Londra: i lavoratori delle pulizie dell’Università rompono il silenzio
Si potrebbe di conseguenza essere indotti a ritenere che nel Regno Unito dopo il 2011 le lotte siano state messe definitivamente a tacere. Eppure così non è perché molti sono i segnali di resistenza, non ultimo quello documentato pochi giorni fa dalla stampa con le immagini degli studenti universitari di Londra nelle Facoltà occupate o in piazza per reclamare un’educazione gratuita.
Negli ultimi dieci anni, tuttavia, in cui l’economia inglese ha prima toccato il suo picco ed è in seguito rovinosamente crollata, sono stati i lavoratori alla base della piramide sociale a battersi per avere salari e condizioni di lavoro migliori e ad averli ottenuti. Un’esperienza molto significativa è quella dei cleaners, i lavoratori delle pulizie, le cui efficaci campagne hanno costituito e tuttora costituiscono una lezione e una speranza per tanti lavoratori sfruttati e privi di potere contrattuale.
Oggetto di questo articolo è in particolare una di tali campagne, la 3Cosas Campaign, animata nel 2011 dai lavoratori di Senate House, il centro amministrativo della University of London. Per documentare la loro esperienza, sebbene comunque in modo parziale, non si può prescindere dal contesto in cui tale lotta prese le mosse e dalle sue radici profonde, che affondano nelle precedenti esperienze di militanza dei cleaners.
Ad oggi nella capitale inglese i lavoratori delle pulizie di enti, società, banche e istituzioni sono in genere esternalizzati ai contractors, cioè a multinazionali specializzate. Gran parte di questa forza lavoro è migrante, è retribuita soltanto con il salario minimo, non ha una rappresentanza sindacale e, oltre al proprio salario, non ha alcun tipo di agevolazione o di garanzia.
Le esternalizzazioni negli UK hanno una storia pluridecennale, la prima grande ondata nel settore dei servizi avvenne nel 1968. A quei tempi i lavoratori delle pulizie erano perlopiù migranti oppure donne inglesi. E furono proprio queste ultime, guidate da May Hobbs [2], una donna bianca di East London, a organizzare il primo sciopero dei cleaners. Nei primi anni ‘70, dunque, in una fase in cui le voci dei lavoratori e la concertazione sindacale avevano ancora un peso, grazie a Hobbs e alle altre donne nacque il Cleaners’Action Group che chiedeva un innalzamento dei salari e che riuscì a registrare diverse vittorie degne di nota.
Nei primi anni ’80 la situazione cambiò radicalmente: a un’ondata di privatizzazioni, che divennero ben presto sinonimo di Margaret Tatcher, seguirono esternalizzazioni a cascata, indipendentemente dal costo sociale. Le vittorie che i lavoratori dei servizi avevano ottenuto dalla fine degli anni ‘60 furono spazzate via e in diversi settori i salari furono diminuiti in modo consistente.
Nonostante la tenacia e l’intensità della resistenza e degli scioperi, i lavoratori furono travolti, sconfitti e troppo spesso licenziati. Ciò nonostante le cose stavano cambiando anche dal basso, non fosse altro che per l’effetto dell’arrivo in UK di molti attivisti politici, in particolare sudamericani costretti ad emigrare. I “Programmi di Aggiustamento Strutturale”, che forzarono gli Stati del sud del mondo ad aprirsi in modo aggressivo al mercato globale senza alcuna politica che tutelasse i lavoratori, costrinsero milioni di persone –della generazione successiva alla decolonizzazione- a scegliere fra la resistenza e l’emigrazione. A Londra, quindi, iniziò ad arrivare molta forza lavoro proveniente dal Sud e dal Centro America. In particolare, nel corso degli anni ‘80, i lavoratori delle pulizie sudamericani, impiegati in alberghi e ristoranti, raccolsero l’eredità di May Hobbs e, con l’appoggio del sindacato T&G (oggi Unite), fondarono la LAWAS (Latin American Workers’ Association) con cui ottennero numerose vittorie.
La ricomposizione del capitale in chiave neoliberista ha avuto come contraltare la ricomposizione della classe; la militanza del XXI secolo fa, infatti, affidamento su questa forza lavoro migrante, esattamente come fa il capitale che va a pescare in un bacino internazionale di lavoratori sollevando onde di resistenza globali.
