#Famostostadio? Anche no
Frenesia, rabbia e passione stanno riempiendo gli ultimi mesi a Roma. L’addio della bandiere e le fantasiose costruzioni giornalistiche intorno agli ambienti calcistici della Roma hanno infiammato l’opinione pubblica di una parte della città. L’attenzione si è riaccesa anche intorno allo Stadio della Roma. Cosa è cambiato negli ultimi mesi? Proviamo a mettere in fila alcuni aspetti importanti su questa enorme opera speculativa nel quadrante sud di Roma.
Lo stadio della Roma nasce da un accordo tra i proprietari della Roma e il noto costruttore romano Parnasi. La zona prescelta è quella di Tor di Valle dove Parnasi ha acquistato dei terreni, ad oggi non edificabili. L’alternativa sul tavolo più accreditata erano i terreni in zona Tor Vergata di proprietà di Caltagirone. Alla fine la scelta è ricaduta su Parnasi. In ogni caso a Roma se si vuole costruire qualcosa di importante si deve passare dai palazzinari.
Il progetto sullo stadio è passato da una prima contrattazione politica con il Partito Democratico arrivando a un accordo che prevedeva di regalare un enorme cubatura edificabile in cambio di diverse infrastrutture logistiche (ponti, strade, rafforzamento della linea ferroviaria Roma-Lido). Il modello applicato è quello del “Project Financing”, sostenuto da diversi urbanisti e politici. Roma è una città preda dei grandi costruttori. In passato grandi acquisti di terreni in zone non ancora edificate annunciavano la direzione lungo cui la città si sarebbe sviluppata ed espansa negli anni a venire. L’utilizzo del “Project Financing” rappresenterebbe, secondo chi lo sostiene, uno strumento di indirizzo in mano al pubblico. Il privato si siede al tavolo con le amministrazioni pubbliche e insieme si decide dove e in cambio di quali compensazioni approvare un determinato progetto. La realtà si dimostra diversa e lo Stadio della Roma è rappresentativo dell’insufficienza regolativa di questo strumento.
Nel 2016 la Raggi viene eletta sindaca di Roma dopo una campagna contrassegnata dal no alle Olimpiadi e allo Stadio della Roma. Sullo stadio si è aperta quindi una nuova interlocuzione che portava ad un nuovo compromesso: da una parte una contenuta diminuzione di edifici, dall’altra una più importante riduzione delle infrastrutture previste.
L’opera ha subito un intenso iter burocratico scoperchiato dall’inchiesta giudiziaria di metà giugno del 2018. Quello che allora emergeva era un quadro di forte corruzione e complicità tra costruttori, politica e amministrazione. Tutti i livelli territoriali, dai ministeri al comune passando per la regione Lazio ne sono usciti coinvolti. Tangenti per tutti i partiti. Senza soffermarci troppo, sulla vecchia inchiesta abbiamo già scritto qui. Negli ultimi mesi si sono aggiunti degli elementi sui finanziamenti diretti alla Lega Nord. Circa 250.000 euro che Parnasi avrebbe versato alla Mc Srl e a Radio Padania passando per l’associazione “Più Voci”.
Parnasi finisce in galera, insieme a lui tutti i suoi collaboratori e diversi politici. L’imbarazzo è palpabile al Campidoglio e nelle sedi di tutti i partiti. Tutto viene delegato al lavoro della magistratura, tutti sperano che l’attenzione cali il più in fretta possibile. Il processo ad oggi sta subendo diversi ritardi.
Nelle conferenze pubbliche la Roma e il comune dichiarano come vada tutto bene. La Roma acquista i terreni da Parnasi e il progetto può andare avanti.
Come può essere considerato “pulito” un progetto uscito da una mediazione scandita tra favori e mezzette? Come si può non rimettere in discussione tutto?
