Il disastro che viene
Fra il 31 ottobre e il 12 novembre si terrà a Glasgow la 26a conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP26), l’appuntamento annuale degli Stati e delle entità sovranazionali firmatarie della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul tema in oggetto (UNFCCC).
Da ECOR Network
La conferenza ha l’obiettivo di valutare i progressi e stabilire obblighi giuridicamente vincolanti per la riduzione delle emissioni di gas serra.
Visti i risultati, dopo 27 anni di riunioni, forse al prossimo incontro farebbe meglio a dichiarare fallimento.
Il quadro delineato dal lavoro di migliaia di scienziati di tutto il mondo è infatti impietoso riguardo al peggioramento dello stato del pianeta e delle prospettive per le specie viventi, come si evince dai rapporti periodici dell’ Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC).
L’ultima pubblicazione in merito è del 7 agosto scorso. Si tratta del rapporto1 del Working Group I (WGI), il gruppo del IPCC che si occupa di valutare le nuove conoscenze scientifiche sui cambiamenti climatici e compararle con quelle precedenti, monitorando in pratica le fasi progressive dell’evoluzione della catastrofe climatica in corso.
È un rapporto che registra un aggravamento su tutti i fronti, a cominciare da quello delle emissioni dei principali gas serra, che hanno raggiunto nel 2019 concentrazioni di 410 parti per milione (ppm) per la CO2 e 1866 parti per miliardo (ppb) per il metano. Sono le concentrazioni atmosferiche di CO2 più alte degli ultimi 2 milioni di anni, e degli ultimi 800.000 anni per il metano e l’ossido di azoto.
La tendenza è in continua crescita, a testimonianza della scarsa efficacia di accordi e protocolli internazionali nati all’insegna dell’insuccesso, perché è impossibile che possano mettere in discussione la fonte primaria della catastrofe.
Del resto, potrebbero mai gli Stati decidere di rinunciare al dogma della crescita infinita ?
Potrebbero mai prospettarci formule differenti dalla gestione capitalistica della crisi climatica, il cui scopo principale è il rilancio dell’accumulazione, e non la riduzione dell’impatto sul pianeta?
Formule illusorie ammantate di retorica green, e potenzialmente altrettanto devastanti rispetto all’economia fossile, alla quale andranno ad affiancarsi, e non a sostituirsi.
È questa la prospettiva che ci attende, mentre tutti i parametri di valutazione del cambiamento climatico mostrano l’avvicinarsi, e in vari casi il raggiungimento, dei punti di non ritorno.
“Molti cambiamenti dovuti alle emissioni di gas serra passate e future sono irreversibili per secoli e millenni, in particolare i cambiamenti nell’oceano, nelle calotte glaciali e nel livello globale del mare”.
Il rapporto 2021 del Working Group I del IPCC descrive le linee dello sconvolgimento complessivo del mondo che conosciamo, della terra, degli oceani, delle piogge, degli uragani, dei ghiacciai, delle correnti marine.
Sconvolgimento che ha già cominciato ad investire in pieno le specie viventi, e noi tra loro.
Gli autori/trici del rapporto delineano cinque possibili scenari2, costruiti in base ai livelli delle emissione future di gas serra. Tutti gli scenari, con varie gradazioni, mettono in conto una crescita della temperatura media globale ben oltre il fatidico 1,5 °C, che era l’obiettivo limite dell’Accordo di Parigi.
Nel migliore dei casi, anche nell’ipotesi improbabile di azzerare le emissioni di anidride carbonica nel 2050 e ridurre fortemente gli altri gas climalteranti, il rapporto prevede l’innalzamento delle temperature fino 1,8 °C entro fine secolo. Un esito comunque catastrofico, visto i disastri già in atto con quel 1,09 °C in più rispetto al periodo di riferimento (1850-1900), registrato nell’ultimo decennio.
Nel peggiore dei casi, nell’ipotesi di una forte crescita delle emissioni, ci si aspetta che l’aumento della temperatura possa arrivare a fine secolo fino a 5,7 °C .
