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Stralci di inchiesta (16). Il lavoro nella promozione finanziaria

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Dal trionfo degli yuppies al culmine della transizione postfordista agli ultimi sviluppi della crisi finanziaria, la razionalità delle banche e dei loro operatori è spesso stata al centro del dibattito mainstream e non – nel tentativo di ricostruirne ruoli, strategie e collocazione nella catena di comando capitalista.

Anche in questo settore vediamo approfondirsi nel corso degli ultimi 15 anni alcune tendenze che, come alludeva già Andrea Fumagalli nel suo seminale “Finanza Fai Da Te”, comportano sempre maggiori tagli all’organico, contratti sempre più a tempo determinato o forme ibride. Dinamiche peraltro amplificate nel contesto italiano dalle recenti crisi bancarie e dagli accorpamenti e joint venture da esse prodotte.

Come in un qualsiasi altro impiego da partita IVA, il lavoro di promozione finanziaria viene portato in tal modo a coprire l’intero tempo di vita giornaliero, sotto il pungolo di costante competizione e necessità di aggiornamento professionale. Con target che incentivano la ricerca e la cura di pochi clienti ricchi anziché delle masse di risparmiatori.

Ciò che sembra profondamente mutato nell’organizzazione bancaria è la polarizzazione prodotta da processi e tecnologie informatiche di massa; le cui piattaforme ed interfacce promuovono la progressiva disintermediazione tra cliente e mercati, ridefinendo figura e centralità del promotore finanziario radicalmente, e spesso a discapito di quest’ultimo.

L’intervistato, che lavora in un istituto di carattere europeo dopo una lunga esperienza nel campo bancario, ripercorre qui tali evoluzioni.

 

Come hai iniziato l’attuale lavoro e che occupazione svolgevi in precedenza?

Svolgo il lavoro di promotore finanziario, ambito in cui arrivo nel 2001. Vengo da un’esperienza da lavoro dipendente, prima in una banca di interesse nazionale, poi per circa sei anni in una banca a carattere locale. Dal 2001 lavoro in una condizione di autonomia anche dal punto di vista fiscale. Questo comporta che da una parte la mandante (la banca) attraverso questa forma riesce ad evitare assunzioni del personale e rende responsabile del proprio lavoro chi svolge questo tipo di attività. Per cui abbiamo un pagamento a cottimo, a differenza di una banca tradizionale.

Qual’è la tua mansione all’interno di quest’azienda?

L’attività è quella di promuovere prodotti finanziari presso la propria clientela. Oltre ai contatti già acquisiti, se ne possono stabilire di nuovi attraverso il passaparola o anche tramite operazioni di marketing; ad esempio, eventi organizzati dai promotori finanziari stessi che poi la banca può sponsorizzare in parte od in toto. Questo implica rapporti con la clientela a volte anche a carattere familiare, in altri casi a carattere estremamente professionale. In genere, per quanto mi riguarda, il rapporto è sempre molto umano e la finanza ne rappresenta solo una parte. L’attività a livello più professionale avviene attraverso incontri che vengono preparati verso il pubblico indistinto, dove si presentano le problematiche del momento per quanto riguarda la finanza e le eventuali soluzioni. In quest’ultimo periodo questa formula è molto più marcata che in precedenza perché le problematiche sulla sicurezza del denaro – dove si cerca di mantenerlo, dove uno vuole inserire le proprie risorse – sono dominanti, mentre fino a qualche anno fa addirittura non esistevano.

Quanto e come incide questo lavoro sul tuo tempo di vita?

Oggi tutti i lavori prendono completamente l’arco della giornata. Questo perché le tempistiche e la velocità del quotidiano portano ad applicarsi sul lavoro in senso totale. Quello che rimane è veramente poco per quanto riguarda sé stessi e la propria famiglia. Il tempo per sé stessi viene ritagliato dal tempo lavorativo e non il contrario. Nel lavoro di promozione finanziaria si distinguono tre momenti: uno è quello dell’informazione, di tenersi sempre aggiornati su tutte le variazioni che si possono avere nel corso del tempo sui vari mercati. Il secondo è quello del mantenimento dei propri clienti, di operazioni di attenzione ed aggiornamento delle posizioni in essere. L’ultimo è quello di sviluppare la propria professione trovando nuovi clienti. Questi tre momenti compongono la giornata lavorativa di tutti i promotori finanziari che svolgono quest’attività a tempo pieno: è difficile pensare di poter effettuare questo lavoro part-time.

Come cambia il rapporto tra promotore, banca e clientela alla luce dei processi di informatizzazione di massa?

