L’ossessione del modello turco in Egitto
Poco dopo l’inizio delle proteste di Gezi Park in Turchia i forum pubblici egiziani hanno cominciato a riempirsi di molteplici voci che cercavano di tracciare parallelismi fra le rispettive situazioni nei due paesi. Il trend ha rinforzato l’iniziale caratterizzazione delle proteste turche dei media internazionali, che le hanno descritte come una manifestazione della reazione negativa ai partiti islamisti al governo, estesasi in tutta la regione. Studenti e ricercatori hanno subito risposto con precisione elencando le ragioni per cui la Turchia non è l’Egitto, sottolineando le rilevanti differenze fra i due contesti e presentando argomentazioni dettagliate sul perché la mobilitazione popolare in Turchia non è né da considerarsi un’estensione della cosiddetta “primavera araba” né un preludio a un secondo round di sollevazioni nella regione.
Ciò che manca in questo dibattito è comunque il contesto in cui vari attori politici in Egitto si sono scontrati a lungo per appropriarsi e modellare l’esperienza democratica turca (o ciò che è stato definito il “modello turco”) all’interno di una battaglia più ampia per definire i parametri accettabili del sistema politico emergente in Egitto. Non è difficile arrivare alla conclusione che Turchia ed Egitto rappresentano due arene politiche molto diverse, e che i dibattiti pubblici in Egitto in merito al “modello turco” hanno commesso gravi ingiustizie in relazione alle diverse sfumature dell’esperienza dinamica turca con istituzioni democratiche nel corso dei tre decenni passati. Tuttavia, anche se semplificati, ritratti del cosiddetto modello turco all’interno del discorso pubblico in Egitto – prima e dopo lo scoppio delle poteste di Gezi Park – rivelano grande interesse rispetto al carattere di lotta duratura per il cambio rivoluzionario in Egitto.
In maniere differenti, la questione di ciò che il “modello turco” rappresenta esattamente è stata un’importante arena di contestazione politica nel corso degli ultimi due anni in Egitto; cosa che dimostra i conflitti in corso tra le varie fazioni rivoluzionarie e contro-rivoluzionarie nel paese. Più esattamente, nel corso degli ultimi due anni, vari personaggi al potere in Egitto hanno selettivamente utilizzato l’esperienza turca con le istituzioni democratiche per giustificare e introdurre una serie di iniziative contro-rivoluzionarie. Per questa ragione molti attivisti, leader politici e commentatori sono stati rapidi nel tracciare (o in alcuni casi cancellare) parallelismi fra le proteste turche ed il confronto fra i Fratelli Musulmani e i loro avversari. Più in generale una lettura delle battaglie politiche e dei compromessi che il “modello turco” ha incarnato negli ultimi due anni in Egitto evidenzia alcune delle sfide che i partigiani della rivoluzione del 25 gennaio affrontano oggi, alla luce delle proteste del 30 giugno e degli appelli alla rinuncia del presidente Mohamed Morsi.
Che cosa può fare l’esercito per te
La prima menzione al “modello turco” nel dibattito pubblico dell’Egitto post-Hosni Mubarak è comparsa nell’estate 2011, quando i leader militari cominciarono a far trapelare dati in merito al proprio interesse nel modellare un sistema politico in cui l’esercito avrebbe goduto di privilegi non convenzionali, che sarebbero stati difesi dal processo democratico. Ad esempio, attorno alla metà di luglio 2011, gli organi di stampa egiziani riportavano le dichiarazioni di un ufficiale secondo cui il Concilio Supremo delle Forze Armate (SCAF) al governo avrebbe cercato di implementare il “modello turco” in Egitto: “Vogliamo un modello come quello turco, ma non lo imporremo… L’Egitto come nazione ha bisogno di proteggere la propria democrazia dagli islamisti. Sappiamo che questo gruppo non pensa in maniera democratica.” Yahya al-Gamal, al tempo vice primo ministro nel governo di Essam Sharaf sostenuto dallo SCAF, aveva detto settimane prima che l’Egitto avrebbe provato a beneficiare dell'”esperienza costituzionale turca”, definendola “ricca e meravigliosa”. Al-Gamal ha detto: “L’esperienza costituzionale turca è stata fruttifera per la sua gente e per la nazione, ed ha contribuito in maniera significativa al suo sviluppo, per cui dovremmo lavorare nella stessa direzione verso la stabilità nazionale e il nostro proprio sviluppo in molti settori”. Il sottile riferimento era naturalmente alla costituzione turca del 1982, la quale offrì al potere militare una grande occasione di influenza e provvide all’immunità per i suoi leader. E’ riportato il fatto che alcuni giorni dopo il Ministro della Cultura ordinò la traduzione della costituzione turca del 1982 e tenne un seminario sul documento con la partecipazione di Tahani el-Gebali, giudice della Corte Costituzionale Suprema noto per le sue posizioni pro-militari, e l’ambasciatore Mohamed Refaa al-Tahtawi, che sarebbe poi diventato il capo dell’entourage del presidente Morsi.
