Torna a casa Eddi? Una risposta a Paolo Virzì
Proprio a partire da questa consapevolezza, è anche utile cogliere l’occasione avere un confronto franco e cercare di essere più chiari possibile.
La lotta contro il TAV in Val di Susa è un affare serio, non una ragazzata. Migliaia di persone, una valle intera e oltre, stanno lottando da anni contro la devastazione ambientale e lo sperpero di denaro pubblico. Non è semplicemente slancio idealistico e ribellistico o normale quota di dissenso connaturata ad una società complessa. Il movimento No Tav sta lottando in maniera maledettamente concreta per contrastare le scelte scellerate di una politica malata e legata a doppio filo con le lobby di affaristi. Sta lottando per evitare che soldi pubblici vengano buttati in opere inutili e dannose e perché le risorse vengano utilizzate per i servizi sociali, per le scuole, per chi perde la casa, insomma per migliorare la vita di tutti. La questione è molto seria e concreta. Sicuramente lo è per tutti coloro i quali – giovani e meno giovani, donne e uomini – stanno mettendo in gioco la propria vita e la propria libertà per questa cosa.
Ed è evidente che sia un affare tremendamente concreto anche per chi sta al potere e nel contrasto di questo movimento (e dei movimenti sociali in generale) sta impegnando una quantità di risorse enorme. Certamente non siamo nella Turchia di Erdogan o nell’Egitto di Al Sisi (paesi di cui l’Italia è comunque solido alleato, mentre il caso Regeni è finito nel dimenticatoio), ma è al di là di ogni dubbio che, in particolare a Torino e in Val di Susa, negli ultimi anni ci sia stata una torsione del diritto a livelli eccezionali. Basta un dato approssimativo ma significativo: per mille (1000) procedimenti aperti a carico dei No Tav, zero (si, zero) sono quelli a carico delle forze dell’ordine anche nei casi di evidenti abusi (si veda il documentario “Archiviato”). E ha recentemente fatto scalpore anche la notizia dei 2 mesi di carcere per aver fatto una tesi sul movimento No Tav a cui è stata condannata una giovane antropologa di Venezia. Non sarà la Turchia di Erdogan, ma la convinzione “che le autorità sapranno trovare lo sguardo e la misura per valutare nelle giuste dimensioni” la posizione di Eddi ci sembra, questa sì, una ragazzata.
È questa situazione che costringe Eddi a nascondersi. E sarebbe importante interrogarsi su quanta responsabilità abbiano gli intellettuali italiani in questo stato di cose, perché da troppo tempo si sono adagiati sul conformismo; forse per scarso interesse verso ciò che si muove nella società, forse in nome del quieto vivere o per la paura di esporsi. Sicuramente troppo spesso hanno rinunciato ad esprimere una parola contraria rispetto a quella del potere e così hanno contribuito a creare il vuoto attorno ai movimenti sociali.
Teniamo infine a rassicurare Paolo Virzì, conoscendola sappiamo che la nostra compagna non è né sola né sconfortata: accanto a lei c’è un movimento che riempie la testa e i cuori, dietro di lei c’è una scelta di vita presa in maniera consapevole e serenamente ribadita più volte. Nella lotta non si è mai soli. A sara dura!
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