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Negli USA di Trump: la paura, la rabbia e la lotta quotidiana. Intervista a Take Back the Bronx

In questo primo stralcio i/le compagn* ci raccontano la loro esperienza politica e le loro prime impressioni sull’affermazione del nuovo presidente degli USA. La seconda puntata è dedicata a una analisi più approfondita del fenomeno Trump, mentre la terza tappa aggiorna il contesto dei movimenti nordamericani e traccia alcune ipotesi sul loro sviluppo.

Buona lettura!

 

Infoaut: Vi chiederemmo in prima battuta di presentarvi, descrivendo il vostro background politico e la vostra esperienza all’interno di movimenti o forme di organizzazione politica.

Rosa: Siamo parte di un collettivo che si chiama Riprendiamoci il Bronx (Take Back the Bronx). Abbiamo iniziato ad organizzarci durante il movimento Occupy nel 2011, veniamo da lì. Oggi se ripensiamo a quel periodo, si può dire che sia stato un momento in grado di avvicinare e far lottare assieme tanti differenti tipi di persone: da quelli semplicemente disillusi dallo status quo ai militanti anticapitalisti, alle persone che comunque vedevano una possibilità di agire concretamente nella direzione di un cambiamento.

All’inizio noi ci siamo uniti incontrandoci per le strade del Bronx, in una sorta di “Occupy the Bronx”. C’eravamo noi e anche varia altra gente. Non la pensavamo tutti allo stesso modo, ma questo non è stato un freno per la possibilità di organizzarci, soprattutto cominciando a lavorare contro le brutalità poliziesche e temi come la giustizia economica, i problemi abitativi, e contro i “palazzinari” (slumlords). Col tempo è venuto formandosi una sorta di collettivo, passando progressivamente dal generico “Occupy the Bronx” all’attuale Take Back the Bronx.

Chino: Negli anni successivi abbiamo reagito a due casi eclatanti di brutalità poliziesca – due omicidi e il caso di un pestaggio di polizia contro un ragazzo del Bronx. Abbiamo allora organizzato cortei e proteste su questo tema tra il 2011 e il 2014. I nomi delle persone assassinate sono Ramarley Graham, ammazzato proprio nel Bronx, Jackie Green, pestato brutalmente qui vicino, e Reynaldo Cuevas, altro ragazzo ucciso dal NYPD (New York Police Department). Oltre a cortei e presidi abbiamo anche organizzato, un po’ per tutto il Bronx, eventi chiamati “No Cops Zones”, dove sostanzialmente occupavamo alcuni incroci facendo inziative e interventi contro la polizia.

La nostra attività consiste anche nell’organizzare gli inquilini delle abitazioni più disagiate, ci opponiamo agli sfratti e alle ronde di polizia nelle case popolari (projects), e in alcuni casi abbiamo difeso dallo sgombero alcuni giardini comunitari (community gardens).

Rosa: In questi vari contesti il nostro ruolo è stato di tipo organizzativo, cecando di unire le persone e di diffondere una concezione anticapitalista in quanto stavamo facendo. In secondo luogo il tentativo è sempre stato quello di partecipare alla costruzione di un movimento più generale che potesse attraversare il South Bronx.

E’ anche avendo questo obiettivo in mente che abbiamo partecipato a svariate iniziative che non ci appartenevano immediatamente, ma ci siamo progressivamente resi conto che non ci bastavano cortei e proteste, ma che volevamo organizzarci su un lungo periodo. E per questo abbiamo capito che avevamo bisogno di uno spazio fisico. Dunque parte del lavoro svolto fino ad oggi è stato anche focalizzato al poter aprire un luogo dove poter dare continuità alla nostra attività. Alla fine ce l’abbiamo fatta, e oggi abbiamo uno spazio nel South Bronx che contiene varie attività e funziona come un luogo di incontro per svariati percorsi radicali (a radical hub). E’ un centro sociale chiamato Bronx Social Center, che è stato avviato da noi (Take Back the Bronx) e da altre persone, che magari non condividono del tutto la nostra visione politica… Quindi è un luogo eterogeneo, dove si trovano artisti e altri progetti di organizzazione comunitaria. E’ un tipo di spazio dove comunque ci si può incontrare per riflettere di movimenti sociali e su come organizzarsi per cambiare le nostre condizioni di vita nel South Bronx.

