Kenya: petrolio e guerra
Inizialmente il progetto doveva permettere uno sbocco sul mare a Etiopia e Sud Sudan,dopo la scoperta di giacimenti nel lago Albert anche l’Uganda si avvarrà del terminal petrolifero kenyano per l’esportazione del greggio attraverso un accordo siglato ufficialmente il 27 giugno 2012.
Il porto di Lamu fa parte di un progetto più ampio denominato Lapsset ( Lamu Port-South Sudan-Ethiopia Transport Corridor) che insieme al “Great Equatorial land bridge“ forma un vasto progetto di infrastrutture di trasporto che entro il 2030 dovrebbe collegare la costa kenyana dell’Oceano Indiano a Juba, la capitale del Sud Sudan, e l’Etiopia passando poi attraverso la poverissima repubblica Centrafricana per arrivara a Douala, in Camerun, sulla costa atlantica.
Quest’opera gigantesca sta sollevando non poche preoccupazioni sia per i suoi impatti sui mezzi di sussistenza delle popolazioni interessate dal passaggio di strade e oleodotti sia per quanto riguarda l’impatto politico, o meglio: geopolitico e i problemi che da esso ne derivano, non solo nei paesi attraversati da questa pipeline ma anche nei paesi vicini, come la Somalia che confina proprio con l’isola di Lamu.
Il progetto LAPSSET comprende, inoltre, la costruzione di una ferrovia a scartamento normale di 1.500 km che collegherà Lamu a Nakodok, lungo la frontiera tra Kenya e Sud Sudan, gli oleodotti dal Sud Sudan all’Etiopia, una raffineria di petrolio, tre aeroporti e tre centri turistici nelle città keniane di Isiolo e Lamu e sulle rive desertiche del remoto Lago Trkana.
Come ha affermato Silvester Kasuku, direttore generale dell’autority per lo sviluppo di Lapsset: «Noi pensiamo che il prossimo gigante a risvegliarsi sarà il continente africano. Ci aspettiamo che i Paesi che prenderanno le prime misure riguardo la messa in campo di infrastrutture adatte e di condizioni favorevoli agli investimenti siano quelli che ne beneficeranno di più. Quindi, è il Kenya che prende la testa».
Al di là dei proclami pionieristici ci sono dei problemi non da poco che ostacolano il progetto del governo kenyano, in primo luogo le proteste della popolazione locale riguardanti l’esproprio delle terre, le popolazioni locali hanno capito fin da subito che non saranno loro a trarre benefici da quello che han capito essere sfruttamento e devastazione del territorio visto che il governo si era impegnato, a parole, nel difendere le popolazioni locali dal land grabbing selvo poi spedirle fuori dalle proprie case, d’altronde è illuminante la dichiarazione fatta da Jonathan Lodompui (segretario del progetto Vision 2030): «Il governo cercherà di procurarsi dei fondi per indennizzare al tasso attuale di mercato le persone sfrattate per i lavori di costruzione del porto di Lamu. Però il sistema di possesso collettivo delle terre complica il processo di indennizzo a causa dell’assenza di titoli di proprietà fondiaria individuali», ma non dovrebbe essere proprio il governo kenyano a garantire la proprietà comunitaria delle terre e ad impedire il land grabbing?
Ma l’ostacolo più grande è rappresentato dalla vicina Somalia ed è proprio questo punto che andremo ad approfondire visto che le motivazioni delle recenti azioni armate verificatesi ultimamente Kenya e rivendicate da Al Shabab (un organizzazione armata somala) come l’attacco al Westgate Shopping Mall o la bomba del 2 gennaio a Diani sono da ricercarsi nelle operazioni di guerra da parte dell’esercito kenyano in Somalia volte a “pacificare” il paese confinante in vista di quest’ambizioso progetto.