Secondo i report l’interesse delle autorità egiziane nel replicare la cosiddetta esperienza turca si rispecchiava in un dibattito interno alla comunità politica nazionale rispetto al dare supporto o meno alla proposta dello SCAF di concepire una serie di “principi sovra-costituzionali”. I principi sovra-costituzionali sarebbero concepiti per delineare le misure che coloro che scrivono la costituzione dovranno incorporare in qualsiasi stesura della stessa. Ad accompagnare le richieste di tali principi sarebbero gli inviti a definire i criteri per la selezione di coloro che scriveranno la costituzione, in maniera tale da assicurare che la futura Assemblea Costituente sia sufficientemente rappresentativa delle diverse correnti politiche egiziane. Poichè i gruppi islamisti, specialmente i Fratelli Musulmani, erano pronti a raccogliere considerevoli vittorie nelle elezioni successive, il che si sarebbe tradotto in una consistente influenza sulla scrittura della costituzione, le figure liberali hanno cominciato ad esprimere supporto per la proposta dei principi sovra-costituzionali nell’estate del 2011. L’idea era che tali principi salvaguardassero diritti politici e libertà, e preservassero la natura non religiosa dello stato, indipendentemente dal gruppo che sarebbe arrivato al controllo dell’Assemblea Costituente dopo le elezioni. Non molto tempo dopo tali proposte divenne chiaro che le libertà civili e il caattere non religioso dello stato non era l’unica cosa che i principi sovra-costituzionali avrebbero dovuto difendere. Verso la metà di agosto alcuni funzionari diffusero dichiarazioni secondo cui i principi sovra-costituzionali che il governo sostenuto dallo SCAF stava preparando contenevano indicazioni che abolivano privilegi e basi legali garantendo la libertà di intervento politico al potere militare, menzionando (ancora una volta) l’interesse militare nel rafforzare il “modello turco”. Nel novembre 2011 non si trattava più di una voce, poichè i politici stavan
o apertamente discutendo una serie di principi sovra-costituzionali che promulgavano queste proposte. Conosciuti pubblicamente come il documento “al-Selmi”, dal nome del vice Primo Ministro Ali al-Selmi, che assunse il compito di costruire supporto per tali misure. In maniera controversa, il documento conteneva un’indicazione che attribuiva al potere militare il compito di “proteggere la legittimità costituzionale”, delegando tutte le questioni militari – compresa la questione del suo budget – ad un Consiglio di Difesa Nazionale dominato dai militari e fuori da un parlamento eletto. Questo significava, fra le altre cose, che il consistente impero economico controllato dal potere militare doveva rimanere off limits per le istituzioni elette e per il pubblico. In altre parole, divenne lampante il fatto che il “modello turco” a cui si riferivano i funzionari egiziani nei mesi precedenti era un modello in cui i militari, esonerati da qualsiasi obbligo di rendere conto e di trasparenza, si posizionavano al di sopra delle istituzioni elette, e allo stesso tempo ne limitavano il potere.
Si può forse considerare interessante il fatto che questa visione non era limitata ai circoli militari o ai funzionari governativi sostenuti dallo SCAF: molti liberali (che si autodefiniscono tali) hanno sostenuto l’iniziativa dello SCAF, chiedendo pubblicamente l’istituzionalizzazione di un ruolo politico per i militari nell’ordine costituzionale post-Mubarak. Ad esempio, nel luglio 2011, il candidato presidenziale Hisham Bastawisi presentò allo SCAF alcune proposte di principi sovra-costituzionali, comprese le disposizioni per la formazione di un corpo militare con il compito di sovrintendere gli affari militari al posto delle istituzioni elette; qualcosa di simile a ciò che venne proposto in seguito nel documento di al-Selmi. Allo stesso modo Hamdeen Sabbahi nel giugno 2011 promise che, nel caso fosse stato eletto, avrebbe fatto in modo che i poteri militari sarebbero stati incrememtati in una nuova costituzione.
Fra coloro i quali sostenevano un ruolo più centrale per il potere militare dell’Egitto post-Mubarak c’erano anche una serie di figure laiche che promuovevano l’idea che un potere militare politicamente rafforzato sarebbe stato il miglior controllo contro la crescente influenza delle correnti politiche islamiste. Osama al-Ghazali Harb, leader del Partito del Fronte Democratico liberale dichiarò al Washington Post mesi fa, prima della pubblicazione del documento di al-Selmi, che gli islamisti rappresentavano per l’Egitto democratico una minaccia maggiore rispetto ai militari, sostenendo la creazione di una costituzione che avrebbe assegnato ai militari un “ruolo per garantire la stabilità democratica nel paese”.
