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Percorsi di lotta contro la BuonaScuola dalla periferia bolognese

 

 

 

Ti chiediamo di incominciare spiegandoci la  lotta che state conducendo nella scuola dove insegni, come si sta sviluppando, quali sono le idee e le pratiche su cui state lavorando.

Io insegno in una scuola elementare del Pilastro, quartiere della periferia di Bologna, alle scuole elementari Romagnoli. Ci insegno da anni e diciamo che questo percorso di lotta non  è iniziato con la battaglia sulla Buona Scuola ma è partito già da un paio d’anni; il ddl Buona Scuola di fatto esaspera ulteriormente questioni gravi e presenti da anni dentro il nostro mondo. Il primo tentativo che abbiamo fatto è stato quello di riuscire ad aggregare i diversi lavoratori della scuola, non solo gli insegnanti ma anche le varie figure del personale amministrativo, all’interno di un ragionamento unico perchè questi due livelli sono trattati diversamente anche nella scuola; per riuscirci abbiamo allargato il ragionamento su come avrebbe dovuto funzionare la scuola e cioè sostanzialmente pensato ai temi dei soldi e del personale, avanzando la rivendicazione di pagare tutto il personale adeguatamente e finanziare le strutture e le infrastrutture che servono.

Con questa idea un paio d’anni fa siamo riusciti a bloccare l’inizio dell’anno scolastico, attaccando la struttura organizzativa che il preside – nella sua gestione dei tagli di fondi e personale – ci proponeva. Siamo andati quindi avanti costruendo legami con i colleghi degli altri istituti dell’IC11 di Bologna e iniziando a parlare con altre scuole della città. Poi arriviamo, andando per salti, a quest’anno: la questione Buona Scuola per noi inizia con l’apertura dell’anno scolastico perchè viene messa in campo da questo governo la finzione della Consultazione, sulla quale non mi soffermo perchè ormai è cronaca nella sua ipocrisia, riprendendo in mano il ragionamento per il quale i lavoratori dovevano provare ad identificare gli obiettivi che, pur nella differenza dei ruoli all’interno dell’istituto, si possono definire comuni e su questo fare marciare collettivamente la loro rivendicazione. Questa rivendicazione è sempre la stessa: quello che abbiamo contestato a questa riforma è stato che se da un lato si dice che la scuola deve funzionare con la precisione e il rigore di un’impresa, allo stesso tempo questa impresa in spregio alla stessa logica non viene finanziata, ergo c’è una vera ipocrisia.

Per noi la cosa più interessante soprattutto negli ultimi mesi – nel momento in cui si va a stringere sul ddl – è che lavoratori con provenienze storiche, politiche e culturali diverse sono riusciti a dare vita ad un collettivo, definitosi Consiglio dei Lavoratori della scuola, che ha l’intenzione non solo di essere un nome nostalgico ma di essere davvero rappresentativo delle nostre lotte, dandosi 3 obiettivi. Il primo è lottare per il ritiro immediato del ddl Buona Scuola, pensando di non aver nulla da chiedere al governo ma solamente di sviluppare una lotta vincente. Il secondo obiettivo, più ambizioso e di lunga durata, è la scrittura di una riforma della scuola fatta dai protagonisti, cioè in primo luogo dei lavoratori, aperta a tutti i contributi intelligenti di chi vive nella scuola studenti compresi e conseguentemente alle loro famiglie, senza far riferimento a quello che già esiste. Da sottolineare è che non ci interessa capire quali sono le parti salvabili di questo ddl, non ci interessa riprendere in mano iniziative di legge popolare od altro, ma semplicemente vogliamo nei fatti determinare lo spazio e l’ambito nel quale sviluppare un’attività che non è un semplice lavoro o servizio ma una delle fondamenta centrali della costituzione di una società. C’è poi un’altra questione, il terzo obiettivo, sicuramente meno appariscente ma allo stesso tempo decisivo e più difficile da realizzare: la scuola ha un’amministrazione e una sua organizzazione, dove fino a qualche tempo le decisioni venivano prese in Collegio Docenti (insegnanti) o nella Conferenza d’Organizzazione (personale ATA). Ma in realtà il collegio dei docenti è stato già privato di decisive competenze, passate in mano ai presidi ai quali si vorrebbe dare ancora più potere attraverso il ddl Buona Scuola.

