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L’inimmaginabile. Dall’Era Pandemica alla Vax War: evoluzione di una rivolta prevedibile

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di Franco «Bifo» Berardi

…Per conservarsi, il più malato degli animali malati, l’uomo, è costretto a inibire le forze vitali che gli premono dentro, a reprimere gli impulsi che naturalmente lo muovono…

Roberto Esposito, Immunitas. Protezione e negazione della vita

Vax Wars

Quando il virus si diffuse rapidamente sul pianeta, lo scambiammo per un invisibile nemico comune e ci sentimmo per un breve momento affratellati. «Andrà tutto bene», scrivevano i ragazzini sui cartelli. Voleva dire: l’umanità associata non può che vincere la battaglia contro il male. Non è sempre andata così?

In verità non è sempre andata così, anzi. Ma potevamo e volevamo crederlo, perché eravamo impegnati nell’ennesima battaglia contro la natura, che stava tentando di sterminarci. Tutta la storia umana è stata una successione di battaglie contro la natura: da quelle battaglie nacquero la tecnica, la medicina, la civiltà sociale. Poi la natura iniziò il suo contrattacco, non per odio nei nostri confronti ma per cieca necessità. Onde oceaniche anomale, foreste in fiamme, ghiacciai alla deriva, e alla fine il virus.

In un primo momento ci siamo sentiti uniti come un unico corpo minacciato. Poi è intervenuta la tecnica, determinazione non simbolica del linguaggio che si inserisce direttamente nella vita, e ha prodotto la formula chimico-algoritmica di un vaccino, che poi non è proprio un vaccino ma piuttosto una protesi mutagena inserita nel sistema immunitario. In seguito, nel giro di pochi mesi è arrivata la produzione delle fiale, dei sieri, dei contenitori, insomma tutta la filiera industriale che rende disponibile la protezione, l’immunità.

Siamo così entrati nella seconda fase dell’Epoca Virale, ed è mutata la disposizione degli umani verso gli umani: non più uniti nel subire l’offensiva della natura, ma schierati in competizione per il potere sulla tecnica vaccinale.

Il regime della scarsità delle difese salvavita restaura la condizione della guerra, sospesa finché eravamo accomunati dall’essere indifesi. Ecco allora che il vaccino riprogrammatore diviene il terreno su cui si ridefiniscono i giochi simbolici dell’economia, della geopolitica e della guerra.

Anche l’immunità diviene una merce. Prodotto del lavoro tecnico-scientifico di virologi biologi ingegneri, oggetto dell’appropriazione corporativa che la sottomette al dominio del profitto, l’immunità istituisce la nuova frontiera della schiavitù umana.

Quando il vinto si inginocchia davanti al vincitore e chiede che a lui e ai suoi figli venga risparmiata la vita, in quel momento il vinto diviene schiavo, e i suoi figli divengono schiavi con lui. La vita, solo la vita, non importa quale vita.

Schiavo è colui a cui è stata concessa la sopravvivenza. Schiava è l’umanità che va emergendo tra disciplina del distanziamento e guerra dell’immunità. L’automa cognitivo, che si sta costituendo connessione dopo connessione, aveva bisogno della nostra illimitata sottomissione, e l’esperienza che tutti gli esseri umani stanno vivendo a partire dall’anno 2020 è proprio quella dell’illimitata sottomissione dei vinti che si inginocchiano di fronte all’automa con la siringa, e chiedono che l’automa risparmi loro la vita, nient’altro che la vita, non importa quale vita.

Da questo momento la storia del genere che fu umano è conclusa, inizia la storia del gregge, inizia la sottomissione al potere superiore della riprogrammazione immunitaria che sceglie chi merita di sopravvivere come schiavo e chi merita di essere scartato.

Non è previsto che qualcuno respinga la salvezza che proviene dall’automa. Non è previsto che qualcuno preferisca la morte alla sottomissione.

La creatività scientifica che produce il vaccino e tutte le altre belle cose della tecnologia non ha niente a che vedere con gli azionisti delle corporation. Quelli sono una manica di ignoranti che non sanno niente di biologia né di virologia né di ingegneria: la sola cosa che hanno studiato è l’economia, che non ha nulla a che fare con la scienza.