Negli anni ’90 la riduzione dei salari, le privatizzazioni e le esternalizzazioni proseguirono ancora più ingenti ed esacerbarono ulteriormente il conflitto fra una forza lavoro pagata sempre meno e con pressoché alcun diritto (inoltre, se migrante, costretta al silenzio dalla spada di Damocle della deportazione) e la nuova classe di ricchi, figlia del boom economico inglese di quegli anni.
Nei primi anni 2000 a Londra le campagne dei cleaners, grazie a LAWAS e l’appoggio del sindacato T&G, si moltiplicarono e si estesero alle università, al trasporto pubblico, alle multinazionali e agli ospedali. Ma a questa nuova fase di vitalità seguì una violenta repressione, espulsioni forzate dagli UK, licenziamenti ed arresti.
Nel contesto sin qui evidenziato si inserisce la 3Cosas Campaign che, abbiamo detto, dal 2011 è animata dai lavoratori delle pulizie di Senate House, il centro amministrativo della University of London. Nonostante la generale assuefazione alla dura realtà di una metropoli in cui molti vivono soltanto per lavorare, proprio da qui è emerso un segnale di rottura. E’ stata, infatti, la loro mobilitazione a mettere in discussione lo sfruttamento sempre più pesante dei lavoratori e la continua erosione dei loro diritti che, di fatto, grava sulla vita di milioni di persone in Inghilterra.
La University of London è una federazione composta da dieci istituti di ricerca e da diciotto università pubbliche che, tuttavia, prevedono una retta minima di £8.000 l’anno[3] e sono frequentate ogni anno da circa 120.000 studenti. Le numerose ramificazioni della federazione sono gestite da una complessa struttura burocratica che si serve di molti lavoratori esternalizzati ai quali sono affidate i servizi di pulizie, ristorazione, guardiania etc., e nei confronti dei quali, contrariamente all’attenzione rivolta agli studenti, non vi è alcun riguardo.
La lotta è iniziata nella primavera del 2011, quando gli addetti alle pulizie esternalizzati hanno rotto il silenzio e, con l’appoggio del sindacato UNISON[4], hanno deciso di aprire una vertenza nei confronti della BBW, titano del settore edilizio e dell’erogazione di servizi per le infrastrutture; rapporti di forza cristallizzati da anni hanno dunque iniziato a incrinarsi. L’appoggio di un sindacato era condizione necessaria per iniziare la lotta nel settore pubblico che è tuttora uno dei più sindacalizzati e radicali del Regno Unito, sebbene il tasso di iscrizioni alle varie sigle sindacali che vi operano sia in calo, in accordo con le tendenze europee[5].
In una prima fase, infatti, la maggior parte dei cleaners era tesserata con UNISON, il secondo sindacato inglese (1,3 milioni di iscritti), attivo unicamente nel pubblico. Nell’estate del 2011 iniziò un faticoso lavoro di reclutamento, reso complesso dall’enorme difficoltà di coinvolgere lavoratori intimoriti e non abituati a lottare per i propri diritti. Grazie alla produzione di materiali informativi si cominciò a ottenere anche la solidarietà degli studenti che, a parte quelli già politicamente attivi e che sostennero sin dall’inizio la lotta[6], si erano inizialmente dimostrati diffidenti abituati, come tanti, a ignorare la presenza di chi, per salari di fame, mantiene aule e corridoi splendenti. All’inizio di settembre vi fu il primo sciopero, ovviamente non autorizzato, per fare pressione sulla compagnia affinché corrispondesse ai lavoratori la busta paga e gli arretrati. Contrariamente a ogni aspettativa, le richieste degli scioperanti furono soddisfatte e la BBW concesse loro £6000 ciascuno. Poiché camminando si apre cammino, i cleaners proseguirono decisi e animarono una campagna, che continuò lungo tutto l’arco del 2011. Il loro obiettivo era ottenere che la loro paga di 6.15 £ all’ora – un salario da fame soprattutto per lavori cosi usuranti- venisse adeguato al famigerato London Living Wage (il salario minimo della città di Londra). L’ultra produttiva capitale dovette quindi fare i conti con l’autunno caldo dei cleaners, ricco di manifestazioni, di scioperi e di iniziative.