Chino: Oltre a questo abbiamo ospitato anche vari corsi, programmi per ragazzi e studenti, incontri ed eventi culturali, abbiamo promosso l’organizzazione dei lavoratori della comunità, e siamo anche in relazione con gli Wobblies (IWW), che si incontrano in questo centro sociali. Insomma ci sono svariate attività, di cui una a cui tengo è quella che facciamo coi più giovani del quartiere, che spesso tendono a organizzarsi in bande che si scontrano tra loro, e noi invece cerchiamo di cambiare questa mentalità. Proviamo a fornire una prospettiva di unità nel quartiere e dei quartieri poveri contro chi ci opprime. Anche perché dovete considerare che in tutte le città ci sono vari programmi sociali contro la violenza nei quartier, come SOS Racism, guidati da associazioni non profit e da fondi statali. Ma di solito questi progetti servono unicamente per contenere le possibilità di conflitto sociale. Provano ad educare i ragazzi a una politica “rispettabile” (respectability politics), conducendoli ad omologarsi, essere a disposizione di qualsiasi lavoro, o portandoli direttamente verso la polizia. Stiamo insomma provando a costruire una differente prospettiva, soprattutto a partire da quelli che lo Stato definisce come “bad kids”, cercando di evitare sia le forme di recupero delle istituzioni che la guerra tra bande.

 

Rosa – Un altro punto della nostra attività è che ovviamente questa avviene nel quadro della lotta al neoliberismo inteso come la forma assunta ai giorni nostri dal capitalismo. Questo struttura le nostre vite in termini di comportamenti, fissa le coordinate del nostro agire, individualizza e sfrutta al punto da costringere spesso a divenire marginali nella società, costringe ad accettare lavori di merda. Il nostro approccio è quindi duale: da un lato ci occupiamo di organizzazione in termini di resistenza, quindi anche rispetto al sostenere chi sprofonda nella povertà e nella marginalità mentre scompare il welfare; dall’altra invece ci focalizziamo alla costruzione di un movimento in senso ampio su temi complessivi.

Come si diceva, a noi interessa in particolare costruire percorsi soprattutto con i giovani: il South Bronx è uno dei distretti a più alto tasso di disoccupazione giovanile, ed è uno dei luoghi che mostrano in maniera lampante le menzogne di quei politici newyorchesi che descrivono la città come un gioiello dove tutto funziona bene in termini economici, dove la criminalità è assente… ma che invece vede in realtà come la nostra una grande smentita di questo paradigma.

 

Infoaut: Come seconda domanda vi chiediamo di esporci le vostre impressioni, le vostre idee rispetto all’elezione di Trump. In Europa c’è un dibattito in corso che mette in relazione l’elezione di Trump con ad esempio il voto sulla Brexit, sia in termini politici che in termini di contesti sociali in cui questi eventi si sono verificati. Sembra insomma che ci siano molte similarità tra ciò che accade sulle due sponde dell’Atlantico, a partire dalla grande divisione economica, sociale e anche elettorale tra le grandi città e il resto del paese: che ne pensate di questa narrazione? Come valutate il dato che a New York e nelle grandi metropoli abbiano stra-vinto i democratici mentre nel resto del paese, nelle aree più “rurali” soprattutto, ci sia stato una maggioranza per Trump? Come giudicate il contributo a quanto successo di quella working class post-industriale che secondo tanti osservatori è quella che è stata alla base del successo di Trump?

Rosa: Per me personalmente è stato un pò scioccante, non credevo che alla fine avrebbe davvero vinto. Altre persone potrebbero averlo previsto, ma ad esempio il day after nel Bronx è stato molto duro. Ricordo una donna sul bus quasi piangere, chiedendosi come fosse stata possibile una cosa del genere, si chiedeva “Chi ha votato per Trump?!?”. Ma in generale in tutto il Bronx è stato un continuo sottolineare la pericolosità di aver installato alla Presidenza un simile razzista… certo, si può ragionare per ore – e va fatto – sul tema del voto bianco nelle aree rurali e così via, sulle sue cause, ma senza dubbio la prima reazione è stata: “che merda!”. Una reazione dettata dalla paura su cosa possa voler dire una presidenza Trump per il Bronx.

Chino: Anche io personalmente non mi aspettavo la sua vittoria, sono rimasto sorpreso perché pensavo che alla fine l’establishment neoliberale che supportava Clinton sarebbe stato in grado di contenere il fenomeno Trump, per quanto di stretta misura. Quindi si, è stato uno shock, che poi ha lasciato il campo alla rabbia e alla delusione dettate dalla consapevolezza che una parte di elettorato disilluso che ha votato per Trump è stata quella che aveva appoggiato Obama in passato e in parte Sanders negli ultimi mesi. Io sono del Michigan, nella Upper Rust Belt, quindi diciamo che ho presente cos’è la working class. Oggi questo soggetto è estremamente composito e stratificato, sempre in oscillazione e pronto ad andare in diverse direzioni, ad appoggiare diverse opzioni, e il fatto che abbia favorito l’ascesa di Trump è un motivo di vera delusione. Perché aldilà del fatto di credere che altre opzioni politiche potessero risolvere i problemi di chi ha votato Trump, e io non lo credo, questa scelta è sicuramente contraria agli interessi popolari.