 

La fase genocidaria del capitalismo

Il 13 marzo 2021 l’Organizzazione Mondiale del Commercio (il famoso WTO contro cui si battevano gli insorti di Seattle nel novembre 1999) ha parlato: rispondendo alla richiesta di liberare la produzione dello pseudo-vaccino dalla signoria del brevetto, che proveniva da Sud Africa, India e dal direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), i custodi dell’ordine dei mercati hanno sentenziato che per nessuna ragione si può sospendere l’applicazione del trattato sui cosiddetti diritti sulla proprietà intellettuale, anche se c’è il rischio che milioni di persone muoiano perché non ci sono abbastanza vaccini disponibili.

La favola che raccontano gli economisti neoliberali recita così: senza profitti sull’innovazione scientifica non ci sarebbe il vaccino. Il profitto è retribuzione del rischio. Si tratta di una duplice menzogna. Prima di tutto le corporazioni Big Pharma non hanno rischiato niente perché sono state finanziate dagli Stati affinché producessero il vaccino al più presto, quindi il loro profitto l’hanno avuto in anticipo; adesso se ne stanno prendendo un secondo, illegittimo. Inoltre, non è affatto vero che la creatività scientifica rallenta e langue se gli azionisti di Big Pharma non incassano profitto. Si tratta di un paralogismo da quattro soldi (si fa per dire, i soldi in questione sono miliardi). La creatività scientifica che produce il vaccino e tutte le altre belle cose della tecnologia non ha niente a che vedere con gli azionisti delle corporation. Quelli sono una manica di ignoranti che non sanno niente di biologia né di virologia né di ingegneria: la sola cosa che hanno studiato è l’economia, che non ha nulla a che fare con la scienza. Il vaccino è stato costruito dai lavoratori cognitivi, come ogni altro miracolo della tecnica con cui gli ignorantissimi capitalisti si fanno belli e soprattutto ricchi.

Nel secondo anno dell’Era Pandemica siamo entrati nella fase Vax War: è la guerra di tutti contro tutti per infilarsi un ago nella pelle: l’umanità scende allora sul gradino più basso, l’immondo carnevale del cinismo terminale. Angloamericani e israeliani sono stati i più rapidi, gli europei si sono fatti gabbare, hanno pagato in anticipo ma Big Pharma non gli manda le boccette di vaccino perché c’è qualcuno che paga di più. Uno Stato nazionale contro l’altro, una categoria professionale contro l’altra, i vecchi contro gli operai, e soprattutto i paesi ricchi contro quelli poveri.

Quanti moriranno per l’avidità proprietaria protetta dai TRIPs (Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights)? Forse solo qualche milione, perché i poveri sono giovani, e i vecchi bianchi ricchi hanno la precedenza nella gara infame del si salvi chi può. La World Trade Organisation ha chiuso la questione: neppure di fronte alla morte si può sospendere la logica del profitto.

Su L’Express del 12 febbraio 2021, in un articolo dal titolo «Pour ou contre: faut-il libérer les licences des vaccins?», Najat Vallaud-Belkacem afferma che «tra il 1998 e il 2004, 9,3 milioni di persone sono morte di AIDS nell’Africa subsahariana a causa del costo esorbitante del trattamento». D’ora in avanti sappiamolo: il capitalismo è entrato nell’Era Genocidaria, e il Covid-19 non è che l’inizio.

 

Tornano gli anni Venti

La rivista Bloomberg Businessweek ci promette che stanno per arrivare finalmente gli anni ruggenti. In un articolo pubblicato il 26 gennaio 2021, Peter Coy preconizza allegria e prosperità a partire dal 2024. Dopo aver osservato che storicamente dopo le epidemie c’è un risveglio euforico, si sofferma in particolare sugli anni Venti del secolo passato, un periodo di boom economico e diffusione popolare delle tecnologie dopo la guerra mondiale e la pandemia di «spagnola», quando tutti ballavano il charleston e il foxtrot.