Di fronte a tutto ciò, ma di fronte anche alle condizioni che si vivono dentro la scuola (sovraffollamento, mancanza di personale, salari infimi..) abbiamo la volontà che il Consiglio dei Lavoratori possa diventare controparte di quelli che sono gli agenti del datore di lavoro, ovvero il governo e quindi sul territorio i presidi. Alcuni presidi gestiscono questo lavoro sporco affibbiatogli dal ministero da “poliziotti cattivi” (vedi le minacce di precettazione e i ricatti in occasione dei recenti scioperi per gli scrutini), altri lo fanno in maniera più dialogante: la nostra preside ad esempio ci dice che le questioni di funzionamento della scuola, di approfondimento dei temi, della costruzione di duna didattica adeguata potrebbero diventare anche di nostra competenza mentre quella salariale spetta ai sindacati; cosa questa a cui ci opponiamo nettamente dato che sono temi intrecciati e decisivi. Noi crediamo e speriamo che il nostro Consiglio dei Lavoratori possa spostare il livello della contrattazione dagli ambiti istituzionali e sindacali ad uno praticato direttamente dai lavoratori e dal corpo vivo della scuola.

Parlavi delle mosse di Renzi, anche in riferimento alla questione del discorso dei 100.000 precari in ballo per l’assunzione su cui è un corso uno squallido balletto politico tra le formazioni parlamentari. Le azioni del premier sono imperniate anche sul fatto che il governo sa bene come il corpo dei docenti, negli ultimi anni, messo sotto attacco abbia avuto più una risposta di tipo corporativo, teso a salvare il salvabile, piuttosto che capace di allargare e generalizzare la lotta passando all’attacco sulla base della ricerca di soluzioni per tutti e non solo per qualche fascia privilegiata. Questa condizione ad ogni modo ha avuto il suo peso in passato nel determinare l’esito degli scorsi movimenti sulla scuola. State ragionando sul come scardinare questo livello, anche a partire dalla vostra esperienza?

Sulla prima parte della domanda va detto inizialmente che la frantumazione sociale e dell’unità dei lavoratori nel posto di lavoro è iniziata dentro alle fabbriche (con le 49-50 tipologie contrattuali introdotte dal pacchetto Treu) per poi espandersi nel pubblico impiego. Tutte le operazione condotte, come l’esautoramento del Collegio Docenti, la consegna di nuovi poteri al preside, la precarizzazione dei lavoratori, la divisione tra prima seconda e terza fascia e così via hanno creato la condizione per la quale tu hai da un lato 50.000 lavoratori che devono sostituire i pensionamenti (che sono li che aspettano il boccone dalla mano del governo) e dall’altro ne hai altri 150.000 che  dentro a questa partita non ci sono e di cui alcuni di questi sono quelli che ci siamo ritrovati affianco in questi due anni di lotta. Questa frantumazione è alla base della scuola di oggi. Conta poi il tema della categoria, qui si parla di lavoratori con biografie diversissime, non è un settore omogeneo; per noi il dato positivo è che molti, pur da diverse direzioni, sono riusciti a convergere sulla consapevolezza che la risposta dovesse essere una di tipo unitario, ovvero la rivendicazione dell’assunzione in tempi congrui e con assoluta certezza di tutti i precari, motivando il ragionamento sul fatto che ogni governo da 30 anni a questa parte a settembre assume 150.000 insegnanti per licenziali a giugno. Quindi non c’è nessun’altra cosa che vada fatta che non sia semplicemente il sanare questa situazione.

Si tratta di riconoscere il lavoro di quelle persone che ogni anno sono impiegate nella scuola e per la quale la stessa Corte Europea ha minacciato sanzioni. Il carattere corporativo della categoria detto questo, a livello generale sta anche nell’incapacità (ma ciò non riguarda solo gli insegnanti) di essere forti: 30 anni di attacco alle mobilitazioni e ai diritti hanno dimostrato che se i lavoratori si muovono soli, anche se forti nella loro categoria, una volta isolati senza legami con altre categorie in lotta alla fine vengono sconfitti. Anche questa è una delle scommesse, ovvero far fare a questa categoria un salto che permetta di capire come bisogna costruire una lotta, come cercare legami molto più ampli con le vertenze che si sviluppano anche esternamente alla scuola.

Nella vostra esperienza è anche rilevante il fatto che siate all’interno di una scuola nella periferia di Bologna, al Pilastro. Il tema della periferia è sempre più centrale in questi mesi, affrontato sia dai movimenti – per esempio da quelli per il diritto all’abitare, sia dalla parte opposta dai razzisti e xenofobi stile Lega Nord che fomentano guerra tra poveri. Quanto la vostra lotta ha saputo intrecciarsi anche con il contesto spaziale dove è avvenuta, quanto è stata influenzata a sua volta dalla composizione sociale della zona dove si trova, che tipo di legami si sono sviluppati in corso d’opera?