Tali istanze non sono scomparse con l’elezione del presidente Mohamed Morsi e la fine formale del governo militare nel giugno del 2012. Infatti si sono intensificate, e le referenze al “modello turco” sono rimaste centrali. Così come i politici pro-militari lanciarono un appello alla protesta il 24 agosto 2012 per “destituire il governo dei Fratelli Musulmani”, il giornale al-Destour realizzò una prima pagina l’11 agosto in cui i titoli merrevano in guardia dai pericoli del controllo della presidenza da parte dei Fratelli. Il giornale scrisse che i Fratelli Musulmani avrebbero cercato di imporre la propria costituzione, a discapito della libertà e dei diritti civili, e che avrebbero cercato di sostituire i funzionari maggiori del potere militare con i propri uomini. La serie di titoli concludeva: “Salvare l’Egitto dalla distruzione imminente non avverrà senza l’unità dell’esercito e del popolo, senza la formazione di un fronte per la salvezza nazionale formato da leader politici e militari, ed il sostegno ad uno stato inequivocabilmente civile con protezione militare, esattamente come il sistema turco.
In sintesi, quando comparse per la prima colta nel discorso politico in Egitto, il termine “modello turco” incarnò la prospettiva di un sistema politico in cui il potere militare avrebbe mantenuto i propri privilegi straordinari, scavalcando i principi di responsabilità e trasparenza per preservare la stabilità democratica.
Che cosa l’Islam politico può fare per te
Non molto tempo dopo l’ascesa dello SCAF i Fratelli Musulmani hanno avanzato una visione alternativa di ciò che il “modello turco” significava nel contesto egiziano. La decisione del più grande gruppo islamista di scegliere “Libertà e Giustizia” come nome per il proprio nuovo partito nella primavera del 2011 ha immediatamente attirato l’attenzione degli osservatori, che hanno visto similitudini fra il nome del partito dei Fratelli e quello del Partito Giustizia e Sviluppo al governo in Turchia (conosciuto con il suo acronimo turco AKP). Addirittura il primo ministro turco e leader dell’AKP Recep Tayyip Erdogan commentò scherzosamente ad un incontro nel 2011 al Cairo che i Fratelli Musulmani egiziani avrebbero dovuto pagare le royalties al partito per prendere in prestito parte del suo nome.
E’ stato chiaro da subito nel periodo successivo alla caduta di Mubarak che i Fratelli guardavano con grande interesse all’esperienza dell’AKP come partito al doverno. Era evidente dalle visite di PLG (Partito Libertà e Giustizia, ndt) in Turchia per incontrare i propri equivalenti dell’AKP – con un occhio alla creazione di strategie per gestire le crescenti sfide alla governance che il partito al governo egiziano stava affrontando, per non citare l’interesse espresso dai Fratelli nel profondizzare i legami economici e varie forme di cooperazione con la Turchia.
La stessa retorica di campagna elettorale sia durante le elezioni legislative che presidenziali ha rimandato una prospettiva che colloca la Turchia come lo standard sul quale giudicare i progressi in Egitto. Nel periodo fra le elezioni per la Camera Alta e Camera Bassa, all’inizio del 2012, un membro del PLG dichiarò che il programma del suo partito avrebbe reso l’economia del suo paese migliore di quella turca nel giro di sette anni. Questa non è stata la prima volta che qualche membro dei Fratelli Musulmani, o funzionario del governo sotto il governo dei Fratelli si è riferito alla Turchia come al punto di riferimento per valutare la propria performance. Più recentemente il Ministro dell’Informazione Salah Abdel Maqsoud sostenuto i Fratelli ha dichiarato che se le persone dimostrassero più pazienza nei confronti del regime attuale, esso arriverebbe a conquiste che supererebbero di gran lunga quelle dell’esperienza turca.
L’utilizzo dell’esperienza dell’AKP da parte dei Fratelli nella propria propaganda è stata estremamente visibile nell’aprile 2012, quando i Fratelli hanno presentato il loro candidato alle elezioni presidenziali Khairat El-Shater. Anche se la commissione elettorale alla fine squalificò El-Shater, e i Fratelli alla fine si unirono al sostegno del leader del PGL Mohamed Morsi, la promozione della breve campagna di El-Shater rimane comicamente memorabile. La promozione era accompagnata da una canzone che invitava il popolo egiziano a celebrare l’arrivo de “l’Erdigan egiziano”. Il coro cantava: “La buona notizia è che presto il mondo intero sarà in festa. Rallegratevi, cittadini, perchè sta arrivando il nuovo Erdogan d’Egitto”.
