Sentenza 15 ottobre: una riflessione tra il tecnico e il politico
Dopo la grande giornata di rabbia esplosa in piazza San Giovanni a Roma contro il governo dell’austerità e contro le politiche del debito, nella quale il protagonismo di studenti/esse, precari/e, disoccupati/e, lavoratori/rici, facevano sentire la loro indignazione ai politici romani, arrivano le sentenze per l’attacco al furgone dei carabinieri: 6 anni di reclusione ciascuno per i sei compagni di Azione Antifascista di Teramo.
Dure le condanne inflitte a termine del rito abbreviato dal gup di Roma Massimo Battistini (la Procura aveva chiesto 8 anni) che per l’occasione, oltre ai reati di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale pluriaggravata e un risarcimento di 30 mila euro per il carabiniere ferito, rispolvera il reato di devastazione e saccheggio ereditato e ancora presente nell’ordinamento giuridico dal codice penale fascista, il cosiddetto “Codice Rocco”. Sono le stesse condanne già comminate ai/le compagni/e già condannat* per le giornate del G8 2001 a Genova.
”L’attribuzione agli imputati del delitto di devastazione e saccheggio – ha commentato l’avvocato Maria Cristina Gariup, che difende alcuni degli imputati – non è condivisibile. Si tratta di una responsabilità oggettiva della quale manca la prova materiale. Non c’è la prova di quanto contestato agli atti”. Infatti, durante quella giornata in piazza san Giovanni eravamo in tanti/e, stanchi/e di subire le politiche dei tagli lacrime e sangue solo per coloro che ogni giorno devo fare i conti con una quotidianità sempre più attaccata dalla casta politica. Una buona parte della generazione che sta pagando tanto ha risposto in modo determinato all’attacco dei politicanti e dei “tecnici”, contribuendo a praticare una giornata di conflitto sociale.
Proprio per questo motivo sembra chiaro come questa condanna provi ad intimidire le lotte sociali all’interno di una fase politica sempre più in difficoltà a trovare un’uscita dalla crisi economica. Una punizione esemplare,politica, confermata, da quanto si legge anche nella dichiarazione del sindaco Alemanno che, oltre a considerare giuste le condanne, dichiara: “Sei anni sono un giusto monito per tutti coloro che scambiano il diritto di manifestare con quello di indirizzare le propria violenza contro le forze dell’ordine nella città di Roma”. In risposta alla pesante condanna, gli avvocati degli imputati fanno sapere che faranno ricorso.
Una condanna così dura fa pensare. O meglio, rende opportuna una valutazione costruttiva, umile, riguardo a quanto siano opportune le scelte alternative al rito ordinario: se da un lato non si discute la scelta personale dei compagni sulla decisione del rito abbreviato, dall’altro lato vala la pena valutare quanto possano influire le indicazioni, dettate dalla forma mentis degli avvocati di turno. Quasi sempre per essi l’uso alternativo al rito ordinario, magari da tramutarsi nello scontare il più a lungo possibile la pena nel proprio domicilio, sembra essere il più opportuno per gli/le assistiti/e. Alla luce di queste condanne, considerando che ad oggi i compagni si trovano ancora ai domiciliari dallo scorso aprile, pensiamo che qualche domanda valga la pena porsela per il futuro…
Ad ascoltare i “consigli” degli avvocati si rischia spesso di imboccare sentieri la cui utilità ci appare dubbia. Percorsi che sull’immediato sembrano essere più convenienti, rischiano di tramutarsi in condanne esemplari che si iniziano a pagare da subito. Nell’affrontare processi di questo tipo, molti avvocati (fortunatamenti non tuttt*) affrontano la contesa mossi dall’obiettivo della minimizzazione della pena (intento lodevole ma cui raramente corrsiponde un ritorno reale), convinti che il tramutare grosse pene in arresti domiciliari sia il risultato migliore ottenibile. L’approccio (con tutto il rispetto) è un po’ quello di ridurre il reato politico a incidente tra ultras. Accade così che molt* compagn* deleghino agli specialisti del Diritto scelte che riteniamo più proficuo elaborare collettivamente con le proprie realtà politiche di riferimento (che permetteono anche di costruire e vivere politicamente i processi). Non intendiamo con questo sostenere che esistono ricette per eludere la repressione. La repressione esiste e lo Stato lo esercita ogni qualvolta ne ha la possibilità, mosso dalla paura che giornate come quella del 15 ottobre (e del 14 dicembre, e infinite altre…) possano ripetersi. Queste note non pretendono insegnare niente, vogliono solo mettere qualche pulce nelle orecchie. Soluzioni belle e pronte non ce ne sono ma la secolare esperienza delle lotte dei/le proletari/e insegnano che il rito ordinario e l’allungamento dell’iter processuale sono spesso preferibili e permettono, se non altro, di elaborare nel tempo strategie ulteriori e più meditate, fuggendo alle pressioni molteplici della contingenza.
I compagni di Azione Antifascista di Teramo terranno giovedì una conferenza stampa al club Gagarin di Teramo, in via Capuani 61, alle ore 11, per fare il punto della situazione e per illustrare anche il processo che si terrà il 10 gennaio a Teramo contro 13 suoi militanti accusati di associazione a delinquere dalla Procura teramana.
Nel frattempo Davide Rosci, uno dei compagni condannati inizierà a breve uno sciopero della fame per protestare contro il reato di devastazione e saccheggio
A loro, ei/le detenut* del G8 va il nostro più sincero e fraterno saluto!
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