Non ho ragione di guastare le feste future, figuriamoci, ma vorrei ricordare a Peter Coy che seppure gli anni Venti furono prosperi per alcuni (non per i lavoratori tedeschi costretti a pagare i risarcimenti di guerra, né per i lavoratori della Industrial Workers of the World massacrati dagli agenti della Pinkerton), la conclusione non fu proprio brillante: il crollo del ’29, la Grande Depressione americana, e per finire il nazismo e la guerra.

A parte ciò, due o tre particolari non irrilevanti rendono lo scenario del nostro tempo un po’ diverso da quello del Grande Gatsby.

La prima differenza sono le dimensioni della popolazione mondiale, che da un miliardo e mezzo è balzata a quasi otto miliardi. La seconda è l’invecchiamento medio della popolazione dell’emisfero Nord. La terza, fondamentale, è che l’espansione dell’economia incontra oggi un limite invalicabile nell’esaurimento delle risorse, nell’irreversibilità della degradazione ambientale, e nell’esaurimento delle energie nervose, mentre negli anni Venti del secolo passato l’espansione industriale era in pieno svolgimento.

Il 10 marzo 2021, però lo stesso Peter Coy sembra averci ripensato: sulla stessa rivista avverte che l’effetto sociale della pandemia è un’accentuazione devastante della diseguaglianza. Nell’articolo «The Legacy of the Lost Year Will Be Devastating Inequality» scrive:

Il futuro danno cumulativo sarà probabilmente ancor più grande di quello provocato dal Covid nel suo primo anno. La società sembra essere un lungo degente, come certi pazienti che hanno problemi sanitari persistenti. E i più svantaggiati saranno quelli che soffriranno di più… Ma le disuguaglianze interne sono poca cosa rispetto alla distanza che si accentua tra i diversi paesi. L’anno scorso gli esperti sanitari hanno diffuso un piano di distribuzione equa dei vaccini per dare priorità alla prevenzione della morte, soprattutto della morte prematura. Ma il piano è stato ignorato perché le nazioni più ricche si sono affrettate ad accaparrarsi le forniture.

Grandi manovre sono in corso nelle segrete del ciberspazio.

 

Silenzio

Alla disintegrazione del legame sociale corrisponde l’integrazione dell’automa cognitivo globale. La pandemia ha enormemente ampliato lo spazio del digitale nella vita sociale: paralisi dei corpi distanziati, sottomissione della mente interconnessa. Una parte sempre più decisiva della sopravvivenza dipende dalla connessione.

Nel frattempo si delinea all’orizzonte una guerra di nuovo genere. Dal marzo del 2020 un agente incognito (probabilmente russo, ma chi lo sa) ha condotto un’operazione di hacking sofisticatissima che ha penetrato il software Orion dell’azienda texana SolarWinds. 18.000 siti americani sono stati infiltrati per almeno sei mesi: in gran parte agenzie amministrative, industriali e militari. Secondo Steven J. Vaughan-Nichols SolarWinds: “It’s Pearl Harbor”; un altro articolo lo riassume così:

ll cyber-attacco a SolarWinds appare come l’attacco più pesante che gli Stati Uniti abbiano subìto, e ha colpito sistemi critici di agenzie governative e di imprese private. Non è ancora chiara l’estensione di questa interferenza, che potrebbe riguardare anche centrali nucleari, impianti idroelettrici, sistemi di controllo del traffico e del ciclo industriale. […] La possibilità di controllare questi sistemi permette a chi compie l’attacco di provocare il caos in qualunque momento. Per di più questi cyber-attacchi ai sistemi governativi possono eliminare la capacità di comando, controllo e comunicazione…

Adesso il nuovo presidente americano minaccia ritorsioni contro questo attacco, e grandi manovre sono in corso nelle segrete del ciberspazio: possiamo prevedere senz’altro che nei prossimi anni l’infrastruttura digitale sarà sempre più teatro di incursioni invasive o distruttive. Conseguenza della guerra che si prepara è il black out dei servizi informatici cui ci siamo assoggettati al punto che la vita è diventata impossibile senza. Vittima della guerra sarà la vita quotidiana, sempre più dipendente da un sistema interconnettivo che è diventato il principale campo di battaglia. La sola cosa che potremo fare a quel punto sarà sederci in poltrona e leggere Il silenzio l’esile ultimo romanzo di Don de Lillo uscito per Einaudi, che ci racconta proprio come va a finire quando una silenziosa bomba informatica colpisce il funzionamento dell’automa connettivo globale, paralizzandolo e paralizzando la vita quotidiana.

