Dopo gli attentati di Parigi: quattro volte guerra
Quasi due settimane dopo gli attentati di Parigi, la risposta dei governi occidentali si profila sempre più nella sua durezza e chiarezza: guerra. La guerra ha varie sfumature. C’è quella esterna, sul fronte mediorientale, che prosegue a colpi di bombe e di intelligence. Con i soldati e con i droni. Con gli assassinii mirati e con gli assassinii di massa. Una guerra che ha precipitazioni, riposizionamenti, tatticismi e alleanze sempre molto precarie, come insegna la vicenda del jet russo abbattuto ai confini tra Turchia e Russia, che non sarà forse un casus belli ma che ci dice molto su quanto la logica della multipolarità cui il presente ci sta abituando generi scenari ben più intricati del mondo in blocchi che appartiene ormai a un altro secolo.
Ascoltate la diretta con Chiara Cruciati, inviata de Il Manifesto in Medioriente
La guerra capitalista è senz’altro anche un business e non si può pensarla senza ragionare sul fatto che le borse hanno guadagnato miliardi all’indomani degli attentati di Parigi spinte dai titoli energetici e da quelli dei trafficanti di armi. Oggi i luoghi dove i paesi europei concentrano i propri affari in materia di armamenti sono proprio quelli del medioriente insanguinato dalle nostre bombe e dallo stragismo islamista.
Ne abbiamo parlato con Francesco Vignarca della Rete Disarmo
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→sul tema, a cura della Rete Disarmo: Gli affari armati? Volano verso il Medio Oriente
C’è poi la guerra interna; in essa riconosciamo o artificiosamente indichiamo almeno tre fronti. Questi ora convergono, ora no.
Un primo fronte interno è quello della guerra alle periferie. Soprattutto in quegli stati europei che hanno una immigrazione di lungo corso e sono ormai ormai giunti alle seconde o terze generazioni. La questione, brandita a destra come una preziosa arma di propaganda per campagne xenofobe, e ignorata se non rimossa a sinistra perché non si sa come maneggiarla, è la seguente. Non solo il dispositivo giuridico riesumato oggi dal sinistro entourage di Hollande lo stesso (ereditato dalla guerra di Algeria) con cui Sarkozy affrontò la racaille che incendiò le notti delle periferie francesi nell’autunno del 2005. Ma addirittura i luoghi che oggi sono considerati covi dell’islamismo politico stragista sono a volte luoghi delle rivolte di allora. Il punto allora è come sfuggire alla narrazione mortifera dello scontro di civiltà senza nascondersi la dura realtà del presente.
Abbiamo chiesto a Simona de Simoni, filosofa e indagatrice dei rapporti tra capitalismo e spazio urbano, residente da qualche anno a Parigi, una riflessione sopra un tema tanto delicato
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Il secondo fronte interno sono gli immigrati. I governi europei dopo aver speso tempo e parole a produrre un lessico che sapesse dividere gli immigrati buoni (profughi e reietti di tutte le ingiustizie) da quelli cattivi (usurpatori di diritti a caccia di un futuro migliore) ora innesta la retromarcia e ci spiega che in realtà sono tutti cattivi. Le aperture ai profughi siriani e afgani degli ultimi mesi sono già storia. L’inversione è iniziata ben prima degli attentati ma la retorica non conosce ragioni (né pudori) e così si mettono in piedi operazioni ridicole come quella orchestrata ad uso e consumo della segreteria di Alfano e della sua propaganda come quella contro il centro di accoglienza Baobab di Roma, dove sono finiti nel mirino della polizia decine di immigrati che sono stati perquisiti, identificati e in molti casi espulsi (anche rapidamente).
Ascoltate la testimonianza di Serena, blogger e antirazzista presente sul luogo del blitz
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Un terzo fronte interno è quello della guerra telematica. Una guerra alla libertà di tutti, perseguita con mezzi sofisticati, nella rete, negli smartphone. Una sorveglianza massiva e invasiva che non corrisponde in realtà a dei criteri investigativi con una loro dignità logica. Corrisponde a esigenze politiche di controllo. Di prevenzione generale di massa, potremmo dire. E’ provato che la stragrande maggioranza degli attentatori in giro per il globo fosse ampiamente conosciuto alle polizie di mezzo mondo. Le forze di sicurezza non sono in grado di fermarli ma ad individuarli ci riescono benissimo. Anche grazie al fatto che il paradigma della società del controllo digitale è già realtà da un pezzo. Dunque siamo in tutt’altro ordine di problemi. Ora la Francia ha prolungato lo stato di emergenza per tre mesi. Dopo forse verranno altre leggi. Il dato che ci preme sottolineare è la continuità. Le leggi liberticide in materia di web la Francia le ha già varate a fine luglio.
Ne abbiamo parlato con Carola Frediani, giornalista e blogger che si occupa di media attivismo e deep web
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RadioInfoAut intervista Giuseppe Genna: dopo Parigi, rompere il monologo bellico neoliberista
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