Guardando al presente, il disastro attraversa gli oceani, dove sale la temperatura, l’acidificazione e la desossigenazione delle acque, con cambiamenti la cui reversibilità sarà possibile solo aspettando secoli o un millennio,
Gli oceani, il cui volume aumenta assieme alle temperature, si ingrossa per lo scioglimento dei ghiacciai, innalzando il livello medio del mare che al momento si attesta sugli 0,20 m oltre gli standard del 1901.
Nel ventesimo secolo il livello medio globale del mare è aumentato più rapidamente rispetto a qualsiasi altro secolo degli ultimi tre millenni. Il suo ritmo di crescita è sempre più veloce, ed anche considerando lo scenario più benevolo, continuerà ad aumentare da qui al 2100 di ulteriori 0,28-0,55 m, come conseguenza visibile di enormi masse d’acqua che premono sulle coste.
Nello scenario peggiore, in presenza di altissime emissioni di gas serra, il livello del mare potrebbe salire di un metro entro fine del 21°secolo.
In tutti i casi, tale processo non si fermerà nei millenni successivi.
Il disastro investe l’area del ghiaccio marino, che negli ultimi 40 anni si è ridotta del 10% in marzo e del 40% in settembre, raggiungendo il livello minimo degli ultimi 1000 anni.
La dimensione globale di questo ritrarsi con quasi tutti i ghiacciai del mondo che si contraggono in modo sincrono, non ha precedenti da almeno due millenni. Lo scongelamento e la perdita di carbonio del permafrost è ormai un processo irreversibile in tempi centenari.
Il disastro rallenta le correnti. Il rapporto dell’IPCC segnala che l’inversione della circolazione meridionale atlantica (AMOC) potrà indebolirsi nel corso del 21° secolo per tutti gli scenari di emissione considerati.
Parallelamente, una ricerca di David Thornalley rileva che le correnti dell’AMOC hanno raggiunto la velocità minore degli ultimi 1.600 anni, e nuove analisi di Niklas Boers introducono la possibilità di un collasso3.
L’AMOC è guidato dall’ acqua di mare densa e salata dell’Oceano Artico, ma lo scioglimento dell’acqua dolce dalla calotta glaciale della Groenlandia sta rallentando il suo corso prima di quanto suggerito dai precedenti modelli climatici.
Un collasso dell’AMOC innescherebbe reazioni a catena spaventose, interrompendo le piogge da cui dipendono miliardi di persone per il cibo in India, Sud America e Africa occidentale, provocando tempeste e un abbassamento delle temperature in Europa, oltre alla crescita del livello del mare al largo del Nord America.
Il disastro modifica le piogge. Le precipitazioni medie globali sulla terra sono aumentate dal 1950, soprattutto dagli anni ’80 in poi, ma è cambiata anche la loro distribuzione spaziale e temporale.
È aumentata la frequenza e l’intensità delle precipitazioni estreme sulla maggior parte delle aree terrestri, e di conseguenza le inondazioni rovinose, parallelamente (per paradosso) alla siccità. Il processo è ancora in corso, e andrà ad intensificarsi qualsiasi sia il livello delle emissioni future di gas serra. C’è solo da decidere se fermare le emissioni climalteranti per contenere l’aumento delle precipitazioni entro i limiti del 5%, o andare oltre.
Il disastro moltiplica gli eventi estremi, come i cicloni tropicali, e rende più frequenti gli“eventi estremi composti”, come la combinazione di ondate di calore e siccità, le inondazioni derivanti simultaneamente da tempeste marine, precipitazioni estreme ed esondazione di fiumi, oppure le condizioni meteorologiche calde, secche e ventose, che favoriscono l’estendersi degli incendi.
Particolarmente esposte agli eventi estremi le città, dove la cementificazione amplifica le temperature e di conseguenza le ondate di calore. L’urbanizzazione aumenta le precipitazioni medie e intense sopra e/o sottovento delle città e la conseguente intensità di deflusso. Nei centri urbani costieri, la combinazione di eventi estremi più frequenti (dovuti all’innalzamento del livello del mare e alle mareggiate) ed eventi estremi legati alla pioggia/flusso dei fiumi sarà foriera sempre più spesso di gravi inondazioni.
