in parlamento, perchè questo significherebbe recepire, nella forma concetti come orizzontalità e distribuzione delle responsabilità e delle decisioni e, nella sostanza il rifiuto all’austerity e alla sovranità dei mercati sulla politica.

Crediamo che non ha nessun senso e che dimostra, soprattutto, segni di mancanza di lucidità politica, credere che le persone che in questo momento, come nel recente passato, scendono in piazza, che facciano parte del movimento 5 stelle o meno, siano soggetti da portare da un lato piuttosto che dall’altro, ma sono delle persone insieme alle quali capire e affrontare le prossime mosse per resistere e contrattaccare, non certo per salvare l’Italia alla Grillo, ma per non subire l’austerity ed immaginare una rivoluzione possibile, rifiutando quella programmata.
Quello che Grillo compie come operazione comunicativa è l’ennesima mistificazione del concetto di Politico: convince i suoi seguaci della possibilità che un progetto politico possa essere completamente trasversale, purchè basato sul buon senso e sulla trasparenza. Quello che Grillo non rivela ai suoi seguici è che qualsiasi presa di parola politica è necessariamente di parte, significa proprio prendere posizione.

Ciò che inoltre non è chiaro al M5S è che il processo di costruzione di un pensiero, di una alternativa, di un idea rivoluzionaria si accumula nelle pratiche e non solo nella votazione diffusa o per alzata di mano. Politico è il processo che porta alla costruzione congiunta delle opposizioni. Avviare un processo politico significa avviare un processo di verità, intraprendere cioè una percorso di consapevolezza all’interno del quale le oppressioni e le ingiustizie vengono insieme identificate, nominate e combattute. La sfida che si pone a chi vuol essere protagonista di una rottura rivoluzionaria, il che vuol dire non solo determinare un cambiamento ma anche indirizzarlo, è dunque sempre la stessa: farsi accumulatori della rabbia sociale, catalizzare il processo di coscienza facendoci detonatore.

Degage

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