Salario minimo nell’ultraliberista Inghilterra? La domanda è più che legittima per noi del Bel Paese dove si raccolgono pomodori per meno di 3 Euro all’ora… Ebbene sì, gli inglesi dopo la seconda guerra mondiale hanno inventato e poi smantellato lentamente e in modo non lineare lo stato sociale, tanto che ancora esistono la sanità e la scuola pubbliche, i benefits (una sorta di salario di disoccupazione) e il salario minimo. Il salario minimo fu introdotto nel ’98 da Tony Blair e, sebbene distingua un salario legale da uno illegale, non ha avuto sempre effetti positivi sul livello dei salari, prima determinato dalla concertazione sindacale per ogni diversa categoria. Inoltre considerato che, come in ogni capitale finanziaria che si rispetti, a Londra il costo della vita è molto più alto rispetto a quello del resto del Regno Unito e delle altre capitali europee, all’inizio di ogni anno finanziario il Sindaco di Londra suggerisce ai datori di lavori di fissare un salario minimo più alto di quello nazionale. Un suggerimento che non sempre è preso in considerazione dalle aziende[7].
Senza ombra di dubbio la BBW non aveva alcuna intenzione di vedere lievitare nel proprio libro paga le cifre dei salari. Ciò detto, quando sulle maggiori testate nazionali arrivò l’eco degli slogan urlati dai lavoratori, evidentemente la paura di essere descritta soltanto come una sfruttatrice ebbe la meglio. Sta di fatto che nel settembre 2012 arrivò la seconda vittoria inaspettata: i cleaners ottennero il London Living Wage! Galvanizzati dai risultati ottenuti, decisero di spingersi ancora oltre, ormai consci del loro potere e dell’attenzione che il loro operato stava ottenendo da parte della stampa nazionale.
L’escalation delle rivendicazioni e l’ampiezza della mobilitazione misero in allarme il sindacato UNISON, da quel momento più interessato a mettere i bastoni tra le ruote delle lotte e a fare il gioco della compagnia che a costruire una nuova campagna con richieste ancora più ‘ardite’. Ne derivò l’annunciata rottura tra UNISON, dinosauro del sindacalismo tradizionale e stereotipato, fautore del ‘dialogo costruttivo’ con i padroni (vi ricorda qualcosa?), e la ben più combattiva, radicale e rumorosa campagna dei lavoratori delle pulizie. A sancire lo scontro fu la sensazionale scoperta di una dozzina di ragazzi e di ragazze che, il 28 febbraio 2014, durante una manifestazione alla Senate House, riuscì a intrufolarsi nel lussuoso ufficio del vice rettore Adrian Smith. Dopo aver messo musica, avere ballato e provato a turno la sua elegante poltrona, prelevarono un faldone di documenti riservati alcuni dei quali finirono nelle mani di un giornalista del Guardian, Aditya Chakrabortty. Il suo articolo, pubblicato il 24 marzo 2014, [8] rivelò il lato oscuro dei dibattuti tagli all’istruzione superiore del Regno Unito e delle relative privatizzazioni. In quei documenti l’amministrazione universitaria ammetteva nientemeno che l’outsourcing stava peggiorando la qualità dei servizi e che ne aumentava i costi. Nonostante ciò, era in programma un ulteriore piano di privatizzazioni, ancora più cospicuo. Come se ciò non bastasse (ma non ci stupisce, essendo una tendenza globale), i documenti rivelavano la brillante soluzione trovata dai manager di Senate House per rendere l’esternalizzazione sostenibile economicamente. La ricetta è vecchia, ma non smette mai di fare gola: sfruttare e mettere a tacere i lavoratori! Mentre loro, i top manager, si autocelebrano con premi milionari. E in che modo realizzarla? Semplice: l’ingrediente segreto consisteva nel tramare contro i lavoratori esternalizzati proprio insieme con il sindacato pagato per rappresentarli. Infatti, come risultò da uno dei documenti, proprio i rappresentanti sindacali di UNISON avevano suggerito all’amministrazione universitaria di concedere un solo giorno in più di ferie pagate con l’obiettivo di mettere a tacere per sempre, grazie al loro solerte aiuto, la campagna dei dipendenti della Balfour Beatty. Non c’era possibilità di equivoco, era tutto nero su bianco in documenti ufficiali. Inoltre, per ricordare ai lavoratori chi aveva il coltello dalla parte del manico, i quadri del sindacato avevano pensato bene di annullare una votazione interna, in modo da impedire ai cleaners della Balfour Beatty di diventare rappresentanti sindacali.
