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Processo Askatasuna: 88 anni richiesti perché lottare é reato

“Non è interesse della procura criminalizzare il dissenso”: si apre con questo paradosso prontamente ripreso dai giornali l’udienza di oggi sul processo per associazione a delinquere ai danni di compagni e compagne del centro sociale askatasuna, del movimento Notav e dello spazio popolare Neruda. Di seguito alcune considerazioni a caldo a cui seguiranno altri ragionamenti.

da Associazione a Resistere

Secondo il ragionamento che sottende la ricostruzione dell’accusa, espressa oggi attraverso la requisitoria della pm Manuela Pedrotta, la lotta sociale della città e della Valle sarebbe riconducibile a una totale strumentalizzazione da parte di un gruppo di persone che utilizzano i contesti sociali per i propri obiettivi criminali.

Basterebbe quindi secondo la pm riportare stralci di intercettazioni – completamente decontestualizzate – durate dalla fine del 2019 all’inizio del 2021 per ricostruire la storia di un pezzo di movimento di questo paese. Il tono denigratorio e dispregiativo é il filo conduttore delle numerose ore di requisitoria: come poter dare credibilità a un tale livello di becero disprezzo é la domanda che corre tra i visi dei presenti in aula. Oggi sono tante le persone che sono venute per dare sostegno agli imputati, in tutto 28 di cui 16 con l’accusa di associazione a delinquere.

Ciò che conta è che se questo processo si concluderà con una legittimazione di tale disegno potremo decretare una cesura nella storia dei movimenti: la profondità storica, il radicamento sociale, l’eterogeneità della partecipazione, la continuità e la tenacia, la necessità di organizzarsi per contrastare l’attacco che viviamo quotidianamente nelle nostre vite, sarebbero delegittimati in quanto prova di un disegno criminale considerato alla stregua di un’organizzazione mafiosa.

“Non c’è alcuna differenza tra la raccolta fondi per i compagni detenuti e i contributi che vengono raccolti per le famiglie dei mafiosi”. Non si fa problemi Manuela Pedrotta a fare l’equivalenza: chi lotta per difendere la propria terra come in Val Susa o chi si organizza per tutelare i propri diritti sui territori sarebbe quindi un mafioso o un trafficante di droga. La dice lunga sulla pochezza su cui si basano le argomentazioni dell’accusa. Incalza sulla stessa equivalenza il pm Emilio Gatti, intervenuto per tirare in causa Totó Riina.

Si dà il caso però che mentre nelle aule del Tribunale di Torino si consuma la favola distopica secondo cui il conflitto sociale sarebbe il primo male della società moderna, la mafia, che in Val Susa é davvero presente sul territorio, sta procedendo indisturbata nella costruzione del tav, in barba alle innumerevoli inchieste, come dimostra l’interdittiva a Cogefa colosso delle costruzioni attivo nel cantiere in sodalizio con le ndrine piemontesi, che è soltanto l’ultima di una serie.

Nel mondo al contrario che si delinea in aula non ci dovrebbe essere nessun problema a portare propositi fascisti in università, secondo la pm Pedrotta infatti le iniziative studentesche sarebbero un esercizio di forza che impedirebbero ai fascisti di parlare e si chiede con una domanda retorica se fare parte del Fuan “é una colpa!?”

Il trito e ritrito ritornello dei “professionisti della violenza”, la presunta presenza di “basi operative” come luoghi utili alle condotte criminali, la riesumata “strategia della tensione” sono tutte le questioni che vengono utilizzate per parlare del “programma criminoso” che andrebbe avanti dagli anni 2000, con buona pace di una conoscenza minima della storia dei movimenti sociali di questo Paese. Ciò delinea un preciso intento da parte dell’accusa, ossia voler stravolgere il significato profondo di ciò che in un contesto democratico, che meriterebbe di essere così definito, sarebbe riconosciuto come la legittimità del dissenso e del conflitto sociale. Oltre a un’imbarazzante ignoranza di cosa si tratta quando si parla di agire politico dei movimenti sociali.

Il portato delle argomentazioni dell’accusa è il sintomo plastico di come oggi é invece intesa la questione democratica: il sistema di sfruttamento e di dominio deve essere legittimato a ogni costo. Pensare che esista una componente sociale pronta a mettersi in gioco per cambiare lo stato di cose esistenti e che abbia l’ambizione essere di massa diventa prova di organizzazione criminale. Pensare che una lotta trentennale come quella contro il tav sia un esempio per altre lotte diventa prova di reato associativo. Pensare che ci siano persone che hanno delle competenze e che vogliono metterle a disposizione della lotta implica una prova di strumentalità e di eterodirezione. Pensare che ci sia una collettività e che questo sia una ricchezza in un mondo di individualità e di isolamento diventa prova di reato associativo. Secondo la procura tutti sarebbero asserviti ai dettami di askatasuna, squalificando così il lavoro di avvocati, giornalisti, chiunque voglia sostenere una lotta collettiva sarebbe al servizio di un gruppo di criminali.

Mesi di udienze, di interrogatori e arringhe difensive secondo l’accusa sono “discorsi inutili” a fronte di un solo dato di realtà che si dovrebbe basare sulle fantasie di chi dipinge gli imputati di questo processo come persone di bassa caratura morale, denigrando in maniera plateale e senza vergogna alcuna chi in questo paese potrebbe forse fare una piccola parte per renderlo un posto migliore.

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