Benvenuti nella Videocrazia
Con una puntualità che non poteva essere più appropriata la nuova puntata del “caso Ruby” esplode sul media mainstream nelle stesse ore in cui uscivano i primi dati sul referendum di Mirafiori. Nel dire questo rifuggiamo qualsiasi tentazione dietrologica. Il funzionamento rodato del dispositivo mediatico fa sì che l’attenzione del pubblico non possa restare troppo a lungo concentrata su un singola vicenda, specie se questa non offre particolari piccanti e possibilità di gossip.
Ciò che più si evidenzia della nuova soap a luci rosse berlusconiana è infatti l’interesse famelico e voyeuristico dei media per gli aspetti minuti delle prestazioni del Cavaliere, con una cultura destrorsa, “calda” e godereccia che si compiace e riconosce nella rappresentazione erotizzata del corpo del sovrano, in cui riconosce un po’ di sé (proiettato o reale, poco importa), e una sinistra che non riesce a liberarsi da un’immagine fredda e bacchettona, congelata nel “rispetto delle regole” e il “primato della legalità”.
Ne esce fuori una narrazione senza storia in cui non sembra esserci via d’uscita tra servitù o moralismo. Come se le vite e i corpi della nostra contemporaneità fossero chiusi dentro questa biforcazione, senza vera alternativa possibile.
Berlusconi è certamente una figura politica anomala nel panorama europeo e mondiale, un incrocio iperbolico tra americansimo del self-made man, maccheronicità italica e aspirazioni da satrapo orientale (con tanto di harem multicolore). Come un novello Caligola, può permettersi di sputare su poteri e singole figure che non gli reggono la parte. Se l’imperatore romano arrivava a nominare senatore il proprio cavallo, il Cavaliere promette (e spesso distribuisce) posti di potere a pezzi fidati della propria “scuderia”.
Da sempre la storia del potere si accompagna a festini in cui le classi dominanti sperperano la ricchezza accumulata sulle spalle delle classi dominate. In questo non c’è nulla di nuovo. Di nuovo (un nuovo che dura da anni) c’è solo la spudoratezza diretta ed esplicita con cui Berlusconi mette sullo stesso piano un appuntamento parlamentare, una visita diplomatica e le sue orgette notturne. Significativo che, intervistato dall’Annunziata, Emilio Fede, direttore di un Tg nazionale, abbia specificato come la sala del “bunga-bunga” altri non sia che “un locale sotterraneo, una sorta di discoteca dove chi vuole può scendere dopo aver cenato, per ascoltare musica, ballare ma anche vedere filmati sui viaggi all’estero del premier o partite di calcio”.
Se Berlusconi vince e permane – nonostante gli scandali che avrebbero fatto cadere quattro o cinque Prime Repubbliche – è perché lui è stato l’artefice, prima nella società, poi nella politica, di quella grande trasformazione antropologica che, per mezzo delle televisioni private, ha saputo interpretare da parte capitalista (e in salsa italica) l’irruzione della neo-modernità nel nostro paese. Momento storico in cui alla domanda di più tempo di vita e meno assoggettamento al lavoro, il sistema ha saputo rispondere con la più pervasiva delle ideologie, quella consumistica.
Berlusconi sa benissimo a cosa deve la sua straordinaria longevità politica. Per questo sta attrezzando la propria risposta mediatica (cioè politica) ai canali fidati di un pubblico e un bacino elettorale che finora non l’ha abbandonato: Mediaset, Tv Sorrisi e Canzoni, i rotocalchi e la sterminata prateria di programmi e reality show in cui la mediocrità dell’individuo-massa atomizzato viene premiata come unica e irripetibile quando invece non è altro che l’ennesima copia di una serie pre-fabbricata.
Berlusconi ordina e Signorini si è già messo al lavoro (Fede, questa volta, fuorigioco in quanto co-imputato).
Costruire alternatività, oltre la mercificazione dei desideri
Il problema, ancora una volta, non è quello dell’essere contro (o pro-) Berlusconi quanto piuttosto di costruire modelli politici, culturali, esistenziali radicalmente alternativi al presente, oltre e contro la civiltà della merce e la riduzione ad essa come unico dato sensibile e metro di misura del valore delle vicende umane. Berlusconi in fondo dice solo questo: “tutto ha un prezzo, tutto è comprabile”, “io ho i soldi, quindi ho donne e potere. Per fare come me, dovete essere come me”. Nella vulgata berlusconiana c’è – ridotta all’osso – la sfrontatezza del modello consumistico e neoliberale, col tutto il suo portato di violenza e espropriazione
Ma il potere della merce è ormai talmente annidato e incorporato nella nostra quotidianità. Il suo capolavoro è l’individualizzazione del rapporto tra il singolo e la totalità sociale, mediato dal gesto mercantile come unico atto sociale riconosciuto e capace di costruire senso. La merce è infatti non solo il tangibile prodotto acquistato nel negozio o il centro commerciale di turno, l’ultimo prodotto tecnologico o il vestito griffato. Merce sopraffina è oggi la socialità pagata a caro prezzo nei locali più o meno alla moda, la colonizzazione degli immaginari e la programmazione consumistica delle identità e dei bisogni collettivi.
Ha fatto tenerezza (per non dire altro) leggere in questi giorni i tanti appelli di donne che da dentro e fuori i confini nazionali chiamavano a una mobilitazione collettiva che partisse dall’ “indignazione” … individuale (sic)!
Non parliamo dell’iniziativa strumentale e sempre più ridicola delle donne del PD che si ricordano delle differenze di genere solo per raccattare qualche voto in più per le prossime elezioni. Parliamo dei tanti sinceri e spontanei appelli letti qua e là in rete. Sembra sfuggire, a molte delle autrici (e in tanti casi autori) di questi, che non c’è risposta possibile al degrado succitato che non sia la costruzione collettiva di orizzonti altri.