Senza bisogno di documenti segreti e di rivelazioni, tuttavia, gran parte della forza lavoro della BBW, delusa e disgustata da UNISON, aveva già iniziato ad abbandonare le sue fila e si era avvicinata al piccolo sindacato autorganizzato IWGB (The Independent Workers Union of Great Britain [9]) che, dichiaratamente anticapitalista, si definisce così sul proprio sito: The Independent Workers Union of Great Britain is a worker-run union organising the unorganised, the abandoned and the betrayed (un sindacato gestito direttamente dai lavoratori che organizza i non organizzabili, gli abbandonati e i traditi). The Independent Workers Union nasce da una scissione di quell’Industrial Workers of Great Britain fondato nel 1909 e ispirato all’esperienza degli Industrial Workers of the World statunitensi -do you remember, An injury to one is an injury to all?- e che negli ultimi anni si è interrogato a fondo sulla sindacalizzazione del precariato. Ed è così chearriviamo a oggi, ai tempi cioè della 3Cosas Campaign (la lingua spagnola riflette la composizione del ramo dei cleaners dell’IWGB che, come detto, sono in maggioranza del Sud e del Centro America), ultima tappa della lotta dei cleaners. La campagna prende il nome dalle tre “cose” che rendono più acuta la disparità fra i contratti dei lavoratori internalizzati e quelli esternalizzati dell’Università di Londra: la tutela in caso di malattia, le ferie e le pensioni (SICK PAY, HOLIDAYS and PENSIONS). L’obiettivo della 3Cosas Campaign è che l’università assicuri a tutti i propri dipendenti –indipendentemente se assunti direttamente o no- gli stessi termini contrattuali e le stesse condizioni di lavoro [10].
La maggior parte dei lavoratori esternalizzati, nonostante abbia ognuno termini contrattuali differenti, ha diritto alla malattia (Statutory Sick Pay), ma i primi tre giorni non sono pagati. Poiché è difficile prevedere quanto durerà la malattia e poiché £86,70 a settimana -tanto viene pagato dal governo a partire dal quarto giorno- non sono assolutamente sufficienti, viene sancita di fatto l’impossibilità di ammalarsi! Un ricatto ancora più riprovevole dal momento che viene fatto a chi ogni giorno è addetto alle pulizie di bagni e di stoviglie a contatto con sostanze chimiche altamente tossiche; o a chi lavora nelle guardianie ed è costretto a stare esposto per ore al freddo londinese.
Per quanto concerne le ferie, mentre i dipendenti della University of London hanno diritto a quarantaquattro giorni di ferie pagate, la maggior parte dei lavoratori esternalizzati può averne ventotto. Eppure, non tutti coloro che lavorano nell’università hanno la possibilità di usufruire di tali ferie; è il caso, per esempio, di chi è assunto con i famigerati zero hours contracts [11]. I zero hours contracts sono una forma contrattuale a chiamata che formalizza un accordo tra il datore di lavoro e il dipendente che acconsente di percepire un salario soltanto per le ore richieste, e in cui non è specificato l’ammontare delle ore di lavoro. Come rilevato da uno studio del maggio 2014, nell’ultimo anno 1,4 milioni di persone hanno stipulato un zero hours contract; ne consegue che nel Regno Unito più di un datore di lavoro su dieci utilizza tali contratti e che essi sono applicati soprattutto nei seguenti settori: turismo, ristorazione, sanità, servizi, vendita al dettaglio[12]. Questa tipologia contrattuale è imposta soprattutto alle donne, ai giovani e a persone con più di sessantacinque anni e non dà la possibilità di usufruire di alcun diritto sul lavoro.
Nei servizi di catering dell’università si adottano i zero hours contracts che, come detto, non garantiscono alcun tipo di ferie pagate nonostante formalmente lo prevedano. E’ evidente, quindi, che raramente i cleaners possono scegliere il periodo in cui andare in ferie, come ad esempio è accaduto in occasione delle Olimpiadi del 2012, quando molti studentati sono stati affittati ai turisti.
