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L’illusione democratica

Tratto da Diagonal

Qualche anno fa cominciò a circolare l’idea che la Spagna potesse essere il laboratorio político del ventunesimo secolo. Politici, accademici, giornalisti e attivisti erano d’accordo nel considerare che il fenomeno del 15M rappresentasse una rottura culturale che avrebbe posto fine al bipartitismo blindato dalla costituzione spagnola del ’78 per aprire le porte a una rigenerazione politica. La parola ‘rivoluzione’ fu evocata come un mantra in maniera incessante, ed il suo eco risuonò per tutto il mondo. Tuttavia, in maniera inversamente proporzionale alla sua evocazione, non c’è stato nessun cambio radicale ma solo un peggioramento generale della realtà. Un discorso politico populista basato sulla ricomposizione di una classe media immaginaria ha sostituito un’analisi delle condizioni materiali dei rapporti sociali. Pertanto, in mancanza di un discorso che articoli l’organizzazione di movimenti inclusivi per una trasformazione effettiva del capitalismo, mutando la composizione sociale e i rapporti di forza, molte persone sono state e saranno illuse dai trending topic, dall’idea di una nuova Europa -che esiste solo in funzione degli interessi della Troika- e dalla speranza di un ritorno del socialismo.

 

Trending Topic

 

Il 2011 inauguró un ciclo di lotte che coincise con importanti cambi culturali ed economici. Questi cambi, e le letali condizioni lavorative di imprese come Apple, Foxconn o Amazon, permisero a una parte significativa della popolazione mondiale l’acquisto di smartphones per connettersi ad internet e organizzare nuove lotte popolari.

Non vogliamo demonizzare le reti sociali nè internet visto che possono essere considerati come un mezzo per raggiungere determinati obbiettivi, ma mai come un fine. Il fine è: rovesciare il capitalismo, la distribuzione della ricchezza e l’emancipazione collettiva. È necessario ripensare l’uso delle reti e la relazione tra linguaggio e rappresentazione, data la oggettiva ambivalenza intrinseca che caratterizza i mezzi di comunicazione di massa. Ad esempio la radio trasmise la propaganda delle dittature inventando il concetto di popolo; la televisione e la stampa sono state gli strumenti per la diffusione del consumo di massa e l’alfabetizzazione della classe operaia, mentre internet fornisce l’illusione venduta a prezzi popolari di una comunicazione orizzontale dentro determinate recinzioni e dispositivi di controllo.

Il linguaggio non è autosufficiente, non basta per costruire soggettività antagoniste, non omologate. Il linguaggio da solo non può ne sostituire nè creare un’organizzazione politica, tanto meno in 140 caratteri: la costruzione dei vincoli di fiducia e di solidarietà non si costruiscono solo attraverso il linguaggio, è necessario costruire spazi d’incontro autonomi dove il discorso sia legato all’azione politica.

Risulta emozionante osservare come nelle campagne su Twitter gli hashtags diventino rapidamente trending topic, allo stesso tempo puó illudere leggere le parole d’ordine lanciate dai movimenti in rete sulla stampa mainstream. Recentemente un gruppo di ricercatori di Barcellona tentò di legittimare le teorie del contagio emozionale in rete, usando un metodo di ricerca simile a quello utilizzato dalla ricerca recentemente promossa da Facebook; ma dimenticó completamente le ambivalenze interne alla comunicazione linguistica come per esempio l’ironia… Ció nonostante questo processo comunicativo passa necessariamente per un filtro che è vincolato da una parte con la propietà del mezzo di comunicazione e del canale di trasmissione, e dall’altra con quella del dispositivo di ricezione perchè esistono dei rapporti di forza molto chiari nelle relazioni tra emittente-mezzo-pubblico. Non sarà pubblicato nulla al di fuori degli interessi di questi mezzi di comunicazione, a meno che non li occupiamo per riappropiarcene.

Europa

I paesi dell’Unione Europea che confinano con quelli non europei sono stati lo scenario di conflitti che dimostrano come questa istituzione (la UE) difenda il diktat finanziario promosso da alcuni dei suoi membri a scapito delle vite delle persone. Mentre in Ucrania iniziava una guerra tra imperialismi, poco dopo a Ceuta una ventina di persone che provavano ad attraversare la frontiera furono uccise dagli agenti della Guardia Civil spagnola.

Grazie alla sua costituzione e le sue modiche successive l’Europa attuale ha lasciato il passo al neoliberalismo più selvaggio per subordinare i paesi membri alle politiche dell’austerità attraverso il pagamento degli interessi del debito. Chi ha visto nella costituzione di questa istituzione un campo di possibilità per lo sviluppo delle lotte ha commesso un doppio errore: da una parte pensare che dentro la dialettica con l’imperialismo democratico statunitense qualsiasi istituzione oltre lo Stato potesse favorire un suo superamento, dall’altra non aver considerato l’importanza dei contropoteri che in qualche modo possono rompere con la prospettiva eurocentrica. Anche per questi motivi la settimana di mobilitazione precedente alla scadenza elettorale di quest’anno, considerata come prioritaria nell’agenda dei gruppi europeisti radicali, è stata un completo fallimento. Sul piano dell’articolazione politica la convocatoria non è stata capace di construire nè organizzazione nè movimento (nè Trending Topic!), mentre sul piano dei rapporti di forza ha indebolito l’organizzazione di un movimento autonomo transnazionale riducendolo a poche realtà rappresentative e relegando il protagonismo politico a una minoranza di intellettuali ed attivisti.