[Promozione della campagna elettorale di Khairat El-Shater]
Il fascino dell’esperienza turca per i Fratelli era piuttosto diverso, anche se (come spiegato di seguito) non in contrasto con, la visione militare di un modello turco. Invece di una prospettiva in cui la costituzione sta al centro, che militari e loro sostenitori legavano ad un processo politico gestito e – se necessario – arbitrato dall’esercito, la visione dei Fratelli dell’esperienza musulmana si focalizza molto di più sull’AKP attualmente al potere e sul successo percepito del partito nel settore della gestione economica oltre che, in un certo modo, della politica estera. Per i Fratelli il modello turco esemplifica il trionfo di un partito islamista affine nello stabilire ed istituzionalizzare il proprio dominio elettorale e politico, e nell’impiegare il suo record “internazionalmente riconosciuto” per dare prosperità economica per contenere ed estromettere gli avversari ideologici.
Questa linea di pensiero è stata mostrata in una rara occasione nel luglio 2011, in un articolo nel giornale libanese al-Akhbar
dallo stimato membro dei Fratelli e leader del PGL Essam El-Erian, che ha condiviso la sua visione del cosiddetto modello turco. E’ interessante come l’articolo sembrò arrivare in risposta – almeno in parte – alle opinioni predominanti del periodo di alcuni liberali egiziani, che vedevano nell’esperienza democratica turca per “sostenere il secolarismo”. El-Erian lamenta il fatto che molti sostenitori del modello turco stanno cercando di imporre “uno straordinario e ripugnante secolarismo, per dare al potere militare un ruolo politico con il pretesto di proteggere il sistema politico democratico, mentre in realtà si proteggono i laici, le minoranze, e gli interessi stranieri.” Coloro i quali condividono quella visione, come scrive El-Erian, “dimenticano che la democrazia turca ha corretto i propri sbagli, e che il secolarismo turco è in declino con la giusta applicazione della democrazia”.
Dunque quali sono le virtù del modello turco per El-Erian, se non l’eredità di una continuità secolare? Mostrando un forte interesse nella storia dell’AKP, egli afferma che il caso della Turchia dimostra che i processi pacifici e democratici sono il cammino migliore per implementare il “progetto islamico”, e non i colpi di stato o le insurrezioni violente. El-Erian elogia ciò che lui descrive come il successo degli islamisti turchi nel costruire support popolare bilanciando fra la propria missione di promuovere la fede all’interno della società, e il loro ruolo nella vita politica formale.
Successivamente attribuisce il successo politico degli islamisti turchi alle loro politiche economiche e alla loro abilità di “trattare con uomini d’affari”, “promuovere trasparenza e competitività”, e “stimolare risparmi ed investimenti”, operazioni che gli hanno garantito il supporto popolare in maniera prolungata. El-Erian afferma che la coesione e la stabilità interna della Turchia sono le basis su cui il paese ha poggiato per ricoprire l’importante ruolo regionale ed internazionale che ha assunto nel corso degli anni. La visione che El-Erian argomenta nel suo articolo è diversa in due passaggi importanti.
In primo luogo, la premessa è un forte rifiuto della narrazione che ritrae l’esempio turco come un trionfo secolare. Ciò non era sorprendente considerando un contesto sottostante in cui molti egiziani liberali al tempo sollecitavano attivamente principi sovracostituzionali che presubilmente potessero costituire una protezione contro qualsiasi tentativo da parte degli Islamisti, potenti dal punto di vista elettorale, di alterare il carattere “non religioso dello stato”. In altre parole, la visione di El-Erian rifletteva uno sforzo più ampio di contestare la dominante e secolarista percezione del modello unico turco che la Fratellanza vedeva con grande scetticismo. La selettività con cui la Fratellanza approccia l’esperienza democratica turca, e in particolare la forte avversione e negazione dei Fratelli per la sua dimensione secolare, era piuttosto evidente durante la visita del premier Erdogna in Egitto nel settembre del 2011. Dopo che decine di migliaia di Fratelli Musulmani avevano accolto il premier all’aeroporto del Cairo con canti entusiastici, il gruppo di ufficiali più tardi rilasciò dichiarazioni fortemente circostanziate in risposta alle osservazioni di Erdogan che incoraggiava gli Egiziani ad adottare una costituzione secolare. “Gli stati secolari,” affermava Erdogan, “non significano mancanza di religiosità, ma piuttosto rispetto per tutte le confessioni religiose e garanzia della libertà di ogni individuo di praticare la propria religione”. Erdogan fu citato per aver affermato di governare uno stato secolare, anche se lui stesso non è laico, e di non considerare l’AKP come un “partito islamista”. Il paradosso era inspiegabile. Il personaggio principale nella favola della Fratellanza sul “modello turco” stava pubblicamente mettendo in discussione gli elementi fondamentali della stessa “storia di successo” che in teoria aveva diretto. Il portavoce della Fratellanza Musulmana Mohamed Ghozlan replicò che le affermazioni di Erdogan costituivano un tentativo i
naccettabile di intervenire negli affari interni egiziani. Rifiutando l’appello del premier turco per una costituzione laica in Egitto, il leader del Partito Libertà e Giustizia Mohsen Raid disse che il “modello turco” non è applicabile all’Egitto. “Nè Erdogan, nè nessun altro ha il diritto di interferire nelle vicende interne di un altro paese e di imporre a esso un modello specifico”, disse nient’altro che Essam – El Erian solo pochi mesi dopo aver pubblicato la sua esposizioni delle virtù del cosiddetto modello turco. Pertanto, sotto alcuni aspetti, la visita di Erdogna è stato un momento raro che ha evidenziato quanto la Fratellanza fosse selettiva in modo strumentale nel concettualizzare il “modello turco” allo scopo di soddisfare la propria visione per il “nuovo” modello egiziano che era dichiaratamente contrario alla separazione tra politica e religione.
