Speculando sulla scuola…
La proposta che Renzi affida alle parole del sottosegretario Reggi parla lo stesso linguaggio di quelle riguardanti altri settori della spesa pubblica: flessibilità, tagli, sfruttamento e dequalificazione si trasformano miracolosamente in “innovazione”. La scuola è nel mirino, troppo grandi ancora sono i margini di profitto da poterci ottenere e forte e anche la tentazione di usarla come paravento e copertura della propaganda renziana. Se ne accorgeranno prima o poi quegli stessi garantiti che hanno votato in massa per il boy-scout?
Come altro leggere la proposta di tagliare un anno delle superiori, se non come una misura tendente a recuperare i fondi che servono a mantenere lo specchietto delle allodole renziano nelle buste paga? Questi 80 euro mensili nelle buste paga di una parte della popolazione stanno iniziando a costare un pochettino troppo caro in termini delle previsioni sociali che stanno venendo azzoppate… Del resto si dice che non si possono chiedere fondi per una riforma al ministero dell’Economia se non si taglia e si riforma all’insegna della razionalizzazione (cioè, come abbiamo imparato a capire, coi colpi di accetta sui finanziamenti).
Non sarà uno stringere i denti temporaneo, dopo che anche a livello europeo un sonoro “niet!” è stato ribadito dai falchi tedeschi al nostro caro premier. Che per una volta ha dovuto, sebbene velatamente, ammettere che qualche difficoltà c’è nel portare avanti le sue linee-guida… Chissà come farà ad esempio a finanziare, date le mani legate, quegli edifici scolastici le cui condizioni disastrose hanno portato a morti negli ultimi anni e sulle quali Renzi aveva impostato la sua irritante comunicazione pubblica, stoppata dopo i primi fischi ricevuti nelle scuole di mezza Italia.
E allora via alla vendetta, ovviamente scaricata sul lavoro vivo: su quegli stessi professori e su molti dei genitori, che hanno sì ottenuto gli 80 euro, ma si troveranno un anno in meno di formazione per i loro figli (che all’università salatissima ci potranno andare prima, oppure potranno trovarsi prima un lavoro da fame), e di una qualità ancora minore, dato che dalla bozza si parla di orario di lavoro raddoppiato. Non poteva mancare poi ovviamente una pillola di sfruttamento, dato che l’aumento salariale ammonta a solo un terzo dello stipendio in più.
Evidentemente è questa la soluzione che il governo ha trovato per risolvere l’eterno problema dei precari della formazione: regolarizzare chi è in ruolo facendolo lavorare il doppio e chiudendo a chi sta nelle graduatorie da anni in attesa. Gli incentivi promessi a chi lavorerà di più contribuiranno ad estremizzare una visione della formazione puramente in termini quantitativi; che poi è in realtà, anche in termini capitalistici, è quello che blocca l’Italia dal poter evolvere a livello economico, mantenendo i propri talenti e modernizzando le proprie industrie colpite dalla concorrenza globale.
Ma tanto abbiamo visto dal rinvio del vertice UE che la disoccupazione non è un problema da risolvere in tempi brevi, e che il mondo della formazione è visto sin dall’inizio come futura manodopera dequalificata. Si insegna il giusto per poter essere sfruttabili, nessun sapere critico va incentivato, ma quale società della conoscenza! E con la valutazione come arma di segmentazione e punizione generalizzata (che riguardi l’Invalsi o il giudizio sui professori) i dirigenti scolastici delle nuove aziende della formazione si potranno anche liberare di soggetti scomodi mentre partecipavano alla grande corsa per le briciole!
Sarebbe invece da costruire, in tempi brevi, una risposta adeguata. La capacità mobilitativa del mondo della formazione è quello che ha permesso le prime risposte di massa ai tempi dell’emergere della crisi, rompendo la magia di un governo Berlusconi fortissimo e appena insediato. Ai tempi dell’Onda fu proprio l’alleanza parziale di tutte le componenti della scuola a determinare il primo grande attacco politico alla crisi agita dai padroni che si tramutò poi in critica complessiva della casta e della democrazia rappresentativa suggellata dall’esplosione conflittuale del 14 dicembre.
Quella traiettoria, sebbene uscita dall’ottica delle grandi date tematiche, è continuata negli anni ad agitare le lotte per la casa, i conflitti sui territori, così come quelli del mondo del lavoro, effettuando un vero primo accenno di ricomposizione a partire dalle lotte, verso nuove lotte. I sindacati annunciano battaglia, almeno a quanto annunciano i giornali… Ma dubitiamo che saranno capaci di avere lo stesso approccio di tanti degli studenti che dall’Onda hanno proseguito a lavorare contro la crisi che prendeva carne e sangue, senza rinchiudersi nei propri cantucci oppure senza cercare soluzioni corporative e ispirate alla mediazione e ai contentini.
Certo, le differenze sono molte: Repubblica da primo alleato delle prime parti dell’Onda si è trasformata nel Partito della Reazione che difende a spada tratta ogni provvedimento filo-Unione Europea e contro gli interessi delle fasce più impoverite della società. Ma se nessuno nega il ruolo che ebbe la stampa anti-Berlusconi nel primo sviluppo di quel movimento, è anche vero che i link tra realtà di lotta e la capacità di circolazione dei propri contenuti sono cresciuti esponenzialmente da quel tempo ad oggi.
Nessuno vuole affermare tanto peggio tanto meglio: sebbene la difesa della scuola pubblica, in quanto riproduttrice di forza-lavoro, non ci interessa, sappiamo comunque che la scuola come agenzia di socializzazione, e nelle molteplici ambivalenze date dalle diverse biografia degli attori che la rendono viva, è un fattore enorme di mobilitazione e anche di crescita di giovani militanti. Ed è anche questo che si vuole attaccare militarizzandola, chiudendovi gli spazi di agibilità politica, tagliando le materie più “sensibili” al fine della formazione di coscienza politica. Per questo ogni attacco ad esso portato va visto come possibilità di riprendervi l’iniziativa al suo interno.
Il contesto sembra essere davvero fecondo: le lotte per la casa, contro le devastazioni ambientali, per i diritti nel mondo del lavoro precario sono in crescita e tante realtà di base negli anni, sin dal 2008 e dall’Onda, sono nate a livello capillare in tutta Italia allargando via via il campo dei conflitti prodotti. Pensare alle scuole, nuovamente, come dei campi di battaglia da ribaltare contro Renzi e l’impoverimento sociale è forse, in assenza di riforme ancora nero su bianco, un pochino una speculazione. Ma è la speculazione che piace a noi, quella che rende palpabile la violenza del capitale, quella che ci fa immaginare nuove lotte, non certo quella di chi quando pensa alla speculazione, pensa alle nostre vite!
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