AL SHABAB
Prima di tutto è doveroso guardare alla Storia recente della Somalia. Dopo la caduta di Siad Barre, avvenuta nel 1991, che governò la Somalia dal 1969 (data della fine del mandato fiduciario dell’ Italia) il paese è rimasto senza governo, teatro di una guerra infinita che vede contrapporsi bande armate al servizio di interessi da parte dei paesi vicini, delle mutinazionali che lucrano sui traffici che passano per l’Oceano Indiano, delle imprese di smaltimento che,su quelle coste,scaricano i rifiuti tossici (principale motivo per cui molti villaggi di pescatori si sono convertiti alla pirateria).
Dal 1991 al 1995 le truppe statunitensi e dell’ ONU occuparono la Somalia con la “missione di pace” denominata Restor Hope, (cui partecipò anche l’Italia) che si rivelò un fallimento l’atteggiamento dei soldati ONU e USA provocò la rabbia e l’aperta ostilità della popolazione dopo la battaglia di Mogadiscio i marines statunitensi lasciarono il paese, seguiti l’anno successivo dalle truppe dell’ ONU.
Nel 2004 un debole tentativo di pacificazione politica sembrava essere giunto a termine fu eletto dalla IGAD (l’organizzazione politico-commerciale formata dai paesi del Corno d’Africa) un parlamento federale e furono nominati un presidente ad interim (Abdullahi Yusuf Ahmed) e un governo, il Governo Federale di Transizione somalo (Tfg) (con Primo Ministro Mohamed Mohalim Gedi). Queste deboli istituzioni tuttavia non riuscirono a rendere effettivo il loro potere e a governare davvero il paese,questo perchè né il Parlamento, né il Governo sono stati eletti, bensì sono usciti da una trattativa durata due anni in Kenya tra i vari signori della guerra. Era la 14a conferenza di “pace”, ma questa volta erano presenti anche gi USA e, attraverso l’Etiopia e la UE.
Proprio per questa non trascurabile presenza i vari gruppi armati sono accordati per creare una parvenza di governo e Mr. Yusuf, il capo di uno di gruppi armati più forti all’interno del paese, è stato nominato Presidente. Al di là di una facciata concorde nessuno intendeva consegnare il proprio feudo.
Nel 2006, tuttavia, i vari warlords somali si dovettero unire in una guerra ufficialmente contro Al qaeda, ma in realtà contro un gruppo nato nelle moschee del paese le Corti islamiche, che minacciava la loro esistenza (da qui nasce la “guerra contro Al Qaeda” del governo somalo .
Nella seconda metà del 2006 le Corti Islamiche controllavano la maggior parte del paese (Mogadishio compresa), fu allora che in aiuto del governo di transizione,che nel frattempo si era alleato con il Puntland,scesero in campo gli USA, mentre nel dicembre dello stesso anno, con la risoluzione n. 1725, l’ONU tolse l’embargo di armi al governo di transizione somalo.
Pochi giorni dopo si riacutizzarono gli scontri tra le milizie delle Corti islamiche e le truppe fedeli al governo provvisorio di Baidoa (sostenute militarmente dall’Etiopia).
Sul finire dello stesso mese, le truppe etiopi, intervenute pesantemente a sostegno del governo di Baidoa, entrarono nella capitale somala dopo pochi ma violentissimi giorni di guerra, provocando migliaia di morti.
Dopo la sconfitta delle corti islamiche nasce al shabab, nota anche come ash-Shabaab, Hizbul Shabaab (dall’arabo Ḥizb al-Shabāb, Partito della Gioventù, e Movimento di Resistenza Popolare nella Terra delle Due Migrazioni (MRP), dal 2012 al-Shabaab controlla ancora vaste zone delle regioni meridionali della Somalia.
Inizialmente era un gruppo giovanile all’interno delle Corti Islamiche,dopo la disfatta di quest’ultime subentrò a quest’ultime nella guerra contro il governo di transizione somalo.