La 3Cosas Campaign ha richiesto che tutti i lavoratori esternalizzati avessero diritto a trenta giorni di ferie pagate più le festività e che potessero scegliere liberamente il periodo delle ferie, una necessità particolarmente sentita dai lavoratori le cui famiglie risiedono dall’altra parte dell’oceano.
Per quanto riguarda la pensione, i cleaners hanno diritto a una pensione che è, però, insignificante. La campagna richiedeva un piano pensionistico equivalente, se non migliore, di quello offerto ai lavoratori internalizzati.
Dopo più di un anno di scioperi, cortei, occupazioni e di pressioni incessanti, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato un duro sciopero di due giorni nel novembre 2012; infine, tutti i lavoratori esternalizzati della University of London hanno ottenuto di essere retribuiti con un salario che si adegua al London Living Wage, di potere usufruire di trentatre giorni di ferie pagate e di sei mesi di malattia[13].
Tali vittorie sono stati degli enormi passi avanti, ma i cleaners non considerano la loro lotta conclusa. Il piano pensionistico è rimasto praticamente immutato e le principali società esterne a cui l’università affida i servizi di pulizie ancora non riconoscono l’IWGB. Quindi, gli obiettivi che ora la campagna si prefigge sono il riconoscimento del sindacato per difendere le vittorie finora ottenute e per costringere l’università e le società ad aprire una trattativa in merito alle vertenze dei lavoratori dell’IWGB, in particolare, per quanto riguarda le pensioni e la minaccia di chiusura dei Garden Halls Residence. Residenze universitarie dell’Università di Londra in cui più di ottanta lavoratori rischiano l’esubero. A giugno con un duro sciopero di ben cinque giorni si è cercato di fare pressioni sull’università, sulla Cofely e sulla Armark -le compagnie a cui sono affidati i servizi esternalizzati di Garden Halls- per far sì che i lavoratori fossero trasferiti e non licenziati. Mentre scriviamo questa vertenza è stata affidata a un tribunale.
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Intervista a Rubiela (lavora a SOAS ed è colombiana), Marisa (lavora a Youth Paris Hall, è ecuadoregna), Cecilia (lavora a International Hall, anche lei ecuadoregna), Marta (lavora a Youth Perry Hall ed è guatemalteca) e a Jason (attivista del sindacato IWGB, statunitense).
Quale è stato il ruolo dell’amministrazione universitaria, del personale e degli studenti nella trattativa?
I manager hanno cercato di convincerci a tornare con UNISON e alle volte ci hanno quasi minacciato. La partecipazione degli studenti è stato un dato assolutamente positivo. All’inizio non erano in molti, ma oggi possiamo contare sulla solidarietà di un bel numero di studenti che partecipano costantemente alla nostra lotta, agli scioperi e alle iniziative. Una delle nostre prime iniziative è stata l’organizzazione di corsi di inglese per il lavoratori di lingua spagnola e portoghese. (N.d.r. la 3Cosas Campaign assicura la presenza di un interprete ogni volta che se ne presenti la necessità).
Chi è la vostra controparte? Oltre all’amministrazione universitaria contro chi avete lottato?
La nostra diretta controparte è la compagnia alla quale l’università ha esternalizzato i servizi di pulizie e di guardianie e lo è anche per la questione del riconoscimento di IWGB come sindacato con cui potere negoziare. La controparte politica, d’altro canto, è certamente l’amministrazione universitaria. Quando, infatti, abbiamo vinto la nostra battaglia per il diritto alla malattia e alla pensione, è stata l’università ad elargire i fondi, non la società.
Quante donne ci sono fra i cleaners? Esistono differenze salariali, viene riconosciuta la maternità…?
Il ruolo delle donne è essenziale: le lavoratrici sono la maggioranza. Anche nel sindacato molti dei ruoli chiave sono ricoperti da donne. A livello salariale non esistono differenze, però ci sono stati dei casi problematici con le maternità. Esemplare è stato quello di una lavoratrice incinta che non è stata pagata per sei mesi; insieme con IWGB abbiamo fatto causa alla compagnia e abbiamo vinto. Noi donne abbiamo anche organizzato una nostra festa del primo maggio[14]. Inoltre, abbiamo una vice presidente del sindacato, Sonia Chura.
La campagna e un percorso di lotta così intenso hanno cambiato le vostre vite?
