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Lotta – repressione – più lotta. Il ciclo nella logistica

179 denunce per la lotta dei lavoratori della logistica alla Granarolo; un attivista del Laboratorio Crash! di Bologna agli arresti domiciliari per aver partecipato all’iniziativa “Blocchiamo l’IKEA!” del 18 dicembre 2012 dinanzi al punto vendita di Casalecchio di Reno (BO); 14 lavoratori sospesi a tempo indeterminato alla DHL e alla TNT a Roma in seguito allo sciopero del 25 ottobre 2013; in 20, tra aderenti al sindacalismo di base ed al Coordinamento di sostegno alla lotta dei lavoratori della logistica sotto processo per gli scioperi del 2008 alla Bennet di Origgio (VA); i fogli di via da Piacenza per il coordinatore nazionale del S.I. Cobas e per altri due compagni in seguito alla lotta contro le cooperative ed il colosso IKEA; diversi procedimenti giudiziari a carico di decine e decine di lavoratori, sindacalisti di base, attivisti solidali con la lotta dei facchini; licenziamenti, sospensioni e minacce sui posti di lavoro; atti intimidatori, come il taglio delle gomme dell’auto, contro chi è impegnato in prima persona nella battaglia nel settore della logistica. 
Sembra un vero e proprio bollettino di guerra – e gli episodi citati non esauriscono il già pesantissimo quadro. In effetti, lo scontro che almeno dal 2008 si sta sviluppando tra cooperative e multinazionali da una parte e lavoratori della logistica dall’altro ha assunto un’importanza capitale. Nell’epoca del ‘just in time’, della ‘lean production’ e della flessibilità assoluta, far circolare le merci alla più alta velocità possibile ed ai costi più bassi è uno dei primi obiettivi che le aziende cercano di conseguire. Per farlo, comprimono le condizioni di lavoro degli addetti del settore, infischiandosene di normative che, sebbene a loro favorevoli, purtuttavia costituiscono un ostacolo, presentando una serie di lacci e lacciuoli di cui si liberano ogni volta che possono. Non a caso, le rivendicazioni immediate poste dai facchini, dai sindacati di cui fanno parte e dai comitati di sostegno alla loro lotta sono il rispetto del CCNL, delle tariffe e delle maggiorazioni che questo prevede, il pagamento al 100% di tutti gli istituti (ferie, tredicesima, quattordicesima, ecc.), riconoscimento dei livelli e dell’anzianità, ripartizione equa delle ore e dei carichi di lavoro, visto che sono usati quasi sempre come meccanismi punitivi/premiali.
Gli episodi delle ultime settimana mostrano inequivocabilmente la volontà delle cooperative e dei committenti di sottrarsi agli impegni sottoscritti con i lavoratori.