I primi successi di rilievo si videro all’inizio del 2009 con la presa di Baidoa, principale base del governo, il 26 gennaio. Inizialmente l’organizzazione riuscì ad affermarsi con una certa rapidità ai danni del debole governo guidato dal Presidente Sharif Ahmed, ex leader dell’Unione delle Corti Islamiche .
L’AMISOM L’INVASIONE DELLA SOMALIA e IL RUOLO DELL’ITALIA
A partire dagli ultimi mesi del 2011 il potere di Al-Shabaab è notevolmente diminuito. Questo forte indebolimento è dovuto soprattutto all’inizio dell’Operazione Linda Nchi, un’operazione militare coordinata condotta dagli eserciti di Somalia e Kenya proprio contro Al-Shabaab. Il 25 maggio 2012 le truppe del governo somalo e quelle dell’AMISOM hanno ripreso la città di Afgoi, prima controllata dal gruppo terroristico, e l’11 luglio hanno conquistato anche le zone circostanti, smantellando il campo di addestramento situato nel villaggio di Laanta Bur. Il 31 maggio è stato riconquistato anche il villaggio di Afmadh di fondamentale importanza per la sua rete di strade, in grado di garantire accesso a numerose aree del paese. Tra il 28 settembre e il 1 2013 ottobre l’esercito somalo, sempre appoggiato dall’AMISOM, ha riconquistato con una vera e propria battaglia Kisimaio,una città somala sede di un importantissimo porto commerciale che Al-Shabaab aveva occupato nell’agosto 2008 ed era la loro capitale.
La guerra in Somalia,ma sarebbe meglio dire:l’attuale situazione di guerra in Somalia, vede la partecipazione di differenti attori: oltre alle truppe dell’“AMINSON” (African Union Mission In Somalia) composte dalle trupe Keniane, Ugandesi Etiopiche e Burundesi, sono scesi in campo anche gli USA, attraverso droni che decollano da basi situate in Kenya, Etiopia e Gibuti, dal gennaio del 2010 è presente anche un contingente italiano della Folgore all’interno della missione EUTM. Istituita nel gennaio 2010 dal Consiglio Europeo che ha approvato l’nvio di una missione militare per contribuire all’addestramento delle Forze di sicurezza locali, ossia l’esercito del Governo di Transizione Somalo.
C’è da aggiungere che la mancanza di un reale governo, all’interno della Somalia, ha favorito le mire espasionistiche del Kenya, che sembra puntare al controllo del corno d’Africa, strategico per le rotte commerciali che passano dall’oceano indiano e in particalr modo al controllo del porti di Kismaayo, Marka, Baraawe, Buur Gaabo, Eel Ma’an, Qudha, attualmente controllati da al Shabab e che fruttano tra i trenta e i cinquanta milioni di dollari all’anno attraverso un accurato sistema di tasse, sistema di prelievo fiscale: dalle tasse portuali a quelle sull’indotto generato dalle merci importate ed esportate.
Le entrate principali provengono proprio dal porto di Kismaayo, città situata a poco piùdi 200 km dal confine con il Kenya. Gran parte delle merci importate nel porto, dotato di due ormeggi, rispettivamente di 380 e 280 metri, non sono solo destinate al mercato locale, ma dirette anche ai paesi vicini.
Non potendo fronteggiare direttamente 4 eserciti la scelta di Al Shabab è stata quella di colpire il Kenya in casa propria, sia tra la popolazione locale (come nell’attentato con le granate in un bar di Nairobi), sia i centri frequentati da turisti (come nel duplice attentato di Garissa,o al Westgate shopping Mall oppure l’attacco a Diani).
La partita è ancora aperta e non riguarda solo il petrolio ma l’affermarsi del Kenya come potenza regionale attraverso il controllo delle nuove pipelines ugandesi e sud-sudanesi da un lato e il controllo delle rotte sull’Oceano Indiano attraverso la costa somala.
Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.