In secondo luogo, la visione precedentemente menzionata di El-Erian del modello turco si sviluppa sul presupposto esplicito che la dominanza politica attuale dell’AKP sia fondata sul suo successo economico, che gli ha procurato una base popolare, una che in ultima istanza schiaccia i suoi avversari politici. Questa lettura risuona delle affermazioni della Fratellanza sul fatto che la prosperità economica sia sul percorso, e che si debba astenersi dalle critiche finché il progetto per la cosiddetta rinascita di Libertà e Giustizia non porta i suoi frutti. Questa linea di ragionamento era esplicita nelle osservazioni della Guida Generale della Fratellanza Musulmana Mohamed Badie in risposta ai crescenti scioperi, alle proteste e agli appelli per abbattere la Fratellanza Musulmana. Chiese agli Egiziani di portare pazienza e di guardare all’ “esperienza turca”, in cui il predominante AKP ebbe successo nel raggiungere gradualmente la “rinascita turca” dopo essere giunto al potere nel 2002.
Nonostante la totale differenza tra i due contesti economici, come fatto notare da molti osservatori critici, la Fratellanza e i suoi affiliati hanno presentato la recente esperienza economica turca, che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha spesso spacciato come una delle storie di successo della riforma neoliberale, come una fonte di ispirazione. Alla viglia delle elezioni legislative del 2011 – 2012, il segretario generale di Libertà e Giustizia Saad El – Katatny ha dichiarato che il suo partito, se eletto, avrebbe cercato di applicare l’esperienza economica turca.
Questo atteggiamento non sembrò cambiare dopo che il Partito Libertà e Giustizia della Fratellanza prese il potere. Più recentemente, al- Morsy hegazy, il Ministro delle Finanze del governo di Mohamed Morsi, affermò nell’apprile 2012 che l’Egitto progetta di mirare alla guida rispetto al record internazionalmente elogiato della Turchia nelle riforme economiche. I suoi commenti arrivarono nel momento in cui il governo egiziano era (e continua ad essere) impegnato in colloqui con il fondo monetario internazionale per negoziare un controverso accordo di prestito per 4.8 miliardi di dollari. Perciò mentre fino ad ora i colloqui tra il governo egiziano e il FMI procedono con scarsa trasparenza e un impegno non chiaro con i portatori di interessi domestici, gli osservatori anticipano che il potenziale accordo implicherà riforme socialmente destabilizzanti che potranno minare le richieste della Rivoluzione del 25 gennaio per maggiori diritti sociali ed economici. Il modello turco per i Fratelli sembra rigirare la storia della dominazione politica giustificata e rafforzata da una “rinascita” economica che ha catturato l’ammirazione e l’approvazione delle istituzioni finanziarie internazionali.
La fusione del modello turco: contro la sovranità popolare
La tensione tra le rispettive visioni dei militari e della Fratellanza in merito al cosidetto modello turco era evidente durante l’estate e l’autunno del 2011. Lungo quel periodo, la Fratellanza, in concomitanza con altre forze politiche islamiste, ha alzato una forte opposizione contro gli sforzi congiunti dello SCAF e dei politici “liberali” di avanzare i sovramenzionati principi sovracostituzionali, o ciò che era notoriamente conosciuto come il documento al-Selmi. La Fratellanza adottò un tono antagonistico nei confronti dei militari e affermò che lo SCAF stava cercando di minare la volontà popolari imponendo dictat sui futuri scrittori della costituzione. Ad un certo punto, il leader di allora di Libertà e Giustizia Mohamed Morsi – che sarebbe diventato presidente meno di un anno dopo – minacciò una seconda rivoluzione se il documento al-Selmi fosse passato. Il 18 novembre 2011, la Fratellanza, insieme ai gruppi alleati, organizzò una manifestazione da un milione di manifestanti in piazza Tahrir, rigettando il documento al-Selmi proposto e appellandosi per la fine del governo militare.
