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Bifo sul 15 ottobre: “La violenza? Meglio un mantra”


Ucito sul Manifesto
di oggi, il commento di Bifo sulla giornata del 15 ottobre. Stupisce come alberghi molta più intelligenza e capacità di leggere talune emergenze del sociale-politico in alcuni vegliardi rispetto a molti giovani autonominatisi rappresentanti del 99%.

Bifo in fondo dice questo: io non desideravo quel che è successo… ma è successo… vogliamo metterci le fette di salame davanti agli occhi o  prendiamo atto che una nuova composizione sociale sta emergendo nelle piazze?

LA VIOLENZA? MEGLIO UN MANTRA

Il 15 febbraio del 2003 cento milioni di persone sfilarono nelle strade del mondo per chiedere la pace, che la guerra contro l’Iraq non devastasse definitivamente la faccia del mondo. Il giorno dopo il presidente Bush disse che nulla gli importava di tutta quella gente e la guerra cominciò. Con quali esiti sappiamo. Dopo quella data il movimento si dissolse, perché era un movimento etico, il movimento delle persone perbene che nel mondo rifiutavano la violenza della globalizzazione capitalistica e della guerra.

Il 15 ottobre in larga parte del mondo è sceso in piazza un movimento similmente ampio. Coloro che dirigono gli organismi che stanno affamando le popolazioni (come la Bce) sorridono nervosamente e dicono che sono d’accordo con chi è arrabbiato con la crisi purché lo dica educatamente. Hanno paura, perché sanno che questo movimento non smobiliterà, per la semplice ragione che la sollevazione non ha soltanto motivazioni etiche o ideologiche, ma si fonda sulla materialità di una condizione di precarietà, di sfruttamento, di immiserimento crescente. E di rabbia. La rabbia talvolta alimenta l’intelligenza, talaltra si manifesta in forma psicopatica. Ma non serve a nulla far la predica agli arrabbiati, perché loro si arrabbiano di più. E non stanno comunque ad ascoltare le ragioni della ragionevolezza, dato che la violenza finanziaria produce anche rabbia psicopatica.

Il giorno prima della manifestazione in un’intervista pubblicata dalla Stampa dichiaravo che a mio parere era opportuno che alla manifestazione di Roma non ci fossero scontri, per rendere possibile una continuità della dimostrazione in forma di acampada. Le cose sono andate diversamente, ma non penso affatto che la mobilitazione sia stata un fallimento solo perché non è andata come io auspicavo. Un numero incalcolabile di persone hanno manifestato contro il capitalismo finanziario che tenta di scaricare la sua crisi sulla società. Fino a un mese fa la gente considerava la miseria e la devastazione prodotte dalle politiche del neoliberismo alla stregua di un fenomeno naturale: inevitabile come le piogge d’autunno. Nel breve volgere di qualche settimana il rifiuto del liberismo è dilagato nella consapevolezza di una parte decisiva della popolazione. Un numero crescente di persone manifesterà in mille maniere diverse la sua rabbia, talvolta in maniera autolesionista, dato che per molti il suicidio è meglio che l’umiliazione e la miseria.

Leggo che alcuni si lamentano perché gli arrabbiati hanno impedito al movimento di raggiungere piazza San Giovanni con i suoi carri colorati. Ma il movimento non è una rappresentazione teatrale in cui si deve seguire la sceneggiatura. Chi è disposto a scendere in strada solo se le cose sono ordinate e non c’è pericolo di marciare insieme a dei violenti, nei prossimi dieci anni farà meglio a restarsene a casa. Ma non speri di stare meglio, rimanendo a casa, perché lo verranno a prendere. Non i poliziotti né i fascisti. Ma la miseria, la disoccupazione e la depressione. E magari anche gli ufficiali giudiziari. Dunque è meglio prepararsi all’imprevedibile. È meglio sapere che la violenza infinita del capitalismo finanziario nella sua fase agonica produce psicopatia, e anche razzismo, fascismo, autolesionismo e suicidio.

Io vado tra i violenti e gli psicopatici per la semplice ragione che là è più acuta la malattia di cui soffriamo tutti. Vado tra loro e gli chiedo, senza tante storie: voi pensate che bruciando le banche si abbatterà la dittatura della finanza? La dittatura della finanza non sta nelle banche ma nel cyberspazio, negli algoritmi e nei software. La dittatura della finanza sta nella mente di tutti coloro che non sanno immaginare una forma di vita libera dal consumismo e dalla televisione. Vado fra coloro cui la rabbia toglie ragionevolezza, e gli dico: credete che il movimento possa vincere la sua battaglia entrando nella trappola della violenza? Ci sono armate professionali pronte ad uccidere, e la gara della violenza la vinceranno i professionisti della guerra. Ma mentre dico queste parole so benissimo che non avranno un effetto superiore a quello che produce ogni predica ai passeri. Lo so, ma le dico lo stesso. Le dico e le ripeto, perché so che nei prossimi anni vedremo ben altro che un paio di banche spaccate e camionette bruciate. La violenza è destinata a dilagare dovunque. E ci sarà anche la violenza senza capo né coda di chi perde il lavoro, di chi non può mandare a scuola i propri figli, e anche la violenza di chi non ha più niente da mangiare. Perché dovrebbero starmi ad ascoltare, coloro che odiano un sistema così odioso che è soprattutto odioso non abbatterlo subito? Il mio dovere non è isolare i violenti, il mio dovere di intellettuale, di attivista e di proletario della conoscenza è quello di trovare una via d’uscita. Ma per cercare la via d’uscita occorre essere laddove la sofferenza è massima, laddove massima è la violenza subita, tanto da manifestarsi come rifiuto di ascoltare, come psicopatia e autolesionismo.

Il nostro dovere è inventare una forma più efficace della violenza, e inventarla subito, prima del prossimo G20 quando a Nizza si riuniranno gli affamatori. In quella occasione non dovremo inseguirli, non dovremo andare a esprimere per l’ennesima volta la nostra rabbia impotente. Andremo in mille posti d’Europa, nelle stazioni, nelle piazze, nelle scuole, nei grandi magazzini e nelle banche e là attiveremo dei megafoni umani. Una ragazza o un vecchio pensionato urleranno le ragioni dell’umanità defraudata, e cento intorno ripeteranno le sue parole, così che altri le ripeteranno in un mantra collettivo, in un’onda di consapevolezza e di solidarietà che a cerchi concentrici isolerà gli affamatori e toglierà loro il potere sulle nostre vite. Un mantra di milioni di persone fa crollare le mura di Gerico assai più efficacemente che un piccone o una molotov.

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