 

Una rivolta prevedibile

Il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato un report redatto da Philip Barrett e Sophia Chen dal titolo Social Repercussions of Pandemics, nel quale si prevede che nella primavera del 2022 il mondo sarà attraversato da conflitti di ogni genere: proteste, rivolte, insurrezioni. Ma l’FMI non sembra preoccupato per questa eventualità. Da tempo le rivolte appaiono sempre più incapaci di trovare direzione concreta, unità di intenti, progetto, strategia. Prevedibili come le piogge d’autunno, come le convulsioni di un corpo lungamente compresso, di un cervello che non riesce più a ricevere l’ossigeno necessario per essere cosciente e quindi imprevedibile.

Le rivolte arabe del 2011, le rivolte dell’autunno 2019 sono state enormi convulsioni che hanno avuto come effetto principale quello di aggiungere frustrazione alla frustrazione. La pandemia ha distanziato i corpi e raggelato l’anima. Ora la rivolta è il solo linguaggio che possediamo per riattivare il corpo intorpidito. Ma se non siamo capaci di inventare un dopo la rivolta, allora dopo la rivolta c’è solo l’autismo, l’immunizzazione psichica. Il processo di immunizzazione, infatti, non investe soltanto l’organismo fisico, ma tende a investire anche la sfera psichica: immunizzazione psichica è la riduzione o l’azzeramento della percezione empatica della vita circostante: autismo tendenziale di chi ha vissuto la rivolta come sconfitta, di chi teme l’innamoramento per il timore della delusione, di chi rinuncia al desiderio perché il piacere sembra inattingibile.

La rivolta verrà, lo sa perfino il Fondo Monetario, ma noi dobbiamo deluderlo. Dovremo andare molto più a fondo di quanto il Fondo possa immaginare. Dobbiamo immaginare l’inimmaginabile, e sperimentarlo.

 

Da Not NeroEdition

 

Di Tamara Nassar. Le organizzazioni di coloni minacciano di sfrattare con la forza 15 famiglie palestinesi dalle loro case di Gerusalemme nei prossimi mesi.

Secondo il gruppo palestinese per i diritti umani Al-Haq, ciò coinvolge 37 gruppi familiari e circa 195 individui.

Le famiglie risiedono nell’area di Karm al-Jaouni del quartiere di Sheikh Jarrah e nell’area di Batan al-Hawa del quartiere di Silwan.

Lo scorso novembre i tribunali israeliani si sono pronunciati a favore dei gruppi di coloni per lo sfratto delle famiglie palestinesi.

I due gruppi sono Nahalat Shimon International – una società registrata negli Stati Uniti – e Ateret Cohanim – un’organizzazione di insediamento di destra.

Entrambe le organizzazioni aiutano il governo israeliano ad attuare la colonizzazione delle proprietà palestinesi a Gerusalemme.

Dopo sette decenni.

A febbraio, un tribunale distrettuale di Gerusalemme si è pronunciato contro un appello di sei famiglie residenti a Sheikh Jarrah contro il loro sfratto.

Peace now, movimento che vigila sugli insediamenti israeliani, ha detto che alle famiglie è stato dato “un paragrafo” ciascuna per sostenere il loro caso e rimanere nelle quattro case in cui hanno vissuto per quasi 70 anni.

Secondo Peace Now le famiglie di Sheikh Jarrah possedevano case e terreni nell’attuale Israele prima della Nakba del 1948.

Dopo essere diventati rifugiati, i membri delle famiglie palestinesi si sono trasferiti nella zona di Karm al-Jaouni, nel quartiere di Sheikh Jarrah, in case costruite dal governo giordano e dalle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi negli anni successivi alla Nakba, negli anni ’50.