Tanzeem: Credo che voi in Italia capiate bene ciò che sta succedendo, non solo per il fatto che abbiate avuto Berlusconi, ma anche perché c’è come un sentimento più generale che sta soffiando sia da noi che in Europa. Io invece, purtroppo, avevo previsto quanto successo, avevo detto più volte ad amici e compagni: “lui vincerà!”. Il motivo per cui lo dicevo è proprio in relazione a fenomeni come la Brexit, e alle questioni socioeconomiche che molti paesi europei stanno vivendo anch’essi e che sono simili ai nostri. Trump ha giocato su questi temi come hanno fatto altre forze in Europa, e ha vinto: a mio modo di vedere è una riorganizzazione di alcune parti interne al campo capitalista che hanno letto bene il momento politico e hanno ottenuto questi successi.

 

Infoaut: A vostro avviso quali sono le cause politiche e sociali che hanno reso possibile l’affermazione di Trump, o se vogliamo che descrivono questo clima più generale?

Chino: Credo innanzitutto sia necessario considerare che negli ultimi decenni c’è stato un consenso neoliberale (neoliberal consensus) che ha attraversato tutti gli schieramenti politici, rendendo quasi indistinguibili destra e sinistra. E questo ha fortemente impattato sulla working class, inclusa quella bianca. Vorrei anche aggiungere che si è spesso fatto riferimento a una divisione geografia tra centri e periferie, ma la questione non è così nettamente distinguibile. Ovviamente ci sono delle differenti gradazioni, per cui è più facile trovare dei sentimenti più “liberali” nelle grandi città e una attitudine più conservativa nelle aree più rurali, ma se ad esempio pensiamo a Black Lives Matter basti dire che di recente è sceso in strada a Minneapolis per opporsi alle formazioni fasciste della città, e in molte città in Texas sono in corso scontri di strada tra formazioni di destra e di sinistra… Quindi direi che lo scontro in realtà è interno e attraversa le città, più che contrapporre città a città o le città alle aree rurali.

Tanzeem: Se guardiamo la mappa elettorale del voto a New York, ci sono alcuni quartieri a prevalenza di una working class bianca a Brooklyn che hanno votato in maggioranza Trump, o dove anche se ha vinto Hillary, è stato per margini davvero ristretti. Quindi sì, non esistono linee divisorie nette, è tutto molto sfumato in qualsiasi contesto.

Rose: In generale è difficile fare un’analisi puntuale su questo voto, si sta ancora cercando di capire cosa sia davvero successo. Nei prossimi tempi bisognerà cercare di capirlo, ma ora la sinistra è piuttosto confusa e disorientata – il che non è per forza un male, perché impone di fare analisi profonde. Personalmente credo non sia possibile individuare un singolo fattore, una sola causa. Certamente c’è una questione nella geografia del paese, alla quale però si assomma il tema della crescente povertà, la decadenza urbana di molte città, il fatto che si è totalmente infranto il patto sociale tra classe operaia bianca ed élite neoliberali… il razzismo ha sicuramente un ruolo di rilievo in quanto è successo (nell’intera storia degli Stati Uniti il razzismo è la via attraverso cui la classe operaia ha incontrato il capitale, e il privilegio bianco è una parte decisiva di questa storia). In più ci sono anche tanti errori di una certa élite democratica… Insomma ci sono tutti questi temi e altri.

Una cosa importante però è che, seppur ci siano alcune similitudini con l’Europa, ci sono anche molte differenze. Per come la vedo io la sinistra, parlando da un punto di vista un po’ più teorico, è oggi per molti versi nel panico: Trump ora ha le porte spalancate per far ciò che vuole, e la sinistra non ha né una analisi né una strategia chiara per affrontare ciò che sta succedendo. […] L’altro giorno stavo ascoltando un podcast su Berlusconi, per cercar di capire similitudini e differenze rispetto a Trump, e una grossa differenza è che Berlusconi è salito al potere col supporto della Mafia e di partiti neofascisti entrati al governo, e questo tipo di alleanze non esistono negli Stati Uniti – al limite ci sono personalità particolarmente nazionaliste, ma non si può parlare di fascisti al governo.

Chino: Ci sono diverse forze che supportano e influenzano Trump, ma in generale credo che si stia sviluppando un meccanismo di polarizzazione dietro questa elezione che apre a un campo di scontro tra le forze più di destra che sostengono Trump e il campo della sinistra.

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