Mandando avanti a un anno dopo, Mohamed Morsi, ora presidente dell’egitto, stava costruendo il consenso per una bozza di costituzione, che ha fallito nell’intento di raccogliere ill supporto della vasta maggioranza della comunità politica non islamista. Ancor più importante, la bozza contiene disposizioni che non differiscono molto da quelle proposte nel documento al – Selmi che la Fratellanza una volta aveva avversato. Nello specifico, la costituzione delegava gli affari dai militari fuori dalla supervisione parlamentare e dal pubblico scrutinio e, al contrario, ad un Consiglio della Difesa nazionale controllato dagli ufficiali. L’assenza di un significativo controllo civile sugli affari dei militari nella costituzione promossa dalla Fratellanza parlava di un tacito accordo tra la presidenza controllata dai Fratelli Musulmani e i militari.
Anche dopo la fine formale del governo militare il 30 giugno del 2012, e il forzato pensionamento dei generali militari anziani il 12 agosto 2012, la presidenza Morsi e la Fratellanza Musulmana hanno lavorato duramente nel mantenere la loro linea accomodante nei confronti dei militari. Ad esempio, fino ad oggi nessun leader dei militari senior è stato portato dinnanzi alla giustizia per i crimini commessi durante il governo dello SCAF. Morsi rifiuta ancora di agire sulla base del report di una commissione presidenziale d’inchiesta che ha implicato i leader anziani dell’esercito nell’uccisione e nella tortura dei manifestanti. Quando il suddetto report è stato fatto trapelare ai media, causando pubbliche proteste, il presidente Morsi ha risposto promuovendo i leader militari ed elogiando il ruolo dell’esercito nell’aver difeso la rivoluzione del 25 Gennaio. Da quando è entrato in carica, il presidente non ha lesinato elogi ai militari ad ogni momento critico, il più recente durante il discorso del 26 giugno 2012 in cui ha rimproverato i suoi oppositori per aver chiesto le sue dimissioni ed elezioni presidenziali anticipate.
Come sono successi così tanti cambiamenti nel corso di un anno?
Sembrava che l’esercito e la Fratellanza avessero riconciliato le due sovramenzionate visioni per il futuro dell’Egitto, combinando l’ammirazione dei militari per l’inconsueto status costituzionale che l’esercito turco ha mantenuto in diversi periodi di tempo con il desiderio della Fratellanza per un dominio politico stile AKP. E’ fondamentalmente per questa ragionale che la locuzione “modello Turco” ha proliferato nel discorso politico egiziano. La salute e il dinamismo dell’esperienza democratica turca negli ultimi 30 anni ha imbevuto il termine “modello turco” con sufficienti ambiguità da poter significare cose molto diverse allo stesso tempo, includendo le due visioni una volta opposte della Fratellanza Musulmana e dei militari. In altre parole, il termine “modello turco” nel contesto egiziano ha finito per incarnare gli sforzi congiunti degli ufficiali e dei Fratelli per costruire un ordine politico che sfidi le nozioni rivoluzionarie di sovranità popolare, che sia preservare il possesso senza controllo dei militari di significative parti delle risorse del potere; supportare l’egemonia politica delle forze islamiste; o estromettere le richieste di una giustizia distributiva in favore di prescrizioni economiche ortodosse. Non ci sarebbe nulla del cosidetto “modello turco” in ciò di cui parlano gli egiziani. Ma attraverso narrative opportunamente selettive dei sostenitori dell’esercito e della Fratellanza Musulmana, il termine ha finito per incarnare il variegato set di ambizioni controrivoluzionarie che i detentori del potere in Egitto portano oggi.
Non è perciò sorprendente che la fusione delle due visioni, o, guardandola diversamente, l’inizio dell’esistente conciliazione tra gli ufficiale e i fratelli, sia iniziata mostrando i suoi primi segni dopo uno dei più intensi episodi di mobilitazione popolare rivoluzionaria a seguito della caduta di Mubarak. Le diffuse manifestazioni che avvenivano subito dopo le battaglia di Mohamed Mahmoud Street (19-24 novembre), e gli scontri di al-Qasr al-Einy Street (16-19 dicembre) mettevano in dubbio che le elezioni legislative potessero svolgersi come programmato, minacciando di minare i risultati politici che i Fratelli avevano raggiunto fino a quel momento. È stato in quel periodo che la Fratellanza Musulmana ha sperimentato di prima mano i pericoli e le snervanti incertezze delle mobilitazioni popolari non controllate.