A 360°! Ora possiamo finalmente dire che esistiamo! Tutti sanno chi siamo, non siamo più nell’ombra; abbiamo assunto una nuova identità perché lottiamo per i nostri diritti.
Come è organizzato oggi il vostro sindacato IWGB? Come si sviluppa la vostra attività politica, quanto tempo dedicate alla campagna, come è strutturata e come sono prese le decisioni?
Abbiamo riunioni settimanali in cui le decisioni sono discusse e prese in modo collettivo. A queste partecipa un gruppo fisso di sei-sette persone, più altre che vengono in modo saltuario. Le riunioni sono aperte esclusivamente ai lavoratori e ai membri del sindacato, dunque non vi partecipano i sostenitori della campagna, come gli studenti o il personale universitario con mansioni diverse dalle nostre. Nel sindacato siamo un centinaio ed è difficile organizzare lavoratori e lavoratrici con orari di lavoro molto diversi… Tuttavia, i report di tutte le riunioni sono disponibili online in inglese e spagnolo[15].
Con che livello di repressione vi siete dovuti confrontare?
Durante gli scioperi la presenza delle forze dell’ordine è stata ingente, ma non si è mai arrivati allo scontro. Siamo stati vittime di intimidazioni e minacce di vario genere da parte dei manager della BBW. Dopo il primo sciopero hanno provato a mettere in moto delle procedure disciplinari nei confronti di alcuni lavoratori, che però non sono state portate a compimento perché la campagna ha prodotto una curiosità sempre maggiore dei media e l’amministrazione universitaria temeva molto le critiche della stampa. Eppure, chi ha subito la repressione peggiore sono stati gli studenti attivi nella campagna. Ci sono stati arresti e una ragazza ha dovuto pagare una multa di quasi £1000 per aver scritto col gesso su un muro: “sick pay, holiday, pensions now” –uno degli slogan chiave della campagna-[16].
Come si può generalizzare una lotta come la vostra? Siete interessati a legarvi o sostenere lotte simili? Conoscete altre situazioni come la vostra (per condizioni e numero di persone coinvolte)?
In altre università esistono lotte dei cleaners. Come Justice for Cleaners alla SOAS, University of London portata avanti da UNISON, con la quale siamo sempre stati solidali (andiamo a tutti i loro scioperi e partecipiamo alle loro iniziative) sebbene i loro quadri sindacali abbiano sempre provato a metterci i bastoni fra le ruote, ma ciò non ci impedisce di stare a fianco di lavoratori che sono in condizioni simili alla nostra. Siamo in contatto con diverse realtà nazionali e spesso siamo invitati in giro per l’Inghilterra a raccontare la nostra esperienza che ha fatto sperare molti lavoratori.
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E’ difficile esprimere un giudizio sulla lotta dei cleaners perché essa, per quanto sia figlia delle lotte dei cleaners londinesi dagli anni ’70 ad oggi, è un unicum nel vuoto di movimenti della capitale britannica post London riots. La campagna ha dato fiducia nella possibilità di vincere e, sebbene risulti difficile riuscire ad estenderla ad altri contesti, ha comunque contribuito, dialogando con le lotte degli studenti, ad aprire uno spazio politico all’interno dell’università e ha stimolato altri lavoratori ad organizzarsi (vedi, per esempio, nel 2014 la campagna dei ricercatori-docenti precari, “Fractionals for fair play” [17], o il corteo “#CopsOffCampus” organizzato dagli studenti nel 2013[18] e tutte le mobilitazioni studentesche che lo hanno preceduto).
E’ indubbio che tale campagna sia una novità per capacità organizzative, pratiche ed efficacia, ma è altresì innegabile che, sebbene sia portata avanti in buona fede, con grande entusiasmo e in forma del tutto volontaristica, essa risente di alcune delle contraddizioni storiche dei gruppi autorganizzati di oggi e di ieri. La sua struttura è per certi versi piramidale e burocratizzata e in essa l’attenzione alla tematica di genere è presente più nella forma che nella sostanza.