In cambio della promessa di proprietà della terra e delle proprietà, le famiglie hanno rinunciato a determinati diritti che sarebbero stati loro forniti come rifugiati dall’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi UNRWA.

Quando Israele occupò la parte orientale di Gerusalemme nel 1967, il titolo legale della terra e delle proprietà non era ancora stato loro trasferito in modo appropriato.

I gruppi di insediamenti israeliani hanno approfittato del fatto che mancava tale registrazione e hanno lanciato una battaglia legale per sgomberare con la forza le famiglie.

Le sentenze del tribunale sono state rese possibili da un emendamento alla legge israeliana sulla proprietà degli assenti del 1950.

La legge consente a Israele di sequestrare terre e beni di proprietà di rifugiati palestinesi che sono fuggiti o sono stati espulsi dalle loro case durante e dopo la Nakba, la pulizia etnica della Palestina del 1948 da parte delle milizie sioniste.

In base a un emendamento del 1970 alla sua legge, Israele consentì agli ebrei di reclamare le proprietà di Gerusalemme che avrebbero lasciato nel 1948, ma non concesse lo stesso diritto ai palestinesi – una misura palesemente discriminatoria.

Il tribunale ha ordinato alle famiglie della zona di Karm al-Jaouni di lasciare le loro case entro il 2 maggio.

Ad altre famiglie è stato ordinato di andarsene entro agosto.

Mentre quelle famiglie sono costrette a lasciare le case in cui hanno vissuto per sette decenni, perché quella terra presumibilmente apparteneva agli ebrei prima della Nakba, alle stesse famiglie non è permesso di tornare nelle case da cui sono state costrette a fuggire prima del 1948 esclusivamente perché non sono ebrei.

Una Nakba in corso

Il gruppo palestinese per i diritti umani Al-Haq ha detto che Israele “applica illegalmente la legge interna israeliana al territorio occupato” implementandola a Gerusalemme est.

Una coalizione di 14 organizzazioni per i diritti umani, tra cui Al-Haq, ha inviato un appello urgente agli esperti delle procedure speciali delle Nazioni Unite all’inizio di questo mese, avvertendo di imminenti sgomberi forzati nella Gerusalemme est occupata.

“I palestinesi a Gerusalemme Est continuano a sopportare una Nakba continua, ha detto Al-Haq, “poiché continuano a vedersi negato il loro diritto inalienabile di tornare alle loro case, alle loro proprietà e alle loro terre”.

Le cause intentate dai gruppi di coloni fanno parte di una “mossa organizzata, progettata per espropriare una comunità palestinese della loro casa e stabilire un insediamento a Sheikh Jarrah al suo posto”, ha detto Peace Now.

Dall’inizio dell’anno, Israele ha demolito o sequestrato più di 30 strutture palestinesi nella Gerusalemme est occupata, costringendo più di 50 persone, oltre la metà delle quali bambini, a rimanere senza casa.

“Se il governo non interrompe gli sgomberi”, avverte Peace Now, “potremmo assistere a massicci sfratti di famiglie nei prossimi mesi”.

“Il tribunale è solo lo strumento (…) che i coloni usano con la stretta assistenza delle autorità statali per commettere il crimine di sfollare un’intera comunità e sostituirla con gli insediamenti”, ha detto Peace Now.

“Non abbiamo un posto in cui andare”.

La famiglia di Mohammed El-Kurd è una di quelle che dovrebbero essere sgomberate con la forza dalla loro casa a Sheikh Jarrah entro il 2 maggio.

“La mia famiglia sta attualmente aspettando, non lo so, che Dio faccia un miracolo”, ha detto El-Kurd, 22 anni, a The Electronic Intifada.

El-Kurd è nato e cresciuto a Gerusalemme. La sua famiglia vive nella loro casa di Sheikh Jarrah dal 1956.

A 18 anni El-Kurd si è trasferito negli Stati Uniti per proseguire gli studi.

El-Kurd ha detto di essere terrorizzato per la sua famiglia, sette membri della quale vivono nella casa di Sheikh Jarrah.