Nel momento in cui i dimostranti e i movimenti rivoluzionari di protesta si sono appellati per la fine immediata del governo militare e hanno chiesto una transizione condotta dai civili, la Fratellanza ha iniziato ad ammorbidire la propria opposizione nei confronti dello SCAF. Per i Fratelli era chiaro che gli appelli popolari per una nuova cornice di transizione avrebbero potuto mettere a repentaglio le conquiste elettorali che il gruppo era pronto per assicurarsi durante le elezioni legislative 2011 – 2012, in virtù del fatto di essere la forza politica più organizzata del paese. Perciò, i Fratelli Musulmani – che avevano appena fatto invocato la fine del governo militare in piazza Tahrir il 18 novembre 2011 subito dopo il controverso documento al-Selmi – rifiutarono di sostenere le seguenti manifestazioni anti – SCAF e ritornarono alla campagna elettorale. Alcune settimane dopo, i funzionari della Fratellanza, tra cui il più noto Mahmoud Gozlan, interruppero il loro atteggiamento precedentemente ostile nei confronti dei militari e segnalorono di essere pronti per garantire ai leader dell’esercito speciali privilegi dopo il periodo di transizione. Questa è stata la prima chiara indicazione di un patto nascente tra la Fratellanza Musulmana e l’esercito. È stata questa crescente intesa che alla fine ha fornito le basi per l’attuale ordine politico egizian, in cui il controllo che la Fratellanza esercita sulla presidenza e la burocrazia civile dipende dalla sua accettazione della permanenza dei privilegi politici ed economici dell’esercito.
Non c’è dubbio che la strada per negoziare questa intesa sia stata piena di ostacoli e di pubblici disaccordi, ma alla fine è stata raggiunta come evidenziato dalla costituzione del 2012 che ha istituzionalizzato il patto tra i Fratelli e gli ufficiali. Il paradosso non è sfuggito a nessuno quando, dopo giorni prima che Morsi convertisse la suddetta costituzione in legge nel dicembre 2012, l’allora Ministro degli Affari Legali Mohamed Mahsoub affermò che la transizione dell’Egitto stava seguendo un percorso simile a quella turca. Rimane anche che l’attuale patto – o ciò che io ho descritto in questo articolo come la fusione dei rispettivi “modelli turchi” dell’esercito egiziano e dei Fratelli Musulmani – è emerso in opposizione a (e forse per paura di) mobilitazioni popolari e richiesto rivoluzionarie per un più profondo e trasformativo cambiamento dentro lo stato egiziano.
Gezi Park, 30 giugno, e il collasso dei modelli
Per oltre due anni dalla cacciati di Mubarak, la storia del modello turco in Egitto è rimasta una competizione diretta dalle élite tra gli ufficiali e i politici al potere. Esso rifletteva il discorso controrivoluzionario dei detentori del potere nel momento in cui competevano e cooperavano tra di loro per scolpire i termini del nuovo ordine sociale nell’Egitto post – Mubarak. Privo di ogni rispetto delle nozioni di sovranità popolare, questo processo esclude i partigiani della Rivoluzione del 25 gennaio e le diffuse richieste per avere voce in capitolo nel determinare il futuro dell’Egitto. Così, era semplicemente naturale per il “modello turco” evolvere in un termine che incarnava qualsiasi cosa verso cui gli attivisti rivoluzionari erano riluttanti: patti escludenti; corruzione burocratica; controllo militare; politiche elitarie; politiche economiche neoliberali recessive; e istituzioni democratiche superficiali. Ad ogni modo, qualcosa è cambiato nell’equazione con l’esplosione delle proteste di Gezi Park nel maggio 2013. Dopo una lunga associazione tra il modello turco e un mucchio di iniziative reazionarie che i governanti successivi avevano imposto nel nome di quel modello, i partigiani della Rivoluzione del 25 maggio hanno alla fine trovato in questa soap opera turca una volta sgradita un personaggio con cui sentivano una forte affinità: il popolo.
Affermare che le proteste di Gezi Park abbiano generato una nuova e progressiva percezione del modello turco in Egitto sarebbe andare troppo avanti. Eppure allo stesso tempo, si può dire che le proteste hanno fornito agli attivisti una rara opportunità di sovvertire il discorso dei detentori del potere sulle virtù dell’esperienza turca e la promessa che esso portava con sé per il nuovo Egitto. Questi sforzi hanno anche coinciso con la vigilia delle protesta del 30 giuno che la Tamarod Campaign ha organizzato per spingere Morsi a dimettersi dopo che 22 milioni di egiziani hanno firmato una petizione che richiedeva elezioni presidenziali anticipate. “Rivoluzione, rivoluzione in ogni luogo, basta con Morsi ed Erdogan”, intovano i Socialisti Rivoluzionari di fronte all’ambasciata turca del Cairo all’inizio di questo mese ad una manifestazione organizzata in solidarietà con le proteste turche. Sui social network, i gruppi rivoluzionari egiziani riportavano le proteste antigovernative in Turkia quasi allo stesso modo che queste manifestazioni stessero avvenendo in Egitto.