Quello che sta cambiando radicalmente è il rapporto tra promotore (e banca) e clientela: mentre il primo fino a pochi anni fa sia promuoveva i prodotti finanziari che forniva reportistiche periodiche alla clientela, oggi è la seconda ad essere messa in condizione di poter operare autonomamente nel campo finanziario anche se questo comporta da una parte che il lavoro del promotore (al di là dell’opera di educazione finanziaria che svolge verso il cliente) venga spesso sollevato dall’operatività bancaria finora richiesta. Ma non per quanto riguarda la responsabilità delle proposte di promozione finanziaria cioè indicare un qualcosa che il cliente richieda (non imporre un determinato prodotto da parte del promotore – un suggerimento). E’ come se si presentasse un catalogo dove il cliente possa scegliere: e il promotore gli suggerisca il prodotto più adeguato in base alle necessità espresse. Il promotore non può suggerire per legge, e nella mia esperienza – nelle aziende per cui ho lavorato – non c’è stata la pressione di vendere determinati prodotti. Quello che c’è stato, quello si, è di incentivare attraverso premi determinati prodotti. Quello che è cambiato radicalmente è che il cliente può – senza l’intervento del promotore – acquistare o vendere prodotti finanziari perché la banca gli mette a disposizione la piattaforma. Attenzione, qui si parla della banca in cui lavoro – non tutte, neanche quelle di promotori finanziari, dispongono di questo livello tecnologico – che rappresenta la punta più avanzata, per quanto ne sappia in questo momento, almeno a livello europeo.
Per i promotori come me questa trasparenza sull’andamento dei prodotti può risultare eccessiva, perché il cliente viene spesso messo nella situazione di scegliere da solo – o avere la sensazione di poterlo fare – e in genere combina guai.
Ad esempio nella finanza il fattore tempo è estremamente importante: per cui un investimento che avrebbe un orizzonte temporale lungo se nel breve periodo non performa secondo l’obiettivo in genere viene dismesso dal cliente. E questi può operare con la sensazione di agire come dotato di una professionalità e conoscenza dei prodotti finanziari che in realtà non ha.

Si può parlare di sfruttamento in queste condizioni di lavoro autonomo?

Non c’è un elemento di paragone col lavoro dipendente: per come è strutturato, il lavoro da partita IVA non ha limiti, comporta la necessità o perlomeno la volontà (più o meno decisa) di lavorare il più possibile per avere risultati il più soddisfacenti possibile. In certe situazioni c’è la necessità di lavorare tanto per la sopravvivenza, in altre avendo ottenuto dei risultati ed un tenore di vita soddisfacenti c’è la paura di perdere questo tenore di vita raggiunto.
Ci sono invece  delle discrepanze sugli incentivi. Il sistema è premiante verso chi ha un portafoglio più grande e guadagna di più: vengono modificate le percentuali di riconoscimento su alcuni prodotti. Da quando ho iniziato a lavorare (dal ‘76 al ‘79, in cui era ancora in vigore la scala mobile anomala), quando il lavoro del bancario era molto ambito ed economicamente premiato, c’è stato un progressivo appiattimento degli stipendi fino all’attuale situazione di poche assunzioni a tempo indeterminato (mentre prima erano la totalità), con la tendenza a non rinnovare i contratti ed a diminuire l’organico delle banche. Proprio in questi giorni un istituto bancario sta promuovendo un contratto a cinque giorni di cui due da dipendente e tre da autonomo: questa è per me una novità, non avevo mai visto un contratto di questo genere perché le banche cercano sempre di far entrare i promotori come autonomi, mai come dipendenti o private banker. C’è anche una motivazione per questo tipo di contratto: questa banca aveva eccessi di personale e stava acquisendo altre banche in cattive acque con una quantità di persone da licenziare.

Quali sono i rapporti con i colleghi ed il management, si attivano meccanismi di competizione o collaborazione verso determinati obiettivi?

C’è una grande attenzione da parte del management per proporre o promuovere iniziative per avere maggiori risultati ed un budget più facilmente raggiungibile. Per quanto riguarda il rapporto con i colleghi, c’è un rapporto tendenzialmente positivo ma nello stesso tempo competitivo: il che, per come la vedo io, non è mai positivo, la competizione porta alle potenziali invidie del caso o a situazioni antipatiche. Vengono dati incentivi al raggiungimento del budget annuale, risultato sempre più complicato da ottenere man mano che si va avanti. A volte ci sono stati budget triennali, o addirittura a qualche mese. Su prodotti molto specifici raramente si fanno dei budget – però si fanno. Al raggiungimento del budget si può accedere ad un corso presso un’università straniera o presso la sede del fondo o prodotto all’estero, in genere di 2-3 giorni; mentre per il budget annuale vi sono località e grandi resort, a cui accedono circa 3-400 persone.

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