La finanza (per niente) green di Snam
il nuovo rapporto di ReCommon sulla falsa transizione italiana, ripreso da www.recommon.org
ReCommon ha pubblicato il suo rapporto “La finanza (per niente) green di Snam”. Alla vigilia dell’assemblea degli azionisti di Snam, che anche quest’anno si svolge a porte chiuse grazie a una norma ad hoc predisposta dal governo nel decreto Mille Proroghe, l’associazione esamina quanto siano realmente verdi le obbligazioni collocate sul mercato da una delle più importanti società internazionali per la gestione e realizzazione di infrastrutture energetiche e per il trasporto di gas, partecipata al 30 per cento dallo Stato italiano.
La finanza (per niente green) di Snam
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ReCommon ha così constatato che buona parte del capitale raccolto potrebbe non essere utilizzato per finanziare la riduzione dell’esposizione sul fossile, come sbandierato ai quattro venti da Snam nel suo “percorso di decarbonizzazione”. La transizione energetica della società rimarrebbe per lo più sulla carta e come una sorta di specchietto per le allodole, perché poi nei fatti Snam continuerebbe a investire miliardi di euro nel business fossile.
Dal 2019 ad oggi Snam ha emesso 6 titoli green per un totale di 2,85 miliardi di euro. Oltre a questi, il primo sustainability-linked bond emesso dalla compagnia a gennaio 2022. Considerando che in questo arco di tempo le emissioni di bond di Snam ammontano a circa 12,5 miliardi di euro, significa che oltre un terzo dei capitali raccolti dalla corporation rientrano nella categoria green. Tecnicamente le obbligazioni green pagano interessi periodici e finanziano progetti verdi in linea con gli standard delle Nazioni Unite. Il capitale viene assegnato per intero a queste iniziative, ma solo gradualmente. Come ha specificato l’azienda in un rapporto pubblicato lo scorso marzo, i cosiddetti progetti idonei hanno ricevuto finora solo il 60% circa dei quasi tre miliardi previsti. Di conseguenza la quota non ancora allocata può essere usata per finanziare nell’immediato qualsiasi altro tipo di operazione, comprese – ha precisato DNV GL, la società norvegese che ha certificato i bond – quelle che non hanno a che fare con la decarbonizzazione come “il rimborso delle linee di credito in sospeso o il saldo dei debiti in essere”.
Ma c’è un problema anche con i cosiddetti progetti idonei definiti nel quadro di riferimento per il Climate action bond e i Transition bond emessi da Snam. Come ha spiegato la corporation, il 56% della cifra totale raccolta con i bond servirà a preparare la rete al trasporto della miscela gas/idrogeno. Le rinnovabili, rappresentate in questo caso dagli investimenti nel biogas, raccoglieranno per contro appena il 14% dei proventi. “L’attività principale di Snam è la realizzazione e la gestione di infrastrutture energetiche. Pertanto, la destinazione del 56% delle risorse per predisporre la rete di trasmissione all’idrogeno (retrofit) è perfettamente coerente con il proprio ruolo”, ha precisato l’azienda, di fatto confermando che i tanto decantati green bond sono a dir poco di un verde molto sbiadito.
Questioni queste su cui ReCommon ha interrogato la società anche formalmente, usando la propria veste da azionista per capire per esempio il dettaglio dei progetti finanziati con con i proventi derivati dai bond “green” e già investiti. “Snam usa nomi evocativi per le sue emissioni di bond green, ma poi utilizza i proventi per operazioni radicate nel business fossile”, hanno dichiarato Elena Gerebizza e Filippo Taglieri, autori del rapporto. “Sono molte le voci critiche del blending, ovvero del trasporto di quantità minime di idrogeno mescolato a gas fossile, che andrebbe a totale vantaggio di aziende come Snam, il cui obiettivo è allungare la vita alla filiera del gas”. “L’azienda non esplicita nemmeno di che tipo di idrogeno si tratti, che di fatto potrebbe anche essere idrogeno prodotto da gas fossile, il cui impatto climatico è ancora più alto di quello del gas” concludono Gerebizza e Taglieri.
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