L’“état d’urgence”: un’arma per criminalizzare i rivoltosi
Decine di migliaia di persone si stanno mobilitando in questi giorni per bloccare l’economia, attaccare i simboli del capitalismo e affrontare la polizia, che colpisce con violenza la gioventù e certo non solo nelle ultime settimane.
In molte zone della Francia, sindacalisti, militanti, giovani, persone che partecipano a Nuit Debout o differenti comitati d’azione sono passati all’offensiva. Le vie di comunicazione, le raffinerie, i depositi di mezzi pubblici, le stazioni e tutta una serie di altre infrastrutture sono disturbati nel loro normale funzionamento o addirittura fermi a causa di scioperi e blocchi. I cortei si moltiplicano, mentre le zone centrali delle città sono difese da centinaia di poliziotti, con idranti, griglie antisommossa e la solita dotazione d’armi, sempre così pericolose. Ciononostante, il numero delle persone che scendono nelle strade non diminuisce con una determinazione crescente. Anche oggi, abbiamo potuto vedere in testa al corteo raggrupparsi persone differenti, con pratiche di lotta violente oppure no, e inoltre un’enorme solidarietà.
Il governo ha cercato di dividerci chiamando alla riscossa i servizi d’ordine sindacali per attaccare quelli che loro chiamano “casseurs”, “autonomi” o con altri nomi che distorcono la realtà.
Oggi non si sono avuti scontri, diversamente da prima; ciò perché numerosi sindacalisti si sono attaccati come zecche alle famose “teste dei cortei”, dove si vedono dei giovani e meno giovani determinati a esprimere una rabbia estrema contro la legge sul lavoro e il suo mondo – il capitalismo.
I “divieti a manifestare” [equivalenti ai Daspo in Italia, ma per i cortei] continuano a fioccare: teniamo a ricordare che questi divieti sono basati solo su supposizioni, ovvero su “veline” di questura raccolte da persone che lavorano per i Renseignements généraux [una specie di Digos]. Succede questo: queste persone si infiltrano nei cortei per spiare, osservando chi fa cosa, chi è di questo o quel collettivo, così da stabilire poi dei “collegamenti” e identificare quelli che sarebbero organizzati.
Ma che cosa significa organizzarsi? Significa mettere in conto che il sistema non cadrà da solo? Organizzarsi può significare sia difendersi dalla polizia sia organizzare un pranzo solidale in un quartiere popolare. L’organizzarsi fa paura al governo, perché significa che le persone prendono atto che non si può pretendere di cambiare le cose senza legare la teoria alla pratica.
È ancora su queste famose “veline” che si basano i fermi dei nostri compagni di Action Antifascist ParisBanlieue. Ma che cosa hanno fatto? Hanno esercitato il loro diritto di opporsi a una manifestazione promossa da un sindacato di polizia di estrema destra, un’organizzazione che legittima gli assassinii degli sbirri, le mutilazioni inferte ai manifestanti e le altre violenze da parte della polizia. Li si incolpa di aver reagito al piano repressivo del ministro dell’Interno Cazeneuve impugnando davanti ai giudici i “divieti a manifestare” e di avere ottenuto ragione. Li si incolpa di avergli fatto fare una figuraccia. Di essersi presi ciò ch’era loro, cioè il diritto a manifestare e di essere al posto sbagliato nel momento sbagliato. Si tratta dei fermi preventivi basati su supposizioni.
Il loro preteso Stato di diritto altro non è se non un “état d’urgence”, che afferma di combattere una minaccia terrorista mentre se la prende con la gioventù in rivolta e i suoi militanti attivi.
Oggi, 20 maggio, ancora, un compagno della CNT è stato arrestato all’inizio di una manifestazione, perché avrebbe avuto con sé una bomboletta di spray urticante per proteggere il corteo in caso di attacchi da parte dei fascisti o della polizia. Di che cosa lo si incolpa dunque? Di essere un po’ troppo “radicale”? Eppure molti membri dei servizi d’ordine sindacali possiedono di questi spray…
La lista non finisce qui. Questa mattina a Rennes un’azione che mirava ad aprire gratuitamente i tornelli della metropolitana si è risolta con 10 arresti, con l’accusa di aver voluto sabotare l’accesso.
Per terminare, la sede del sindacato Solidaires 35 è stata perquisita nel corso della serata. Tre sindacalisti sono stati fermati e quindi accusati di associazione a delinquere con finalità di terrorismo.
La neolingua dei media e della polizia è pervasiva e continuamente ripetuta, ma non cadiamo nella trappola, non facciamoci ingannare.
Nostro nemico non è chi si organizza o compie delle azioni, per quanto criticabili queste possano essere.
Non siamo dei giudici per determinare l’appropriatezza di un’azione.
Siamo solo delle persone in rivolta, che appartengono alla plebe. La forza che ci ha permesso di andare avanti finora è la solidarietà, così come la nostra creatività.
Non cadiamo nella dissociazione, denunciamo i danni dell’“état d’urgence” e le derive autoritarie del governo, non accontentiamoci di criticare la legge sul lavoro, ma l’insieme di ciò che le sta dietro.
Una delle prime azioni che possiamo fare nei prossimi giorni è impedire la “eliminazione” dei blocchi, come desidera il premier Valls; possiamo anche comunicare a tutti quanto sta succedendo per trarne insieme un’analisi ponderata, utile ad amplificare la mobilitazione e continuare la rivolta.
A presto, dunque. Nelle strade, nei metrò, ai blocchi o altrove, perché siamo numerosi e siamo ovunque!
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