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Né di destra, né di sinistra…l’ennesimo ricco e potente maschilista!

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Pubblichiamo questo interessante contributo riguardo la grave violenza commessa dal figlio del noto Beppe Grillo nei confronti di una ragazza che ha coraggiosamente preso parola. 

 

‹‹Che cosa si prova a essere una donna? Questo non è un gioco. 

Non finisce con scuse di convenienza e rimpianti indecenti. È una rivoluzione politica›› (E. Dorlin) 

La vicenda della violenza sessuale, denunciata da una giovane ragazza che accusa il figlio del leader del movimento 5 Stelle Beppe Grillo e altri tre uomini, è su tutti i giornali e molto è stato scritto. In questo fiume di parole e inchiostro, risalta il silenzio assordante della politica istituzionale. Non ci sono state prese di posizione forti a sostegno della ragazza che, coraggiosamente, ha deciso che per lei un modo di reagire allo stupro sarebbe stata la denuncia. 

Cosa vuol dire denunciare una violenza purtroppo lo sappiamo tuttə fin troppo bene. Chi ha avuto esperienza diretta sulla propria pelle e chi indirettamente: conosciamo l’orrore del processo cui si viene sottopostə. 

Ora, solo in cattiva fede si può sostenere che il patriarcato non sia una piaga che permea le nostre società. Solo in cattiva fede si può continuare ad affermare che a certe latitudini il femminismo non serve più, che certe classi della società sono esenti dal perpetrare alcuni tipi di violenze. 

Uno degli aspetti più difficili riguardanti le violenze di genere risiede nel fatto che accomunano donne e persone non binarie, molto differenti per storie di vita, classe, provenienza geografica. Se questo, da una parte, è un elemento accomunante perché ci permette di riconoscerci tuttə in determinati vissuti – basti pensare alla potenza del movimento #MeToo – dall’altra, le distinzioni di classe, razza si manifestano con tutto il loro peso quando si tratta di schierarsi e di rispondere a queste violenze quotidiane. Quando, come in questo caso, ci troviamo in presenza di un’estrema differenza di potere, è più facile che le risposte ad una violenza consistano in silenzi imbarazzati, in timide reazioni. 

Nelle aule di tribunale si perpetra una visione maschilista in cui non c’è alcun limite alla decenza. Pensiamo alle occasioni in cui le donne sono state accusate di non aver urlato abbastanza o quando si è dichiarato che è tecnicamente impossibile sbottonare i jeans di una donna senza il suo consenso.

Il copione di questa violenza, la quale si somma a quella subita in precedenza, può continuare fino ad insinuare che si trattasse di un rapporto consenziente – “Sei proprio sicura che in fondo non ti sia piaciuto?” – Nella maggior parte dei casi, chi stupra dichiara che proprio non si era accorto che da parte dell’altra persona non vi fosse consenso. 

La situazione peggiora drasticamente se a compiere violenza è un personaggio ricco e di potere o, come in questo caso, il figlio di un tale personaggio. Allora la macchina che si mette in moto per screditare colei che ha denunciato è più forte perché maggiori e diversificati sono i mezzi di cui queste persone dispongono: soldi, amicizie influenti, potere, immagine pubblica. Beppe Grillo ha usato tutta la sua visibilità per difendere il figlio, screditando pubblicamente le parole della ragazza, sbraitando che “è strano che una aspetti a denunciare” e, come se non bastasse, ha statuito lui che “non c’è stato nessuno stupro”.

Questo personaggio non solo non accetta che le colpe del figlio possano offuscare la sua reputazione, ma soprattutto non può accettare di essere messo in discussione da una ragazza qualsiasi. 

Per questo, ha in seguito sferrato altri duri attacchi contro di lei: ha richiesto una perizia (!) e fatto condurre un’indagine privata volta a ricostruire la vita della ragazza. Non è difficile immaginare che lo scopo sia quello di minarne la credibilità.

Neanche per un attimo si è messo nei panni di lei, non gli interessa cosa prova, non gli interessa cosa le sta facendo vivere con le sue azioni, non la vede nemmeno.

Grillo senior reagisce in modo scomposto, urla indemoniato “in quanto padre” e sfoggia in serie tutto il peggio che un’educazione maschilista produce. È “in quanto padre” che non accetta che una ragazza possa permettersi di uscire dal posto a lei assegnato, è accecato dalla rabbia perché è inconcepibile per lui non far legge. Lui ha detto che non è successo niente e questo deve bastare. 

Se proprio avesse voluto esporsi in quanto padre, avrebbe dovuto farlo in senso opposto, e invece no. Da capobranco, non ha esitato ad attaccare, a ri-mettere al suo posto colei che con le sue dichiarazioni ha osato mettere in discussione la presunta impunità del giovane rampollo di una delle famiglie più ricche e potenti del Paese. La famiglia immediatamente reagisce, comportandosi esattamente con la violenza che ci si aspetta dalla casta a cui appartiene. Difendendo il proprio privilegio con le unghie e con i denti. 

Per gli altri uomini, affermare in quanto padri che quel che Grillo ha sbraitato fa schifo e produce danni enormi, dev’essere urgente e necessario. Occorre interrogarsi e rompere questo patto maschile fondato sul machismo.

Le poche prese di posizione pubbliche sono state generiche: deboli appelli alla giustizia che “farà il suo corso”, che in casi di violenza contro le donne e soggettività non normate non vuol dire mai niente di buono. È stata addirittura manifestata solidarietà e rispetto per il dolore che proverebbe Grillo senior “in quanto padre”. L’unico dolore che meriterebbe riconoscimento, da queste dichiarazioni, sembra essere il suo, quello di un pater familias ferito e attaccato nell’onore. Da parte della politica istituzionale vi è un palese imbarazzo che di certo non basta. Non si può far finta di non vedere qual è il prezzo che una donna o una persona trans deve pagare se decide di non stare in silenzio, se non corrisponde all’ideale stereotipato della vittima per eccellenza, se reagisce, se non muore, se ci ripensa, se non reagisce, ma anche se non si presenta come un soggetto distrutto, se non fa della violenza subita il male attorno a cui far girare la propria vita.

Questa vicenda di violenza ci parla di innumerevoli altri episodi di violenza quotidiana, ma ci parla anche delle reazioni che vengono messe in campo, delle forme di resistenza, di conflitto, di sovversione mediante l’ironia, di denuncia collettiva. 

I Movimenti femministi in tutto il mondo hanno portato all’attenzione, con molteplici modalità, la doppia violenza che subiamo quando decidiamo di non stare in silenzio, hanno evidenziato che, senza se e senza ma, la facoltà di stabilire se e cosa è violenza è nostra e non è di nessun altro.  I tempi li detta la persona che sceglie di non stare in silenzio e sempre lei deciderà cosa vorrà raccontare e cosa tacere. Senza se e senza ma. Perché se anche ci ubriachiamo – lo ribadiamo ancora una volta – il giorno dopo ci aspettiamo un mal di testa non uno stupro!

Senza se e senza ma: non sei sola, ti crediamo e non staremo a guardare in silenzio!

 

 

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pubblicato il in Intersezionalitàdi redazioneTag correlati:

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