Bologna
È il caso della Granarolo di Bologna, dove sono ripresi blocchi dei cancelli e scioperi perché i lavoratori accusano l’azienda e la Legacoop di aver sostanzialmente sconfessato gli accordi siglati a luglio dinanzi al Prefetto e secondo cui già si sarebbe dovuto attuare un piano di assunzioni per 23 operai e provvedere all’individuazione di tempi certi per il rientro di altri 28 operai, ancora in cassa integrazione straordinaria.
Dinanzi a questo comportamento aziendale ed al silenzio del Prefetto, ben più solerte si è mostrata la questura: in una conferenza stampa ha annunciato la notifica di 179 denunce a carico dei facchini coinvolti negli scioperi della primavera scorsa. Non solo: Vincenzo, attivista del “Crash!” è ora agli arresti domiciliari per aver preso parte al movimento di solidarietà con la lotta degli operai di Piacenza e, in particolare, per aver partecipato alla manifestazione del 18 dicembre 2012 dinanzi ai cancelli dell’IKEA di Casalecchio di Reno (BO), per rivendicare il reintegro dei lavoratori licenziati dalla multinazionale del mobile e affinché tutte le loro rivendicazioni fossero accolte.
Per di più, nella conferenza stampa, la questura ha ‘avvertito’ i facchini colpiti dalle denunce del rischio di pregiudicare, con le loro azioni di lotta, il rinnovo dei permessi di soggiorno. Ciò dicendo, ha reso palese l’obiettivo principe della legge Bossi-Fini (e della Turco-Napolitano prima): costringere i lavoratori immigrati a tenere la testa bassa perché, nel caso di ribellione contro lo sfruttamento che soffrono sui posti di lavoro, è sempre aperta la strada dell’espulsione dall’Italia. Ma negli ultimi anni, complice proprio la lotta nella logistica, si è probabilmente prodotta una rottura. È stato cioè abbattuto, tra molti migranti, il muro della paura, come emerge con estrema chiarezza dalle parole di alcuni dei protagonisti della lotta alla Granarolo in seguito all'”avvertimento” della questura:
“Noi non abbiamo paura: il questore non ha detto niente di nuovo. È da quando abbiamo messo piede in Italia che conviviamo con il pericolo di perdere il permesso di soggiorno. Prima delle parole del questore, ci aveva già pensato la Granarolo a mettere a rischio il nostro permesso con i licenziamenti. Non è poi la prima volta che usano il permesso per intimidirci. Più di una volta durante i blocchi e durante i picchetti ci hanno chiesto i documenti, ricordandoci che siamo migranti. Lo sappiamo che secondo la legge non possono usare le denunce contro i nostri permessi. Sappiamo anche, però, che secondo la legge non possono licenziare una cinquantina di persone perché hanno scioperato per i loro diritti. Eppure hanno fatto anche questo. Ma questa è l’Italia dove la legge è uguale per tutti, ma la legge la gestiscono “loro” contro noi migranti. Ma anche questo lo sapevamo prima dell’intervento del Questore e, come prima, vogliamo continuare a lottare.” (da coordinmentomigranti.org)

 

 

Roma
Granarolo e Legacoop non sono le uniche a disattendere gli impegni presi. A Roma, il 25 ottobre c’è stato un ulteriore sciopero nei magazzini della DHL e della TNT (anche a Fiano Romano) per rivendicare l’applicazione integrale e corretta del contratto collettivo nazionale e dei minimi retributivi, una ripartizione più equa e trasparente delle ore di lavoro e la sospensione di qualunque comportamento intimidatorio operato nei confronti dei lavoratori più esposti. Misure che sarebbero già dovute essere poste in essere, secondo quanto promesso dalle cooperative appaltatrici in sede sindacale, e che invece finora sono rimaste lettera morta. Sciopero e blocchi hanno colpito i profitti aziendali; secondo quanto affermato dal S.I. Cobas “oltre i due terzi delle consegne di venerdì 25 ottobre hanno subito gravi ritardi o addirittura sono state rinviate al giorno dopo“. La reazione aziendale non si è fatta attendere: 14 lavoratori sono stati “sospesi a tempo indeterminato”. Un’iniziativa che però ha avuto un’immediata risposta. E, proprio grazie ad iniziative del genere una piccola vittoria è stata già ottenuta. I 14 ‘sospesi’ sono infatti stati reintegrati e questo risultato costituisce certamente un ulteriore incentivo alla costruzione e alla partecipazione agli scioperi che sono già in programma nel settore per le prossime settimane. Senza ovviamente dimenticare che, in mancanza di un intervento attivo dei lavoratori e delle lavoratrici stessi non si può fare alcun passo in avanti. Anche in questo caso, infatti, accanto alle azioni di solidarietà, ciò che è stato imprescindibile è stata la capacità dei facchini di far pesare la propria forza e possibilità di bloccare le merci e le attività grazie a nuove azioni di lotta. 
Oltre agli attestati di solidarietà arrivati fin da subito numerosi, 30 tra lavoratori e militanti del collettivo Militant di Roma hanno occupato per alcuni minuti la sede romana di Confetra (Confederazione Generale Italiana dei Trasporti e della Logistica), scaricando all’interno dei locali numerosi pacchi di rifiuti che simboleggiavano l’accordo ‘spazzatura’, siglato lo scorso 1 agosto con la firma dei sindacati confederali (qui il comunicato e qui il video dell’azione). Ma la protesta era rivolta anche a colpire simbolicamente una delle più importanti associazioni di categoria del settore per aver sospeso i 14 lavoratori che avevano manifestato e scioperato solo pochi giorni prima.

 

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