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Il soggetto giovanile nelle periferie – il dualismo della città

La cosiddetta “questione urbana” è da tempo pletoricamente ritornata sulle bocche di tanti, che in qualche modo ne he hanno usurpato la terminologia, rendendola uno sterile cliché adatto alle prime pagine di testate filo-istituzionali.

Non è certamente questa la circostanza in cui poter pensare di analizzare un fenomeno di tale complessità, che trae le sue radici in un contesto socio-spaziale fin troppo ampio; si tratta di fornire spunti di riflessione con l’umile scopo del raffinare gli interventi di autonomia e di contropotere all’interno dei territori.

Potremmo lamentare forse di un’eccessiva passività quando ci interfacciamo per la prima volta al fenomeno, che può sembrarci un dato di fatto da prendere per certo, senza che vi sia data la possibilità di ribaltare gli schemi e le logiche di chi, nella città, vuole imporre (e per certi versi ha già imposto) il proprio volere e potere racchiuso nella violenza del capitalismo imposto.

Si è sempre cercato di velare dietro la “questione urbana” l’interessamento della governance multi-livello di alimentare il divario tra “ricchi e poveri”, operando con inutili abbellimenti che hanno reso i centri delle città “vetrine” e le periferie “a rischio banlieue”. Questo perché da sempre non si è mai cercata la risposta nel come i processi di urbanizzazione e industrializzazione si siano dati e si stiano dando sempre più a svantaggio degli sfruttati, limitandosi ad una visione storica tracciata dai perché.

Oggi più che mai la questione urbana, oltre ad essere una questione economica, è soprattutto una questione sociale.

Jacques Donzelot mette in parallelo il fenomeno delle e quello di una <>, come rivelatori delle tensioni che oggi si manifestano nelle città dei paesi sviluppati, tensioni che compromettono la loro capacità di “fare società”. In questo senso la questione sociale ri-diventa una questione urbana, in quanto è nelle città che si cristallizzano le discriminazioni sociali. I fenomeni di esclusione sociale da una parte, e di imborghesimento delle città dall’altra, possono essere visti come manifestazioni di questo dualismo urbano.

La città e il suo conseguente quanto inarrestabile sviluppo urbano, non segue più i ritmi dei suoi abitanti, ma, al contrario, li detta; si crea così uno scompenso di equlibri che fanno saltare il meccanismo di regolazione che potrebbe funzionare solo se si tenesse conto di tutte le esternalità.

Ci si allontana così sempre più dal raggiungimento di un optimum sociale che, come si accennava prima, aumenta le diseguaglianze economiche tra, se vogliamo, la “periferia” e la “città”.

Nelle periferie si concentrano maggiormente le disparità economiche in quanto in questi territori scarseggiano sempre più le disponibilità della governance locale a finanziare servizi e, in generale, “welfare”.

Vediamo come, soprattutto negli ultimi anni, i processi di gentrificazione abbiano influito sullo sviluppo di questa divaricazione, che si sta sempre più amplificando; il fenomeno della gentrificazione è accompagnato spesso e volentieri dalle cosiddette “grandi opere” (o “grandi eventi”), in cui speculazione edilizia e finanziaria vi fanno da padrone.

Il processo di gentrificazione è stato molto ben descritto fin dagli anni Cinquanta soprattutto per Londra e New York. E’ ora un aspetto molto diffuso della geografia urbana delle maggiori città a “capitalismo avanzato” e ha esempi in alcune città dell’Europa centrale e nelle grandi città brasiliane. La globalizzazione ha infatti prodotto una classe di “professionisti”, che può essere paragonata allagentry, cioè alla piccola nobiltà inglese. Un’aristocrazia d’oggi che s’insinua nei vecchi tessuti della città cercando di farli propri, secondo i suoi gusti e le sue esigenze, generando così una rigenerazione di quartieri urbani, determinata dall’insediamento di gruppi sociali ad alto reddito nelle periferie.

Vera e propria strategia di marketing per certi quartieri, speculazione edilizia e di sostituzione dei secoli passati (da Haussmann in poi) per altri.

La gentrificazione non risparmia nemmeno i quartieri operai, dove le case restaurate lievitano di costo e costringono i suoi storici abitanti ad abbandonare il quartiere. Ma non risparmia nemmeno la nostra zona universitaria, che già da tempo è nell’occhio del ciclone (o meglio, di istituzioni e università), che vorrebbe trasformarla in una splendida cittadella universitaria “vetrina”, gentrificando, appunto, il vero soggetto universitario con i suoi gusti, le sue esigenze, la sua espressività.

Le grandi opere hanno un ruolo fondamentale in questo contesto; prendiamo ad esempio l’imminente grande evento che si terrà nella città di Milano, l’Expo.

Finanziare la riqualificazione di alcuni quartieri a discapito di altri, che vengono destinati al degrado e all’incuria o, forse peggio, consegnati nelle mani di costruttori e speculatori edili per favorire la crescita immobiliare della città – nascondendosi dietro un’impellente crescita demografica in realtà inesistente – ci mostra già il reale scopo di questi grandi eventi, ossia il poter gonfiare le tasche di chi, oltre a non averne bisogno, riduce in brandelli quel “diritto alla città” che i movimenti stanno da tanto tempo cercando di conquistare.

Il “modello Expo” è un modello che ci parla di sfruttamento e precarietà, che riguarda innanzitutto i giovani (in una fase in cui la disoccupazione giovanile tocca apici storici, arrivando al 43,9%, tasso più alto dal 1977).

Quando lottiamo e denunciamo le istanze che denotano questi grandi eventi, non lo facciamo semplicemente dentro una temporalità limitata, ma lo facciamo per ritrovare nelle contraddizioni e nelle incrinazioni di questo sistema neoliberista una possibilità di soggettivazione, per poi trasformarla inrabbia costituente.

Dobbiamo ampliare i nostri orizzonti, allargare il confine dei “bordi” dell’università entrando nei quartieri, incontrando quel soggetto giovanile non ancora ben delineato e definito, quel soggetto giovanile che vive ogni giorno sulle proprie spalle il peso del “modello Expo” e che sicuramente non troveremo tra i banchi delle nostre università.

Dobbiamo essere capaci di inchiestare questo soggetto sottolineandone tutte le contraddizioni che esso può portare seco per farne un soggetto in lotta al sistema Expo e non solo.

Perché Expo non (è solo sei mesi, non è solo a Milano. Lo ritroviamo in ogni città, in ogni fabbrica, in ogni magazzino, ogni giorno, ogni anno.

Essendo i giovani i diretti interessati, il nostro compito si deve concentrare nel territorializzarci dentro i quartieri dove è possibile incontrare il nuovo soggetto giovanile (e la rabbia che porta dentro) emergente.

La rivolta delle banlieue del 2005 a Parigi questo ce l’ha insegnato, le periferie nascondono grandi soggettività latenti e inespresse, che aspettano di essere inchiestate e analizzate nelle loro molteplicità.

 

tratto da Univ-aut.org

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