Il chiacchiericcio sul 25 aprile e la fuga dei capitali dalle banche negli USA
Mentre in Italia diventa spasmodico il chiacchiericcio su antifascismo, fascismo e 25 aprile, negli Stati Uniti la First Republic Bank – 18^ banca negli USA, con sede centrale a San Francisco in California – il cui asset totale ammontava al 2022 a 197,9 miliardi di dollari, ha improvvisamente avuto un crollo del 49% del valore dei suoi titoli azionari su Wall Street.
Il motivo? Nella pubblicazione quadrimestrale dei bilanci pubblici è venuto fuori che nel mese passato depositi pari a 100 miliardi di dollari sono stati ritirati dalla banca.
Tutti continuano a porsi la domanda – sbagliata – se le banche siano sicure, se il sistema finanziario sia sicuro, oculatamente regolamentato e capace di evitare effetti domino, se “i nostri soldi in banca” siano al sicuro.
Nessuno si pone la domanda causale: perché 100 miliardi di capitale vengono ritirati e per andare non si sa dove?
Mentre c’era anche trepida attesa sui risultati delle multinazionali dell’industria dell’high tech: Microsoft, Alphabet (Google), Facebook-Meta, Apple, Amazon (AWS), ecc. Al momento solo Microsoft e Alphabet (la proprietaria di Google) hanno pubblicato il loro bilanci. Sappiamo quanto il mercato finanziario guardi con occhio decisivo all’andamento economico di queste aziende del settore tecnologico, ma è un andamento che suscita ansie e preoccupazioni. E’ li che dalla catena della progettazione del microprocessore e dell’algoritmo torna la valorizzazione – dal macchinario, dalla materia prima – nella forma di merce finale arricchita di plusvalore che deve formalizzarsi in M+, D+ e in profitto. Questa merce finale è sempre meno parte di in un computer di ufficio o da casa, di una licenza d’uso di un sistema operativo Windows o Android, che fa muovere un tablet, un computer portatile o un dispositivo smartphone.
Questa merce si costituisce sempre più in un qualcosa di ancora più impalpabile: il Cloud computing, ossia l’utilizzo di servizi informatici tramite il Cloud, l’Internet delle cose, che è un composto di reti telematiche che interconnettono ammassi di data center, le nuove cattedrali che in quanto a consumo energetico, di capitale fisso superano e occupano il posto che nel novecento aveva la fabbrica fordista.
Il volume di fatturato, ossia la capacità di produrre una merce maggiorata di cloud computer (M+), assorbita dal mercato e che dà un un D+ (plusvalore che si formalizza in profitto), è anche l’indicatore della circolazione del valore stesso, perché il cloud computing è essenzialmente un servizio che consente la rapida circolazione del valore all’interno dell’intera catena generale della produzione del valore.
Ebbene Microsoft e Alphabet (Google) hanno pubblicato i loro bilanci nel quarter di Marzo, che è nell’economia USA il quadrimestre in cui viene anche presentato anche il consuntivo dell’anno precedente. Il loro fatturato è stato migliore delle aspettative, mentre si temevano dei risultati negativi.
Il fatturato di Microsoft è stato di 51 miliardi di dollari, superiore del 3,4% rispetto a quello dell’anno precedente.
Il fatturato di Alphabet (Google) è stato di 68,9 miliardi di dollari, superiore del 1,9% rispetto a quello dell’anno precedente.
Hanno dichiarato nelle loro relazioni che gran parte dell’aumento dei loro fatturati risiede proprio grazie all’aumento di fatturato per i servizi di Cloud Computing.
Ma attenzione, vale la giusta constatazione di Gordon Moore. Sebbene la capacità di realizzare microprocessori più piccoli e più veloci avrebbe consentito una vendita di massa del personal computer e dato slancio anche alla manifattura tradizionale in sofferenza – dunque un aumento dei fatturati anche per il Cloud Computing di oggi -, Gordon Moore ancor prima di decretare la fine della sua teoria (ossia la capacità di realizzare microprocessori sempre più piccoli all’infinito), già allertava che i costi di produzione fissi non potevano che aumentare, mentre il prezzo unitario del microprocessore non poteva che diminuire. Questo non solo è vero per il transistor, il semiconduttore, il circuito integrato ed il microprocessore, lo è per tutta la moderna industria delle materie prime. Lo è stato e lo è per la produzione del carbone, del ferro, per le estrazioni dell’oro, per le estrazioni del petrolio e poi dello shale oil, del gas (per non parlare dell’aumento dei costi fissi di produzione per le colture di base). Tanto più è necessaria una quantità sempre maggiore di materia prima affinché possa perpetuarsi l’accumulazione, tanto più il consumo energetico ed il costo fisso di produzione della materia prima lievitano.
Quindi anche per Microsoft e per Alphabet l’aumento del fatturato attraverso il Cloud Computing avviene attraverso un consumo di quelle materie prime che compongono il data center, è un buco energivoro fatto di consumo di energia e di microprocessori esponenzialmente crescente rispetto all’output impalpabile che genera la merce finale e il profitto. Dietro c’è un esercito di tecnici della manutenzione hardware e software, di installatori, tecnici delle reti, di programmatori, di addetti ai test sul software e sull’hardware, di operai che producono il microchip e di quelli che lo assemblano, delle catene operaie per i test integrati dei semiconduttori, fino al minatore che spesso scava nella nuda roccia a mani nude e spesso sono bambini alla ricerca del prezioso metallo raro, materia primaria per la nuova tecnologia.
Tant’è che gli stessi bilanci di Microsoft e di Alphabet (Google) che generano il sorriso di sollievo, ci parlano di questa irreversibile tendenza verso la caduta. L’utile netto di Microsoft è -0,6% di anno in anno, quello di Google è addirittura del -16,9% rispetto agli anni precedenti. In sostanza cresce un indebitamento consolidato di queste immense corporation, quel capitale fisso aumentato che genera sempre meno plus valore rispetto al costo necessario per ricostituirlo.
Quindi i capitali fuggono alla ricerca di una possibilità di plusvalore che sia maggiore, anche di poco, di quella che appare essere in scivolata. Per andare dove, verso l’Oriente, verso Shanghai, su Marte? Non ci è dato sapere, ma il tonfo continua a sentirsi e nel mondo comincia ad agitarsi un cartello con sopra scritto un avvertimento: rischio di fallimento.
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