Non ci risulta che questi presidi o pubbliche manifestazioni d’indignazione abbiano prodotto alcunché, men che meno capacità di racconto o auto-rappresentazione. Non si può pensare di combattere un costume radicato e profondo come l’imbarbarimento berlusconiano con saltuarie indignazioni individuali senza mettere in discussione il più generale sistema che l’ha generato e che lo alimenta, tanto più quanto più pretende di criticarlo. (Anche perché il racconto di Berlusconi è comunque più accattivante e comprensibile delle moralizzazioni di Repubblica e l’Unità).
Dopo Berlusconi?
Sebbene sia ancora troppo presto per proclamare il rigor mortis del Cavaliere (troppe volte lo si è dato per spacciato), giorno dopo giorno si delineano sempre più chiaramente gli scenari possibili del suo post. Le dichiarazioni e le manovre della Lega Nord (“si riposi, ci pensiamo noi”, “sarebbe stato meglio andare alle elezioni”) lasciano intendere il suo essere già proiettata in nuovo scenario. In questo senso la tenuta della baracca governativa è per loro strettamente funzionale al passaggio legislativo del “federalismo fiscale” che, intoppi e ulteriori scandali permettendo, dovrebbe compiersi in questa settimana.
Da mesi è ormai chiaro che il progetto leghista lavora ad una più o meno effettiva separazione del paese, col nord “produttivo” ancorato alla Germania e il Sud abbandonato a sé stesso e alla debole rappresentanza della consorteria finiana. Ben più che un sogno, il progetto padano si concretizza giorno per giorno col lavorio costante e capillare dei suoi governi locali che dai piccoli comuni del lombardo-veneto alla presa di possesso delle tre principali regioni del nord, delinea un potere amministrativo e legislativo capace di incidere. Sanità e scuola sono i due principali assi d’intervento pesante su cui si abbatte la mano leghista ma non bisogna disdegnare i tanti altri interventi legislativo-amministrativi e la lenta penetrazione nei ruoli-chiave delle banche. La Lega Nord sta insomma ricalcando, declinato a destra e nel contesto attuale, le orme di quello che fu il governo territoriale del Partito Comunista negli anni ’70 e primi ’80.
Da tutte queste vicende chi sembra uscire ancor più rottamato di prima è il frastagliato arcipelago della Sinistra Istituzionale, destinata a perdere ulteriori pezzi per l’incapacità(o non volontà: il risultato è lo stesso) di prendere parte nelle contrapposizioni che contano oggi nel paese. Emblematiche le dichiarazioni e le prese di posizione relativamente alla vicenda Mirafiori. Ma a questa potremmo aggiungere anche l’indecisione nell’appoggio odierno alle inchieste della magistratura milanese. Pm e magistrati (ferma restando la nostra più sincera antipatia per questa istituzione e il ruolo ch’essa svolge), dopo essere stati per lungo tempo celebrati come eroi della resistenza costituzionale di questi anni, vengono lasciati sostanzialmente soli, se si esclude il mero uso strumentale e propagandistico. Con un paragone un po’ azzardato, potremmo dire che l’atteggiamento del Pd nei confronti della magistratura sembra ricalcare quello della Cgil nei confronti della Fiom.
Dopo tanti anni di “al lupo al lupo” per l’instaurazione di un nuovo regime, quando questo inizia effettivamente a delinearsi come tale, la sinistra si ammutolisce e non accenna alle misure di risposta che sarebbero necessarie. Il perché è presto detto: gli equilibri(smi) e le regole impediscono di andare oltre lo
status quo che permette loro lunghe carriere, lauti compensi e posti chiave nella distribuzione di favori e potere. Figura caricaturale di questa salvaguardia degli equilibri è il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, comico guardiano della rispettabilità istituzionale di un sistema ridotto a bordello.
Di fronte al triste panorama fin qui ricapitolato, vorremmo però chiudere con una nota di ottimismo e speranza per l’immediato futuro. Gli spazi aperti dal No di Pomigliano e dalla manifestazione nazionale Fiom del 16 ottobre – potenziati e arricchiti di nuova linfa e radicalità dal movimento delle nuove generazioni studentesche e precarie – ci ha portati alla grande prova di forza sostenuta dai lavoratori di Mirafiori. Se il 36 % di No di Pomigliano ci ha portati fin qui, resta aperto l’interrogativo sul cosa sapremo fare del 46% di No di Mirafiori.
I movimenti e la stessa Fiom vanno da mesi incontrandosi e costruendo assieme le basi di una possibile progettualità comune. Sono passaggi importanti che dovranno però essere verificati passo per passo, declinati territorialmente nelle diverse composizioni e situazioni di lotta. Augurandoci che tutto questo non sfoci nel gioco al ribasso di un mercanteggiamento della ricchezza dei movimenti e dei percorsi di lotta con supposte “nuove” figure della politica istituzionale.
Intanto, è aldilà dei confini nazionali, alle porte dell’Europa, che dobbiamo guardare per immaginare scenari di trasformazione reale. I giovani del Maghreb non vivono più in un distante Terzo Mondo ma mostrano comportamenti e orizzonti assolutamente simili a quelli dei loro coetanei europei. Quanto sta succedendo in Tunisia va ben oltre la rivolta senza futuro, delineando in maniera chiara io tratti di un nuovo processo costituente di alternativa, resistendo ad aggiustamenti di comode e nuove restaurazioni. Varrebbe davvero la pena dismettere un po’ del nostro inveterato euro-centrismo e apprendere quel che c’è da apprendere.