Senza entrare nel merito del ruolo che svolge la stampa nel mondo anglosassone –non privo di contraddizioni- va sottolineato che la copertura mediatica ottenuta dalla o tuaeo tamento brutale ri delleCosas Campaign da parte del Guardian e, in misura inferiore, da tutte le più importanti testate nazionali e locali (come conferma la pagina Press del loro sito[19]) sul piano quantitativo e qualitativo non è paragonabile al rilevo che otterrebbe una vertenza analoga in Italia.
Il rapporto con la politica istituzionale può far sorridere ma può anche stupire. Il 28 gennaio 2014, per esempio, è stato indetto uno sciopero itinerante a bordo di un vecchio autobus rosso a due piani, simbolo di Londra quasi quanto le mappe della metro e le buffe divise delle guardie di Buckingham Palace. Con questo battle bus i lavoratori e gli attivisti dell’ IWGB sono arrivati sin sotto il Parlamento a Parliament Square dove, al grido di : “The workers united will never be defeated!” e “El pueblo unido jamás será vencido”, non soltanto hanno reso pubbliche le loro rivendicazioni ma si sono anche dovuti confrontare con la strana situazione di dover lasciare spazio ad alcuni Membri del Parlamento che li hanno raggiunti in piazza e, che in uno spagnolo stentato, hanno tentato di esprimersi sulla questione[20].
Tanti sono stati gli ingredienti di una miscela che si è rivelata esplosiva, a iniziare dalla leggerezza con cui i leader della campagna hanno utilizzato i mezzi di comunicazione e le diverse forme di solidarietà, da quella degli studenti a quella dei politici. A renderla tale hanno contribuito anche altri elementi: la sperimentazione di una lotta multiforme con interminabili picchetti davanti alla Senate House, gli scioperi selvaggi con raccolte fondi online per le casse di solidarietà[21], le ore in aule di tribunale per sostenere le varie cause che hanno voluto intentare alle aziende. Tutto questo chiamandosi tra di loro companeros, definendosi anticapitalisti (molti dei materiali che producono si concludono con “Hasta la victoria siempre!”), ma al tempo stesso dichiarandosi aperti a confrontarsi con tutti, senza preclusioni nei confronti dei diversi schieramenti politici, e pronti a dare il loro sostegno diretto a campagne con rivendicazioni simili, indipendentemente dalla sigla sindacale che le promuove.
Se la validità di ogni esperimento è sancita dalla sua riproducibilità, in realtà in questo caso osserviamo una serie di evidenze empiriche non facilmente ripetibili. Un’istituzione prestigiosa come l’Università di Londra, oltre ad avere a cuore la propria immagine pubblica, sa bene di avere una platea gremita di attenti spettatori, siano essi studenti, lavoratori o solerti giornalisti; una platea che non accetta note stonate nelle proprie istituzioni, un pubblico colto, in grado di fare pressione su un’opinione pubblica vivace, il cui ruolo fondamentale è molto difficile da comprendere per noi italiani.
In Gran Bretagna, in cui il processo neoliberista è ormai del tutto compiuto e i diritti del lavoro sono un ricordo sbiadito, la disuguaglianza nella distribuzione del reddito tocca i picchi europei. Un Paese depresso, ma con una capitale finanziaria che continua a espandersi in modo irregolare, tra isole di ricchezza spudorata ed estesi mari di povertà, attraversata da gran parte dei flussi di denaro che vanno a fare belle le statistiche nazionali. Sono diversi, infatti, gli studiosi [22] che sostengono che i dati nazionali siano drogati dall’enorme flusso di forza lavoro e di capitali che Londra attrae, come per esempio i dati sulla disoccupazione, stimata a maggio 2014 al 6,8%[23], la più bassa dal 2008, e per questo sbandierata da politici e stampa come segnale incontestabile della ripresa inglese.
