La guerra rivoluzionaria: colloqui con le YPG
“La rivoluzione è l’arte di vedere degli spazi vuoti e saperli riempire” (combattente Ypg a Kobane)
Ormai da settimane siamo in viaggio per il Rojava (Confederazione della Siria del nord) esplorando e approfondendo una realtà rivoluzionaria che di giorno in giorno si delinea davanti ai nostri occhi. Ci muoviamo spesso tra Kobane, la città che si è liberata due volte, e Qamislo, e spesso ci troviamo a discutere e confrontarci con chi si è trovato a difendere e far crescere questa rivoluzione in prima linea sul fronte della guerra che dal 2011 insanguina questi territori: i combattenti e le combattenti delle unità di protezione del popolo e della donna YPG e YPJ.
“Gli stati capitalisti stanno mettendo una grande pressione sul Medioriente (..) creando un grande caos, che però è anche movimento che crea grandi possibilità di cambiamento”. Questo ci dice uno dei comandanti delle YPG incontrato a Kobane, stupendoci per l’entusiasmo con cui questi combattenti affrontano la lotta che li vede impegnati nel confronto contro tutte quelle forze (soprattutto Daesh ma anche il regime di Damasco e le milizie legate alla Turchia) che hanno fatto sprofondare questa regione nel dramma della guerra.
Parlando del passato ci dice che “le primavere arabe sono state l’inizio di una ricerca di libertà e dignità di tanti popoli, che però non erano pronti e organizzati e sono caduti nello scontro fratricida per conto dei potenti. Noi ci sentiamo la continuazione di quei movimenti, ma eravamo pronti e organizzati da anni (..) e abbiamo usato la debolezza del regime nel nord della Siria per riempire questo spazio”. Infatti in particolare in queste zone il movimento curdo aveva iniziato a organizzare politicamente la società e la sua autodifesa da molti anni, facendo un lavoro capillare sul territorio e approfondendo i rapporti e le relazioni che aveva iniziato a stringere Ocalan quando, all’inizio degli anni ’80 era stato in Siria. Fin dall’inizio della guerra civile siriana attraverso il DBK comitato supremo curdo formato dal PYD (partito di unione democratica) e dal KNC (consiglio nazionale curdo) con la sua ala militare clandestina YXG (diventata YPG nel 2012), i combattenti hanno messo in piedi su vasta scala un’operazione di autodifesa delle comunità curde soprattutto qui in Rojava e nei quartieri a maggioranza curda delle principali città. L’obiettivo era quello di preservare la popolazione dall’ escalation di violenza conseguente allo scontro tra il regime e le diverse fazioni ribelli.
“Daesh è il frutto degli attacchi stranieri all’Iraq e Afghanistan, usato per portare il terrore nella società”. Dal 2014 le YPG/YPJ sono impegnate in prima linea e ampiamente riconosciute come le più vittoriose milizie sul territorio nella guerra contro il Califfato e, soprattutto dopo la gloriosa resistenza di Kobane, sono finite alla ribalta delle cronache di tutto il mondo. “Ciò che ci rende così efficaci contro Daesh è che condividiamo la stessa determinazione al sacrificio estremo per la vittoria e che noi, però, combattiamo per creare una vita giusta e socialista”.
Chiediamo loro come si rapportino al fatto che nella guerra siano coinvolte varie potenze straniere, rendendo quello siriano un campo di battaglia internazionale che ha sullo sfondo soprattutto la lotta di potere tra USA e Russia per il controllo di questo strategico territorio e delle sue risorse. Non possiamo infatti non far notare come ai nostri occhi sia difficile parlare di rivoluzione e socialismo quando ci si trova immersi in un conflitto di stampo imperialista.
Ci stupisce ancora una volta la consapevolezza e la chiarezza nell’affrontare questo tema: “con noi non c’è mai stata nessuna alleanza né riconoscimento formale” e non essendo degli ingenui sanno benissimo che qui si giocano degli interessi che non possono essere controllati o modificati dalla volontà dei popoli della Siria. La strategia del confederalismo democratico è chiara- autorganizzazione e autodifesa del popolo- e la forza del progetto politico confederale è quella di superare l’ideologia statalista e con essa il monopolio sul territorio e sulle risorse che finalmente “saranno ripartite equamente per i bisogni della popolazione”. Farà sicuramente parte delle difficoltà di un processo rivoluzionario come questo trovare un equilibrio dopo il tramonto all’orizzonte dello Stato Islamico e la conseguente riconfigurazione delle forze in campo.
In particolare appare controverso il rapporto con gli Stati Uniti, accusati da larghe fasce della popolazione di essere insieme a Turchia, Arabia Saudita e Qatar la causa principale dell’avvento di Daesh; a questo proposito i nostri interlocutori ci descrivono senza reticenze la strumentalità dell’aiuto ricevuto dagli americani nella lotta al Califfato e la scarsa fiducia nei loro confronti rispetto al futuro. Un altro compagno del movimento a Quamislo ci tiene a sottolineare come nella battaglia di Kobane “gli Stati Uniti si sono decisi ad intervenire solo quando la situazione stava volgendo a nostro favore, con la conquista della collina di Mishtenur e l’arrivo di 800 combattenti dal Bakur (Kurdistan turco), per non rischiare che il movimento conquistasse la vittoria da solo e poter avere il ruolo dei liberatori agli occhi del mondo”.
“La società che stiamo creando è un’alternativa per tutto il Medioriente, per questo sappiamo che tutte le forze intorno a noi vogliono ostacolarci (..) vogliamo creare unità e democrazia e siamo pronti anche alla guerra per questo”. All’indomani della conquista di Raqqa inizia già a delinearsi il pericolo per la Confederazione di essere messa da parte come forza che, se utilizzata in un primo momento nella lotta contro Daesh, rischia di diventare scomoda e pericolosa per gli assetti di potere dei diversi Stati nella regione. Il cantone più a ovest, quello di Afrin, è circondato e minacciato dalle milizie islamiste vicine alla Turchia che, sconfinando già da tempo in territorio siriano, taglia fuori il cantone da quello di Kobane, occupando la zona di Idlib. A Deir El Zor con la sconfitta delle ultime sacche di resistenza di Daesh le Forze Siriane Democratiche sono sempre più vicine ad uno scontro diretto con l’esercito di Damasco e, infine, con la caduta del governo regionale curdo di Barzani nel nord dell’Iraq, la Confederazione è minacciata a est dalle milizie sciite vicine all’Iran.
La sorte e il futuro di questa rivoluzione si definiranno certamente a partire dal lavoro titanico che il movimento sta portando avanti nella società a tutti i livelli, costruendo una partecipazione e una coesione tra le diverse comunità linguistiche e religiose inedita per questi territori, mostrando una vera alternativa ai popoli circostanti e cercando di costruire una diplomazia che si allontani dal realismo spietato delle relazioni internazionali, puntando a una “terza via” di equilibrio con le potenze internazionali. E soprattutto grazie allo sforzo di questi combattenti e il sangue delle migliaia di martiri che ogni giorno danno la loro vita per questa rivoluzione e per la libertà di tutte e tutti noi.
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