“Non abbiamo un posto dove andare, non abbiamo un posto dove stare, non abbiamo i soldi o disponibilità economica”, ha detto a The Electronic Intifada.

El-Kurd afferma che nel 2009 metà della sua casa di famiglia è stata rilevata da Elad, un’organizzazione il cui obiettivo dichiarato è quello di “giudaizzare” Gerusalemme Est trasferendovi il maggior numero possibile di coloni israeliani.

Sforzo a lungo termine.

Altre centinaia di palestinesi a Sheikh Jarrah e Silwan stanno affrontando procedimenti legali simili avviati da gruppi di coloni.

Il gruppo di monitoraggio delle Nazioni Unite OCHA ha stimato nel 2019 che circa 877 palestinesi, dei quali 391 bambini, sono minacciati di sgomberi forzati per lo più per mano di organizzazioni di coloni.

I coloni agiscono attraverso azioni legali che, secondo Al-Haq, sono “lunghe, estenuanti e inaccessibili” per i residenti palestinesi presi di mira.

I tribunali israeliani essenzialmente timbrano queste cause in modo da farle apparire come una questione legalmente risolta all’interno del sistema giudiziario israeliano quando la vera motivazione è quella di cacciare i palestinesi dalla città tutti insieme.

Israele già crea un “ambiente coercitivo” – secondo Al-Haq – per i palestinesi nella Gerusalemme est occupata, murando, isolando e distruggendo i quartieri palestinesi, costringendo infine la popolazione palestinese a lasciare la città.

Occhi su Sheikh Jarrah.

Gli occhi dei coloni sono puntati sul quartiere di Sheikh Jarrah da tempo.

L’Israel Land Fund, un’organizzazione di insediamenti di destra che mira a spingere i palestinesi fuori dalla loro terra e sostituirli con ebrei israeliani, è un attore chiave in questo sforzo.

Arieh King, il direttore e fondatore dell’organizzazione, ha dichiarato al Jerusalem Post nel 2017 che “Sheikh Jarrah, o Shimon Hatzadik, sta attraversando una rivoluzione e vedremo il suo esito in qualcosa come cinque anni”.

L’Israel Land Fund pubblicizza una “opportunità di investimento” sul suo sito web per incoraggiare gli investitori ad acquistare appezzamenti di terreno nell’area “Nahalat Shimon”, un nome dato a un’area che comprende la maggior parte di Sheikh Jarrah e altre parti della Gerusalemme est occupata, dove vivono i palestinesi.

Il gruppo non nasconde il suo obiettivo finale: “Il nostro obiettivo è acquistare la maggior parte degli appezzamenti nella zona” e chiaramente ripulirli dagli “arabi che ci hanno costruito illegalmente o li stanno affittando”.

Michael Lynk, il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina, ha avvertito dell’imminente sgombero dei palestinesi dalla città all’inizio di quest’anno.

Lynk ha detto che le aree mirate “non sono casuali, ma sembrano essere strategicamente focalizzate su un’area di Gerusalemme Est conosciuta come il bacino storico”.

Peace Now e Ir Amim, un gruppo israeliano che documenta l’attività di insediamento a Gerusalemme, hanno affermato in un rapporto del 2016 che l’obiettivo dei gruppi di insediamento è quello di “consolidare il controllo ebraico” del cosiddetto bacino storico e creare una realtà demografica “irreversibile” sul terreno.

Nel mese di febbraio Israele ha demolito, costretto le persone a demolire e sequestrato più di 150 strutture palestinesi.

“Questa è la quarta cifra più alta registrata in un solo mese” da quando, nel 2009, il gruppo di monitoraggio ha iniziato a documentare con sistematicità. Di conseguenza, Israele ha reso senzatetto più di 300 palestinesi.

Nonostante l’inesorabile guerra di Israele contro i palestinesi nella Gerusalemme est occupata, i palestinesi sono determinati a restare.

“Non ho alcun senso di identità al di fuori di Sheikh Jarrah. Non ho alcun senso di appartenenza al di fuori di Sheikh Jarrah”, ha detto El-Kurd a The Electronic Intifada.

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