Un ex-impero coloniale (ma si può davvero definire ex?) abituato a ingenti flussi immigratori, a gestire le tensioni sociali generate dalle condizioni di vita dei migranti e pronto a reprimerle con brutalità, in cui diverse comunità etniche sono frutto di un’immigrazione ormai di terza generazione e sono riconosciute dalle autorità in quanto tali (per esempio gli Indiani e i Pakistani). La comunità latina, invece, nata da una migrazione relativamente recente, ancora non è riconosciuta come minoranza etnica e questo non permette ad essa di accedere a servizi e assistenza di diverso tipo. In questa Londra multiculturale però stanno riemergendo sentimenti razzisti e nazionalistici -quindi antieuropeisti- mai del tutto sopiti: ne è un segnale preoccupante la vittoria di UKeep alle elezioni europee. Di queste tendenze è specchio la nuova legge sull’immigrazione, l’Immigration Act [24], che irrigidisce le condizioni per entrare nel UK e inasprisce le contromisure per l’immigrazione clandestina. Questo, dunque, è il contesto in cui si inserisce la lotta dei cleaners, una lotta portata avanti da latinos (molti di loro hanno però passaporti portoghesi e spagnoli), per lo più giovani, che non conoscevano l’inglese né i loro diritti e che, disposti a dure forme di conflitto, si sono ricomposti nella lotta. Quindi, sebbene le condizioni in cui questa lotta si sia sviluppata siano assolutamente peculiari, vi sono chiare analogie con le lotte dei giovani precari, spesso migranti, che tanti problemi creano ai padroni, dall’Europa agli Stati Uniti, come ci insegna la lotta della logistica in Italia.
Forme di lotta e di organizzazione che, dal punta di vista di chi milita nei movimenti potrebbero essere giudicate primitive e naïf, a Londra costituiscono un modello di dinamismo e una speranza per molti. Le vittorie della 3Cosas Campaign stanno aprendo la strada a vertenze nel mondo del lavoro che prima del loro operato non erano concepibili.
E’ notizia dell’ultima ora che Jason, giovane statunitense, attivista di spicco della 3Cosas Campaign, segretario dell’IWGB, la cui intervista è qui riportata, è stato a rischio espulsione dal Regno Unito a fine dicembre. La SOAS, l’università in cui Jason ha conseguito il dottorato, si era infatti rifiutata di sponsorizzare il rinnovo del suo visto (come è prassi nelle università con i loro ex-studenti) proprio a causa dell’attività politica da lui svolta tra le mura universitarie a sostegno dei lavoratori delle pulizie di Senate House e di Soas (dove è attiva la campagna “Justice for Cleaners” di UNISON, da sempre sostenuta dalla 3Cosas Campaign). Non è la prima volta che SOAS, enclave della sinistra benpensante, rinomata per il suo Corso di Economia dello Sviluppo, si è resa complice della deportazione di lavoratori e attivisti, ma questa volta i Cleaners non ci sono stati. E’ stata chiamata una manifestazione il 10 dicembre [25] ed è stata lanciata, in soli due giorni, una tale campagna mediatica[26] in sostegno alla causa di Jason (addirittura il Times ne ha parlato) che l’università si è trovata costretta a tornare indietro su sui passi. Un’altra vittoria per Jason e la 3Cosas Campaign ai quali va tutta la nostra solidarietà!
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[5] Cfr https://www.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/313768/bis-14-p77-trade-union-membership-statistical-bulletin-2013.pdf e http://www.unison.org.uk/about/
[6] A prescindere dal caso specifico della 3Cosas Campaign, l’attenzione degli studenti di diverse università londinesi alle condizioni lavorative dei cleaners emerse sia nel movimento del 2010 sia qualche anno prima. Ad esempio l’occupazione degli studenti di SOAS nel 2009 contro la deportazione dei lavoratori delle pulizie migranti che avevano animato la campagna “Justice for Cleaners”. Cfr. http://freesoascleaners.blogspot.it/2009/06/press-release-students-occupy-to-stop.html
[7] Il London Living Wage è frutto di una campagna portata avanti da un gruppo di attivisti che, nei primi anni 2000, presero spunto dalla campagna statunitense Justice for Janitors. Cfr. https://www.london.gov.uk/priorities/business-economy/vision-and-strategy/focus-areas/london-living-wage
[8] http://www.theguardian.com/education/2014/mar/24/cost-private-contracts-universities-documents-services-workers
[9] Cfr. http://iwgb.org.uk/
[10] Video “Equal Rights for Outsorced workers” https://www.facebook.com/photo.php?v=607213682700871
[13] Video “3 Cosas Strike Victory” http://www.youtube.com/watch?v=dVih3SicEqA
[14] http://womensfightback.wordpress.com/2014/03/11/cleaning-workers-celebrate-international-working-womens-day/
[16] Cfr. http://www.standard.co.uk/news/education/student-criticises-university-of-london-for-800-fine-after-senate-house-chalk-protest-9204798.html
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