Meno male che Giorgio c’è!
Povero cavaliere: basterà questo ennesimo giro di walzer a salvargli la pelle? Non, va da sè, dall’opposizione interna cui non pare vero di coprire dietro le difficoltà della coalizione governativa le proprie di difficoltà, enormi e oramai incolmabili. Ma dai “partner” internazionali che gli hanno letteralmente spazzato via in poche settimane le sponde di una politica estera già piuttosto minimale e priva di respiro strategico (Libia, Putin, Eni e poco altro).
All’incontro con Sarkozy, Berlusconi ha preso solo “ceffoni di qua, sberle di là”, scrive perfino La Stampa. Con in più la beffa dell’Opa di Lactalis lanciata su Parmalat il mattino stesso del meeting. A sancire quanto conta il governo italiota…
Se n’è resa conto la Lega (ma anche la fronda interna di Libero&c.). Siamo al paradosso: è l’unico partito che sembra porsi il problema di cosa ci guadagna e cosa ci perde l’interesse nazionale nella partita in gioco, perlomeno a medio termine! Di qui quella che è la prima seria incrinatura nella coalizione di maggioranza, tanto più evidente se si pensa all’attacco oramai neanche più sotterraneo a Tremonti da dentro il Pdl.
Non si tratta solo più degli umori di pancia della base, della questione migranti o di meri calcoli elettorali. Ma di preoccupazioni più profonde, di dove si va a parare nella crisi con un apparato produttivo messo sempre peggio e privo oramai di vere multinazionali (Fiat regalata agli yankees, Alitalia ai francesi, ora la Parmalat, ecc.), con le difficoltà di ricapitalizzazione delle banche, con l’approssimarsi degli attacchi speculativi anglosassoni a un debito pubblico gigantesco… La leghizzazione dell’elettorato berlusconiano al nord, ma oramai anche al centro, potrebbe riservare sorprese già alle prossime amministrative. Del resto in Europa non mancano, nel bailamme generale che la mossa bellicista e filostatunitense del pagliaccio Sarkozy contribuisce a precipitare, spinte forti verso le destre “populiste” mentre le sinistre ufficiali assomigliano, nella crisi, sempre più a zombie.
Il problema, e la debolezza, della Lega è a un altro livello, sta nella mancanza di riferimenti esterni forti. La sottomissione di Berlusca a Sarkozy è per lui – il partito debenedettiano di Repubblica con l’appendice Pd neanche pare porsi il problema arrivando oggi a salutare l’opa francese su Parmalat – l’ultima possibilità di non essere fatti fuori del tutto dalla Libia. Ma è anche la sottomissione a Washington in funzione, tendenzialmente, anti-tedesca e anti-Ue. Il punto è che da Berlino non sta venendo fuori nulla di serio nei confronti dell’inedito tandem franco-statunitense. Anche la Cina latita forse pensando che esauritasi la fase bellica potrà tornare nell’area grazie al suo surplus finanziario e alla politica commerciale mentre in Russia si appalesano problemi reali a impostare una risposta (vedi le divergenze al vertice). Le ragioni di ciò abbisognerebbero di un approfondimento a parte che su questo sito abbiamo appena iniziato a fare. Il punto è che pesa in tutti questi soggetti la paura di una aperta confrontation con gli Stati Uniti, di cui le rivolte in Nord-Africa hanno decisamente rilanciato il ruolo di gendarme della stabilità mondiale contestualmente, attenzione, al colpo inferto agli assetti (geo)politici della regione.
Allineamenti, strategie, policies, tutto si rimescola. Per l’Italia la mancanza di alternative al Cavaliere sta diventando un problema drammatico. La mossa di Berlusca è una mossa disperata che sempre meno corrisponde a uno straccio di strategia. Del resto è tutto il quadro politico in estrema confusione. La crisi globale non solo non è risolta ma tre anni di denaro a costo zero (per le grandi imprese finanziarie) non hanno rilanciato in nessun modo consumi e investimenti, in tutto il mondo occidentale. La produzione ristagna nonostante il denaro facile. Non cade solo un idolo keynesiano. Si palesa il vero dramma per il capitalismo: il ristagno dei profitti cui si aggiunge il rischio che diventi difficile anche la rapina finanziaria sulle spalle del Sud del mondo. La primavera araba è questo rischio. E la guerra alla Libia – una “finestra di opportunità” per i poteri forti globali dentro il primo tempo di questa rivolta – è decisiva per l’Occidente per il rilancio del meccanismo di rapina. Chi la legge altrimenti sta prendendo un grosso abbaglio. *
Il problema, per noi, è: come iniziare a evidenziare e affrontare questo scenario a partire dal sei maggio? Nello stordimento generale, possiamo per ora solo guardare, e lavorarci su, all’enorme distanza che si sta creando tra il paese reale e le sue rappresentanze “ufficiali”, nessuna esclusa. Che intanto gli idoli appaiano finalmente come feticci da cui è fuggito lo spirito. Verrà il momento…
* Nota a margine. La Rossanda, schieratasi qualche tempo fa per l’intervento Onu in Libia in mancanza di… brigate internazionali (!) e tacitata con il parallelo con la Resistenza – non caddero anche allora bombe “alleate”? – la discussione sulle pagine del Manifesto, forse si sentirà oggi accontentata (col piccolo particolare che in Italy c’era l’esercito tedesco di occupazione, in Libia… gli occupanti/“cooperanti” si apprestano ad arrivare). Ma in fondo non ha tutti i torti: chi festeggia la Resistenza come liberazione nazionale piuttosto che come guerra di classe (parziale e confusa quanto si vuole, a prescindere dalla direzione politica picista) non ha in questi casi frecce al proprio arco.
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