A scandalizzare sullo Stadio della Roma non dovrebbe essere tanto (o solo) l’iter burocratico infinito per approvare la realizzazione di un’opera, ma che per fare questo stadio si debba costruire intorno un intero quartiere tra abitazioni, centri commerciali e infrastrutture. In una città, piena di scheletri di cemento abbandonati, cantieri lasciati in stand by in attesa di congiunture di mercato più favorevoli, è assurdo. La lunga crisi immobiliare e del ramo delle costruzioni degli ultimi anni non ha insegnato niente? La realtà è che in parte ne è stata anche la causa. Tra gli interessi dietro la realizzazione dello Stadio ci sono anche le banche che detengono crediti, ormai inesigibili di Parnasi. La nube del segreto bancario che avvolge questi fantomatici debitori insolventi (chi saranno mai?), solo nei momenti in cui vengono approvati i salvataggi per le banche fa emergere qualche elemento pubblicamente. Nel passato recente molte società di costruzioni sono crollate per la caduta di domanda nel mercato immobiliare (senza considerare l’uso strumentale di alcune società fallite per scopi speculativi). Per le banche questa opera rappresenta quindi l’occasione per migliorare i propri attivi nei confronti di alcuni soggetti con i quali hanno rapporti di clientela su cui investono da molti anni.
Che la retorica intorno alla costruzione dello Stadio della Roma si confondesse profondamente con la fede calcistica è un qualcosa di evidente e voluto. Presidente e dirigenti della Roma lo dichiarano in ogni occasione come un mantra: “Senza lo stadio la Roma non può essere competitiva”. Non entriamo troppo nel merito di questa questione. Ci limitiamo a far notare che di fronte ad un’operazione speculativa che offre incrementi patrimoniali di diverse decine di milioni senza aver messo neanche la prima pietra (dovuto al cambio di destinazione d’uso dei terreni), aspettative di profitti futuri di centinaia di milioni di euro, è ridicolo affermare che l’interesse sia quello di espandere la competitività di un club di calcio, il quale vale meno di questa operazione. Inoltre la proprietà del futuro stadio della Roma non sarebbe nemmeno del club ma di una società collegata al Presidente Pallotta.
Nelle ultime settimane sono cambiate gli equilibri in città. La Roma caccia le bandiere e Repubblica costruisce un’inchiesta sulle trame dirigenziali giallorosse. La città esplode. Il velo dietro alle bugie della società cadono tutte assieme. I gruppi della curva sud convocano una manifestazione con circa duemila persone all’Eur. “No allo stadio” è lo slogan di molti striscioni e dei tanti cori scanditi durante il presidio. Che ci fosse un silenzioso malcontento tra gli ultras sullo stadio si sapeva. Ma mai come in questa occasione era stato espresso con cosi tanta chiarezza. Se da una parte è evidente che lo stadio diventa il pretesto per cacciare Pallotta dalla Roma, è altrettanto chiaro che la tifoseria ha capito che c’è una profonda distanza tra la fede calcistica e gli interessi di questi “purciari”.
Lo sconcerto nella narrazione dei quotidiani e delle radio sportive cittadine è lampante. Da prime sostenitrici dello stadio ora si ritrovano in difficoltà di fronte al proprio pubblico (c’è da escludere il solo Messaggero di proprietà di Caltagirone, ovviamente, da sempre contraria all’opera). “Ma come i tifosi non sono i primi a volere lo stadio? Ma non abbiamo capito niente?”. Si è rotta la semplice equazione: lo stadio uguale successo sportivo.
Lo stadio della roma è invece ininfluente, non legato al bene della società di calcio.
Anche il quadro politico muta rapidamente. Il consiglio municipale del IX Municipio (quello su cui dovrebbe sorgere lo stadio), targato Cinque Stelle, ha approvato una delibera contro lo stadio. Gli equilibri anche, nella ben più importante, assemblea capitolina cominciano a scricchiolare. Le manifestazioni contro Pallotta e contro lo stadio hanno incrinato anche la fiducia della Raggi rispetto al consenso della città sullo stadio. Già l’ultima conferenza pubblica, tenuta al campidoglio a inizio febbraio, insieme ai tecnici del Politecnico di Torino era stata a dir poco paradossale. Se da una parte la Raggi annunciava l’avvio dei cantieri entro la fine dell’anno, dall’altra gli studi del Politecnico parlavano di un quadro catastrofico sulla viabilità.
#Famostostadio. Fino a due mesi fa sembravano tutti d’accordo. Oggi la partita è quantomeno più aperta. Sembra incredibile che gli scandali calcistici possano avere un effetto sulla costruzione di un’opera così rilevante, ma cosi è. Questa è la fotografia di una città allo sbando, vittima degli interessi predatori dei privati e della politica.
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