Lo spreco di energie utilizzate per la costruzione delle campagne, nell’appoggio politico più o meno esplicito a nuovi partiti, nella burocratizzazione delle organizzazioni di movimento sono state la causa della scomposizione e della frammentazione dei discorsi e delle organizzazioni che, dal ciclo di movimento MayDay, erano andate oltre le frontiere europee rafforzando le lotte contro la precarietà e la necessità di una distribuzione del reddito a scala globale.

 

Democrazia

 

La proliferazione di formazioni elettorali in Spagna è una chiara manifestazione della distanza che separa la sinistra dal malessere sociale. La riutilizzazione di parole come “illusione” o “speranza”, la prima come proiezione del desiderio del ceto politico –persone previamente politicizzate che partecipano giá dentro a collettivi e/o organizzazioni politiche- e la seconda ad indicare l’incertezza di un progetto politico che trascende le relazioni di sfruttamento e i rapporti di forza (quello che l’operaismo chiamava composizione di classe). Proprio per questo si ha la necessità di fare riferimento a un “noi” ridotto, facendo appello alle appartenenze identitarie come popolo, patria, nazione, etc., per difendere questa posizione. La costruzione simbolico-discorsiva diventa centrale rispetto a quella della costruzione di una soggettività collettiva; per questo motivo i protagonisti di questo nuovo ciclo, i volti visibili, sono figure mediatiche che incontriamo spesso in televisione (si fa riferimento al grillismo come a tutte le recenti esperienze spagnole), il mezzo di comunicazione di massa del potere costituito per eccellenza. Allo stesso tempo produce una profezia che si autoavvera preannunciando il rischio che queste candidature molteplici svuotino le organizzazioni dei movimenti, movimenti che sarebbero necessari come base per l’appoggio di queste candidature animate dal grido “si se puede”. Nessuno però considera che durante questa illusione del pensiero unico (nazional-social)democratico, l’astensione è una costante e che la iper-celebrazione di successi parziali sia il semplice risultato di un travaso interno tra vecchia e nuova sinistra. Last but not least la temporalità: in poco più di un anno a Barcellona sono nati per lo meno quattro partiti e/o aggruppazioni con programmi simili, che per ogni appuntamento elettorale hanno bisogno di ricomporre il tessuto delle loro alleanze e dei discorsi che tornino a svegliare la dipendenza all’illusione dei loro seguaci. Quest’incapacità di promuovere dinamiche che potenzino e rispondano alle necessità delle persone più colpite dalle politiche dell’austerità, aumenta la distanza crescente tra il professionalismo politico e la società, addirittura nel lessico e nello stile di vita. Vivendo l’illusione di credersi future maggioranze, si servono gli interessi del mercato sia quello del consumo, del lavoro o elettorale: la maggioranza è il nemico.

 

Noi

 

Abbiamo parlato del diritto alla città in molte occasioni per segnalare come lo sviluppo capitalista si imponga violentemente imponendo migrazioni interne ed esterne costruendo spazi al servizio dell’interesse economico di pochi, quei pochi che il movimento Occupy chiamò per semplificare l’1%. Ma non solamente la città neoliberale è lo spazio degli interessi del privato, anche l’amministrazione sottoposta al comando delle istituzioni finanziarie attraverso il debito è parte di questo sviluppo: un modello che si pone come ostacolo non solo per gli abitanti delle città ma anche per il progresso della società -altro che municipalismo-. Quindi da un lato assistiamo allo smantellamento del tessuto sociale per la costruzione di megaeventi come le olimpiadi di Barcellona nel 1992 o il mondiale di calcio in Brasile di quest’anno (o l’EXPO di Milano); dall’altro la decrescita imposta, la privatizzazione e la restrizione all’accesso ai servizi, l’educazione, la sanità, il ricatto della scarsità del lavoro e sempre più precario, la casa che, nonostante la enorme quantità di edifici ed appartamenti vuoti in Spagna, è un priviliegio di pochi e il sacrificio di una vita per molti altri. Dal Messico al Brasile con le lotte per l’accessibilità dei trasporti, passando per piazza Taksim a Istambul e la lotta per bloccare la costruzione di un centro commerciale, la lotta del quartiere Gamonal a Burgos per bloccare la costruzione di un boulevard, quella del quartiere di Sants a Barcellona per bloccare lo sgombero del centro sociale autogestito Can Vies sono sintomi della stessa resistenza all’impoverimento generalizzato per il beneficio di pochi e costituiscono, allo stesso tempo, la radicalità di alcune istanze non negoziabili per uno sviluppo orientato al beneficio di tutte le persone.

Pertanto, incoraggiare strategie che favoriscano l’organizzazione del conflitto nelle città vuol dire anche costruire la possibilità di attaccare il nemico da molteplici direzioni e con diverse intensità. Soprattutto perchè sappiamo che non incontreremo il nemico nel “Palazzo d’Inverno”, ma in tutti i luoghi dove ci ha abituato alla violenza quotidiana del capitalismo. La sfida è quella di organizzarci affinchè ognuna possa attraversare con le proprie pratiche uno spazio inclusivo. Uno spazio che sappia dare forza alle istanze di dignità, autodeterminazione e giustizia sociale affinchè l’eco della rivoluzione possa materializzare la sua potenza.

 

Dario Lovaglio

 

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