
Quell’accusa di terrorismo (di Giorgio Agamben)

Nel caso in questione, non si tratta in alcun modo, di terroristi  stranieri che vengono a colpire una popolazione civile: esattamente al  contrario, si tratta qui della popolazione di una piccola valle montana,  la val di Susa, che si oppone fermamente a che il luogo in cui vive sia  reso inabitabile dalla costruzione di una linea ad alta velocità di cui  essa non ha alcun bisogno e che interessi estranei impongono con ogni  mezzo. È forse ingenuo supporre che democrazia significhi che gli  abitanti di una stretta valle abbiano diritto di decidere se, anche  lasciando da parte le ragioni di tutela del paesaggio, uomini e animali  che prima vivevano a cinquanta metri di distanza, debbano ora essere  separati da decine di chilometri: sta di fatto che, malgrado una  protesta che dura da anni, le ragioni degli abitanti sono state  sistematicamente ignorate.
 Ma il problema che qui ci interessa è quello dell’applicazione del reato  di terrorismo a un contesto del genere. Chi ha qualche cultura  giuridica sa bene quanto sia rischiosa l’introduzione nel diritto di  clausole generali e indeterminate (come “sicurezza e ordine pubblico”,  “buon costume” “stato di necessità”) che, in quanto non rimandano a una  definizione precisa, ma alla valutazione soggettiva di una situazione,  finiscono, com’è stato autorevolmente osservato, col rendere incerti  tutti i concetti giuridici. La legislazione contro il terrorismo e le  cosiddette “ragioni di sicurezza” hanno spinto questa indeterminazione  all’estremo, tanto che si potrebbe affermare che rispetto ad esse ogni  cittadino non sia ormai altro che un terrorista in potenza. Si consideri  la formulazione dell’articolo di legge in base al quale i quattro
 imputati sono stati accusati: «Sono considerate con finalità di  terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono  arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e  sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i  poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o  astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere  le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e  sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale, nonché le  altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di  terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale  vincolanti per l’Italia».
 Per una nemesi ironica, la formulazione generica dell’articolo, col suo  riferimento a non meglio precisate “organizzazioni internazionali”, fa  sì che esso sia molto più adatto a definire le azioni di politica estera  di alcune grandi potenze, come gli Stati Uniti e la Russia, che non gli  atti degli imputati. Ma ancora più singolare sono le endiadi «un Paese o  un’organizzazione internazionale» e «poteri pubblici o  un’organizzazione internazionale», che sembrano suggerire, con non  voluta ironia, che i poteri pubblici si identificano ormai con quelli  dell’organizzazione internazionale del sistema capitalista. Tanto più  assurdo è volerla riferire agli abitanti della val di Susa. Di  intimidire la popolazione qui non può certo essere questione, dal  momento che ad agire è appunto la popolazione stessa; ma ancora più  irreale è che questa si proponga di intimidire o «arrecare grave danno a  un Paese o a un’organizzazione internazionale ».
 È importante, per questo, che i giudici ricordino che la definizione di  un reato non deve mai essere indeterminata e generica e che la  fattispecie in questione deve essere riferita sempre al suo effettivo  contesto reale. Se la protesta legittima ha ecceduto nelle sue  manifestazioni, esistono già nel codice penale le norme con cui  sanzionarla, senza che si debba ricorrere a un reato di terrorismo che  la coscienza civile sente come del tutto incongruo e sproporzionato
Di Giorgio Agamben – LA REPUBBLICA
Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.



