Questa è un’idea centrale del lavoro che stiamo portando avanti, la natura stessa della composizione sociale e delle provenienze del quartiere nel quale lavoriamo di fatto si impone come uno degli elementi da considerare e sui cui strutturare la mobilitazione. Il dato sociale è che soprattutto con i genitori di ragazzi che hanno una provenienza straniera (anche se ormai di seconda o terza generazione), abbiamo costruito legami, rapporti, comprensione, condivisione anche se ovviamente, sebbene in realtà in pochissimi casi, che però ci sono, ci sono state delle contraddizioni: queste riguardano magari il lavoratore migrante impegnato a fare qualunque tipo di lavoro pur di raggranellare il necessario e che ha problemi se noi scioperiamo perchè non sa a chi affidare i figli, o magari il padre di un ragazzino che fallisce, come purtroppo a volte capita, nella sua attività e si trova nella condizione di attaccarti perchè vede lo sciopero quasi come una presa in giro rispetto al fatto che lui non riesca a lavorare.

Su questo c’è da costruire un salto politico, su cui stiamo lavorando ed  è uno degli aspetti della costruzione di un percorso di lunga durata: la nostra lotta dovrà avere la capacità di creare a settembre le condizioni (a prescindere dall’approvazione o meno del ddl) per costruire nuova mobilitazione, e su questo dovremo ovviamente lavorare anche con il quartiere. Le basi sono molto buone, ma non riguardano solo le periferie: nella scuola Carducci di Bologna dove stiamo lavorando, vediamo che anche se si parla di un contesto all’opposto geografico e sociale del Pilastro si è riusciti comunque a creare connessioni con i genitori e ad avviare percorsi simili al nostro. Da noi il dato è stato dimostrare che tipo di attenzione abbiamo nella formazione di questi ragazzi, puntando il ragionamento proprio sulla costruzione di una scuola capace di rispondere a tutti e che offre a ciascuno a prescindere dalla classe sociale di provenienza un’istruzione uguale per tutti: è l’elemento su cui fare poi avanzare il ragionamento politico. L’altro elemento su questo discorso è stato quello che abbiamo riscontrato incrociando altre vertenze, come ad esempio la lotta dei facchini alla Granarolo: partecipando alle manifestazioni incontravamo i genitori, gli zii, i parenti dei nostri alunni, capendo come tutti questi ambiti sociali sono intrecciati e al nostro collettivo, al Consiglio dei Lavoratori, spetta capire che bisogna continuare su questa strada. Ci fa ben sperare poi che negli anni chi è venuto a lavorare al Pilastro sapeva quali condizioni avrebbe incontrato, quella periferia che dicevamo, e che quindi ci sia una volontà di lavorare in questi luoghi nonostante le narrazioni distorte, negative che ne vengono fatte.

Come vedi le prossime mosse del Governo sul decreto che verrà, alla luce delle ultime polemiche sulla questione dei precari e del possibile ritiro del ddl o quantomeno del suo slittamento?

Io non sono pessimista ma realista, credo ad ogni modo che questo Governo abbia fatto una scommessa, impersonificata in particolare nel suo Frank Underwood nostrano. Renzi non può tollerare che si possa – oltre il vincere nello specifico una singola vertenza –  creare il precedente di una lotta di massa che si autorganizza e che sia capace di bloccare alcuna politica del governo. Sul tema delle assunzioni lui agita la questione dei 100.000 precari  sotto ricatto degli emendamenti del Parlamento (che poi sono la metà perchè comunque 50.000 di questi andrebbero comunque assunti causa turnover pensionistico), ma intanto mente sul fatto che il problema dei 150.000 precari totali non si possa risolvere, dato che servirebbe una semplice firma per stabilizzarli poiché questi lavorano già all’interno della scuola.

Il suo interesse non è risolvere i problemi del funzionamento della scuola, il suo obiettivo è smantellare la scuola pubblica e dimostrare davanti all’Europa e ai suoi finanziatori confindustriali che è lui quello capace di portare a casa il risultato. Spero di essere smentito ma credo che nelle prossime settimane il decreto, magari con qualche piccola modifica, passerà: ma questo non cambia la necessità di questo movimento. Noi sappiamo benissimo come si organizza una Buona Scuola, far funzionare la macchina in emergenza perchè lo facciamo da 20 anni, sappiamo benissimo come portarla in fondo ai prossimi chilometri. Noi siamo dei buoni meccanici, abbiamo le pinze ma non abbiamo fil di ferro, ci servono risorse che non abbiamo: dobbiamo dare continuità alle lotte nonostante ora ci sia purtroppo l’estate davanti e la pausa che questa impone (ma non alle nostre controparti). Dobbiamo costruire i meccanismi per arrivare forti a settembre, fiduciosi del fatto che continuando a lavorare potremo ottenere dei buoni risultati. Soltanto un fatto eccezionale però credo eviterà che il ddl venga approvato (speriamo siano le lotte!), le spinte e gli interessi del campo confindustriale sono davvero forti e soprattutto molto più organizzate di noi!

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