Il disastro potrebbe essere peggiore di quello prefigurato dall’IPCC, perché, a parere di alcuni autori, il rapporto non considera a sufficienza i meccanismi di retroazione (feedback) auto-rinforzanti, che una volta innescati continuano ad agire a prescindere dalla riduzione delle emissioni clima alteranti di origine antropica. Angelo Baracca, su Contropiano ricorda che “lo scioglimento dei ghiacci scoprirà il permafrost, il quale scongelerà rilasciando grandi quantitativi di metano, un gas che contribuisce 20 volte più della CO2 all’effetto serra. D’altronde i ghiacci che ricoprono il mare Artico riflettono la radiazione solare (albedo) molto di più della superficie del mare, più scura, che rimarrà scoperta, il ché aumenterà ulteriormente il riscaldamento dell’atmosfera terrestre“ 4.
In pratica, la possibilità che il futuro coincida con lo scenario peggiore ipotizzato dall’IPCC, con tutte le sue conseguenze, non è un’ipotesi trascurabile.
Ci troviamo solo all’inizio di una catastrofe inedita, di una dimensione mai provata dal genere umano, già ora generatrice di migrazioni di massa, distruzione, carestie, fame, conflitti per le risorse, estinzione di migliaia di specie viventi. Una crisi epocale a cui il capitale risponde intensificando la distruzione della Natura e l’espropriazione delle comunità umane, oggi anche in nome della cd “transizione ecologica”, come abbiamo più volte cercato di descrivere su questo portale.
Gli Stati e le entità sovranazionali che si ritroveranno a Glasgow fra ottobre e novembre, rappresentano in gran parte questo tipo di interessi e, come sappiamo, li difendono contro le popolazioni manu militari.
Inutile quindi riporre in tali istituzioni speranze per una possibile inversione di tendenza.
Dobbiamo piuttosto concentrarci su come affrontare problemi enormi: da un lato il disastro che – ineluttabilmente -viene, dall’altro una più intensa aggressione ai territori da parte della speculazione.
Abbiamo infine l’onere, non facile, di immaginare e praticare modelli di transizione ecologica slegati dal profitto, da ripensare a partire dalla ricchezza di esperienze delle comunità resistenti di tutto il mondo.
La discussione è aperta, i terreni di conflitto – oltre a quelli di doverosa contestazione dei “grandi eventi”- infiniti.
Foto di apertura: “Château des Ducs – Isaac Cordal” by Objectif Nantes (licensed under CC BY 2.0).
Note:
1) IPCC, Climate Change 2021. The Physical Science Basis, 7 agosto 2021, pp.3949.
2) Scenario con emissioni di gas serra molto elevate (SSP5-8.5) ed emissioni di CO2 che raddoppiano rispetto ai livelli attuali entro il 2050. Ci si aspetta che la temperatura possa crescere a fine secolo fino a 5,7°C, rispetto al 1850-1900. Scenario con emissioni di gas serra elevate (SSP3-7.0) ed emissioni di CO2 che raddoppiano rispetto ai livelli attuali entro il 2100. Scenario con emissioni di gas serra intermedie (SSP2-4.5) ed emissioni di CO2 che si mantengono sui livelli attuali fino alla metà del secolo. Ci si aspetta che la temperatura possa crescere a fine secolo fino a 3,5°C, rispetto al 1850-1900. Scenario con emissioni di gas serra basse (SSP1-2,6) ed emissioni di CO2 che si dimezzano al 2050. Scenario con emissioni di gas serra molto basse (SSP1-1,9) ed emissioni di CO2 che si azzerano al 2050. Ci si aspetta che la temperatura possa crescere a fine secolo fino a 1,8°C, rispetto al 1850-1900. Anche nello scenario SSP1-1.9, si valuta che le temperature rimangano fino al 2100 le più calde degli ultimi 6500 anni.
3) Damian Carrington, Climate crisis: Scientists spot warning signs of Gulf Stream collapse, The Guardian, 5 agosto 2021. Niklas Boers, Observation-based early-warning signals for a collapse of the Atlantic Meridional Overturning Circulation, Nature Climate Change, volume 11, pages 680–688 (2021).
4) Angelo Baracca, Una analisi critica del Rapporto Ippc sui cambiamenti climatici, Contropiano, 12 agosto 2021.
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