Dall’altro lato, il giornale di Giustizia e Libertà e la pagina Facebook ufficiale adottavano un tono apertamente critico nei confronti delle proteste di Gezi Park, dedicando una considerevole quantità di spazio al riportare le reazioni e le dichiarazioni del premier Erdogan. Dopo aver presentato per anni l’AKP e l’esperienza turca come uno schema per il successo, i funzionari della Fratellanza Musulmana stavano aggressivamente difendendo le loro “controparti” turche, e rassicurando l’opinione pubblica sul fatto che ciò che Erdogan fronteggia in Turchia non è una rivoluzione, ma piuttosto una cospirazione tesa al “progetto islamico” nella regione nel suo complesso. “Noi trionferemo come una nazione islamica contro i vampiri della dipendenza e dell’umiliazione” affermava Essam El-Erian in reazione alle proteste turche. La Fratellanza non ha nascosto l’impressione che la sua stessa credibilità fosse in bilico, e non solo quella degli alleati in Turchia. Per esempio, nel riportare il discorso di Erdogan durante una manifestazione ad Ankara il 15 giugno, la pagina Facebook ufficiale del Partito Giustizia e Libertà postava foto del raduno con la didascalia:
Il discorso di Erdogan ad una manifestazione di sostenitori del Partito Giustizia e Sviluppo ad Ankara, organizzata sotto lo slogan “rispetto per la volontà del popolo”. Nel linguaggio di qualcuno: egli sta facendo un’omelia alla sua famiglia e alla sua tribù in mezzo a manifestazioni di manifestanti in supporto del suo stesso gruppo.
L’espressione famiglia e tribù (ahly wa ‘ashirati) nasce in riferimento alla scellerata frase che Morsi usò nelle prime righe del suo primo discorso dopo esser stato proclamato presidente. I critici spesso si riferiscono a quella frase per insinuare che il presidente si rivolga solo a chi parteggia per lui (“la sua famiglia e tribù”) piuttosto che a tutti gli egiziani. Chiaramente, per l’amministratore della pagina Facebook di Giustizia e Libertà, non era solo Erdogan che gli egiziani stavano giudicando a quel punto, ma anche il loro Mohamed Morsi.
Ad un livello più profondo, la guerra discorsiva che veniva a galla tra la Fratellanza e i suoi sfidanti a proposito del modello turco in seguito all’esplosione delle proteste di Gezi Park simboleggia le sfide che i partigiani della Rivoluzione del 25 gennaio affrontano oggi sul 30 giugno 2012. Nel momento in cui tentano di imporre le dimissioni del presidente Morsi in modo da fare strada per per un più radicale cambiamento che sia all’altezza delle aspettative della rivoluzione, i difensori della Tamarod Campaign si trovano di fronte a tutte le strutture e istituzioni controrivoluzionarie che il “modello turco” ha finito per significare nel contesto egiziano. Più precisamente, si trovano a confrontarsi direttamente col sovramenzionato patto tra gli ufficiali e i Fratelli. Come spiegato, la formazione di questo patto era basata sulla conciliazione tra le due interpretazioni confliggenti del modello turco. In questo senso, si potrebbe affermare che la sfida del 30 giugno è quella di sovvertire il “modello turco” che la Fratellanza Musulmana e i suoi sodali dentro l’esercito hanno imposto all’Egitto.
Ma cosa viene dopo l’aver sovvertito questo modello?
Nel momento in cui molti oppositori del governo dei Fratelli Musulmani implicitamente ed esplicitamente si appellano (o sperano) nell’esercito per intervenire e prendere le parti dei manifestanti, non si può evitare di vedersela con una domanda: che tipo di alternativa può emergere nel rimpiazzare il patto tra i Fratelli e gli ufficiali? Un ordine sociale in cui lo stato finalmente dia ascolto alle richieste popolari per pane, libertà e giustizia sociale? O piuttosto un altro, ugualmente regressivo “modello turco”, in cui l’esercito e le nuove controparti civili governano l’Egitto sulla base di patti escludenti, seguendo le linee guida del documento al-Selmi? O forse coloro che prenderanno le strade il 30 giugno e oltre rifiuteranno di tornare al punto di partenza. Forse resisteranno ai modelli turchi in toto.
[Questo articolo è stato pubblicato insieme a Mada Masr.]
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