“Preferirei di No!”: la rigidità delle lotte territoriali contro il capitalismo estrattivo e la produzione di nocività
Introduzione al tavolo AMBIENTE E TERRITORI all’interno della 2 giorni TRACCE. Territorio – Autonomie – Conflitti che si svolgerà a Cosenza il 13 e 14 aprile 2019
Le lotte contro lo sfruttamento intensivo dei territori e la produzione di nocività tracciano da anni una nuova cartografia del conflitto. Che si tratti del rifiuto di vivere a poche centinaia di metri dall’ennesima discarica o da una fabbrica altamente tossica, dell’ulteriore consumo di suolo o di una grande opera su un territorio già saturo, una miriade di battaglie locali intralcia la retorica lineare dello “sviluppo” e la ragion di stato dell’“interesse generale”.
A partire dal movimento contro il nucleare degli anni ’70/80 e la contemporanea emersione di battaglie contro la nocività del lavoro, la “questione ecologica” ha dismesso i panni di lotta minore e riservata a specialisti, per imporsi come nodo politico centrale che interroga in profondità la stessa dinamica di funzionamento e riproduzione del sistema capitalista. Il carattere necrogeno dell’attuale modello di sviluppo inizia a imporsi nel dibattito pubblico ma le risposte che emergono non sono scevre da ambiguità ed illusioni. La stessa categoria di “Antropocene”, indicante una responsabilità generica della specie nel creare le condizioni attuali e future dell’instabilità ambientale, nascondono le responsabilità storiche e le gerarchie che hanno prodotto – incrementando potere e ricchezza solo per qualcuno – il mondo in cui ci troviamo a (soprav)vivere.
I comitati popolari e le lotte da essi condotte in difesa dei territori hanno rappresentato una delle poche forme di organizzazione dal basso in grado di riconnettere “semplici” individui senza storia e senza difese a fronte a un modo di produrre e riprodursi sempre più onnivoro che spezza i legami sociali, per agganciare gli atomi così prodotti al proprio meccanismo di consumo e produzione in territori attraversati dai flussi di circolazione delle merci e dallo sfruttamento estrattivo.
Forze embrionali spesso dissoltesi nel particolarismo, nel tecnicismo, nella delega alle forze politiche di volta in volta offertesi sul mercato della rappresentanza o peggio al politicante di turno in cerca di clientele. Come trasformare i limiti e gli errori passati di queste esperienze in strumenti di forza? La difesa del proprio “giardino” può connettersi con una battaglia più ampia? Esiste un legame tra le lotte contro l’abuso capitalistico del territorio e la questione epocale del cambiamento climatico?
Se è vero che mancano risposte facili e ricette buone per tutte le stagioni, quote sempre maggiori di popolazione sperimentano in prima persona l’incompatibilità tra i propri bisogni e la logica di un sistema sociale che, per riprodursi, consuma sempre più voracemente vite e territori. E spesso, nelle pieghe dell’emergenza, emergono forme inedite di cooperazione e ricomposizione sociale che lasciano intravedere i contorni di un vivere radicalmente altro. L’esistenza e la riproduzione sociale diventano un immenso terreno di scontro contro le logiche del mercato.
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