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L’unico cervello in fuga è quello di Poletti

Tra gli italiani all’estero Poletti conosce tante persone “che è meglio non avere tra i piedi”. Sono probabilmente quelle stesse persone che, soprattutto dal Sud, hanno deciso di lasciare il nostro paese per effetto delle politiche sul lavoro e sul reddito realizzate negli ultimi trent’anni. Una scelta tutt’altro che facile, tutt’altro che presa a cuor leggero, che comporta l’abbandono di molto di ciò che si ha di caro; una scelta che non merita di essere umiliata come fatto dall’ex Presidente di Legacoop, che sul disprezzo per i lavoratori ha costruito l’intera sua carriera politica.

Politiche non hanno lasciato spazio ad alternative diverse dal languire nella iper-precarietà, nella disoccupazione, nel lavoro nero, quando non in attività ai confini della legalità. Politiche arrivate al punto di spacciare lo sfruttamento da McDonald’s o Zara come attività formativa presente all’interno dei piani di alternanza scuola-lavoro. Politiche che hanno prodotto un processo di migrazione al di fuori dei confini del nostro paese che ha carattere strutturale, riproducendosi ogni giorno tra stage non pagati, voucher a manetta, contratti che sono solo pezzi di carta straccia.

Sacrifici, turni massacranti, stage pagati zero euro da cogliere come opportunità. Chi non ci sta è ostile all’interesse generale, che poi è sempre coincidente con quello di chi sfrutta e mai con quello di chi è sfruttato: è un debole, un privilegiato da attaccare e stigmatizzare.

Una volta erano i “bamboccioni” di Brunetta: quelli che si ostinavano a rimanere in casa coi genitori invece di uscire fuori a farsi ricattare nel meraviglioso mondo del lavoro odierno. Poi diventarono i “choosy” della Fornero, quelli con la puzza sotto il naso quando provavano a dire qualcosa contro l’effettiva schiavitù in cui consiste l’attualità dello sfruttamento.

Poletti, aggiungendosi al parterre de roi dei fini suoi predecessori citati sopra, si scaglia contro generazioni e generazioni di uomini e donne che andandosene hanno espresso un rifiuto, cosciente o meno, proprio al modello incarnato dal ministro del lavoro: quello dei giovani che d’estate “devono scaricare cassette di frutta“, quello dell’Expo del “lavoro gratuito che è un’opportunità” che ora profuma – che sorpresa! – di inchieste giudiziarie, quello che si godeva gran cene con i protagonisti di Mafia Capitale. 

Il problema è che il modello di Poletti e è molto materiale oltre che teorico: i dati dell’Inps di ieri, che testimoniano l’ennesimo boom nell’utilizzo dei voucher ( più 32% in un anno, 12 1,5 milioni venduti in totale), raccontano alla perfezione l’Italia del JobsAct. Quel paese dove finiti gli incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato quei tipi di contratti crollano mentre – anche qui, che sorpresa! – crescono i licenziamenti disciplinari che tutti a parte chi fingeva di non vedere sapeva benissimo fossero la vera ragione del provvedimento emanato dal governo. Del resto il governo si è vantato pubblicamente del livello basso degli stipendi italiani e soprattutto della loro scarsa crescita nel tempo..

Lo stesso Poletti nei giorni scorsi aveva svelato il segreto di Pulcinella, ovvero che una delle principali ragioni per votare a giugno sarebbe stata far saltare i tre referendum abrogativi delle principali funzioni del JobsAct: mostrando così come quel provvedimento fosse l’indiscutibile architrave del progetto di governo, il pilastro su cui si regge la legittimità di Renzi agli occhi di industriali e grande finanza. E in pochi possono farsi fregare dalla parole di Poletti su possibili modifiche alla disciplina dei voucher: del resto, quando lo stesso Ministro dice che il JobsAct fa bene al paese evidentemente non lascia spazio a molti dubbi.

Poletti è lo specchio di un Renzi e di un PD che se ne sono ampiamente fregati dell’esito referendario, mentre tirano dritti come un treno nel loro distaccarsi il più possibile dagli umori reali della popolazione. Se, dopo che l’81% dei giovani ti ha votato contro, la tua reazione è attaccarli invece di cercare di recuperarne anche un minimo il consenso, vuol dire che quella espressa da Poletti è una vera e propria strategia di isolamento dalla realtà. Una costruzione davvero lungimirante di sè stessi come Casta, non c’è che dire…

Se non altro, vista l’aria che tira nel Pd dopo lo scorso 4 dicembre, il ministro del Lavoro con le sue dichiarazioni ha un merito: quello di aver ulteriormente reso esplicito di cosa si parla quando ragioniamo dei due anni che ci siamo – speriamo per sempre – lasciati alle spalle.

Poletti, suo malgrado, ci mette di fronte al pensiero profondo del renzismo nei confronti dei giovani. E’ odio di classe puro, purissimo, espresso dalla sua posizione di zombie che cammina, residuato di un’accozzaglia di governo duramente sconfessata il 4 dicembre e rimasta attaccata strenuamente alla poltrona in attesa di venti migliori. Ma di una cosa Poletti può essere certo..quell’odio è ampiamente ricambiato!

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