Tra immediato e futuro una prima politica dello spettacolo
Con quell’articolo volevo notare principalmente un fatto. Ovvero che la strategia di Berlusconi di trasformare in spettacolo il processo “Ruby”, gli ha permesso di entrare in un terreno che, come nessun altro, sa governare. E in questo notavo la particolarità del processo, intrinsecamente costituito da gossip (festini, sesso, droga, minorenni, escort), e quindi la sua facilissima spettacolarizzazione. In poche parole, volevo dire che l’evento “Ruby” per Berlusconi più che il suo più grosso problema giudiziario (come molti giornali amano dire) potrebbe rivelarsi come il terreno ideale per uscire vincitore dal conflitto istituzionale che è in atto da 15 anni in Italia.
Come veniva notato le problematiche che emergevano erano tre: il destino politico di Berlusconi (e nostro) in un conflitto fra istituzioni in cui potrebbe vedere vincitore il papi; il ruolo politico dello spettacolo; e il comportamento dei movimenti.
Come scrivi, per affrontare queste problematicità bisogna iniziare dallo sciogliere il nodo teorico fra politica e spettacolo. Su questo punto, con molto interesse ho letto il tuo editoriale, e potrà sembrarti paradossale, ma quando nel tuo articolo scrivi: “non solo [il rapporto fra politica e spettacolo] non è un piano sovrastrutturale, per dirla in termini canonici, ma è strutturale in un modo da essere ineludibile per i movimenti. E per la loro evoluzione politica.” e ancora: “l’opinione pubblica, una volta invasa dal linguaggio dello spettacolo, non ha una funzione critica rispetto al potere politico e amministrativo ma di produzione di consenso. Lo spettacolo, proprio perché assume in prima persona anche la funzione di creazione di opinione pubblica, genera altro che critica ma quella massa socialmente critica necessaria a produrre consenso istituzionale.” sono decisamente d’accordo con te.
La frase che ho scritto: “il distaccarsi ancora di più di questa classe politica dalla società. Una società che oggi trova poco tempo per momenti di intrattenimento, poiché è impegnata in questioni che riguardano problematiche quali reddito e casa per esempio”. É senza dubbio implicabile di accuse di debordismo, ma siccome non sono qua a difendermi cerchiamo di vedere dove può portare la discussione. Per farlo cercherò di ripercorrere la stesura del mio breve articolo ed esplicitare le problematicità di fronte a cui mi sono trovato. Naturalmente non con l’intento di una autoanalisi da quattro soldi, ma per cercare di rendere ancora più produttivo il dibattito.
Mentre cercavo di trarre le conclusioni del mio articolo, mi sono trovato in un vuoto da colmare. Ed era il vuoto che mi dava la distanza fra teoria e possibilità pratica. Dicevo: “diventa importante agire questo fenomeno” intendendo il fenomeno della forma spettacolare per decostruire il potere berlusconiano, ma a questo punto mi trovavo di fronte alla domanda: come agirlo? E sopratutto nel contesto di questo processo?
Un errore che mi rimproveri è probabilmente quello di aver affrontato la questione con un’ottica di immediatezza dell’agire e non di prospettiva politica, guardando all’evento in sé e non al fenomeno nel suo complesso. Questo è un suggerimento importante per ricollocare la questione all’interno di un processo che non si esaurisce con la fine di Berlusconi.
Il piano strategico che poni per far sì che le idee liberogene tornino ad essere egemoniche è, dunque, quello di elaborare nel movimento una politica dello spettacolo, e porre lo spettacolo stesso come battleground di cui andare a contrattare la forma e il contenuto.
Cito: “senza una politica dello spettacolo, che condizioni il mainstream come favorisca la produzione di contenuti alternativi che diventano di massa, i movimenti sono destinati a rimanere anche nei prossimi anni o un fenomeno politicamente minore o uno transitorio.”
A questo punto, però per riuscire a sviluppare un discorso che si faccia egemonico, è importante inquadrare bene il problema perché il livello di complessità è alto e i fraintendimenti per i movimenti possono essere letali.
Proviamo ad inquadrare la questione su due direttrici una che guardi al futuro e una all’immediato. Perché, se alcuni nodi devono essere compresi ed elaborati soltanto all’interno di una dinamica temporale di “lunga durata”, una visione all’immediato va comunque data, altrimenti si rischia di perdere anche la possibilità di elaborare una prospettiva.
Per la prima direttrice che guarda in prospettiva è bene provare a chiarire alcuni aspetti che permettano ai movimenti di allargare il raggio di comunicazione a cui siamo abituati e di non parlare più soltanto “fra di loro”. L’importante in questo caso credo sia non osservare il problema sul piano meramente tecnologico, poiché questo non ci restituisce il motivo per cui anche interessanti iniziative di utilizzo dal basso delle nuove tecnologie (i movimenti in questo ne sono sempre stati protagonisti) non costruiscano mai un discorso che abbia come destinatari un target diverso da chi il messaggio lo produce. Quindi una riflessione seria per affrontare una politica dello spettacolo deve essere posta non soltanto sul piano delle piattaforme ma anche quello degli argomenti.
Un altro aspetto da chiarire è invece come si ottiene visibilità nel circuito mediatico. Elemento centrale e problematico per i movimenti sociali. In questo caso, un errore sarebbe credere la tecnologia dello spettacolo, come scardinabile soltanto riuscendo ad entrarci in termini estemporanei di visibilità. Per altro, ricercando una visibilità legata ai soli circuiti dell’informazione tout court, senza considerare, da un lato l’intera filiera di generi dello spettacolo in cui un argomento può essere trattato, e dall’altro senza ritenere importanti i piani di comunicazione a rete che intrecciano i territori.
Per quanto riguarda la filiera dell’informazione è ormai evidente come una notizia fuoriuscita dal semplice TG venga creata come spettacolo nei sempre maggiori programmi che ibridano intrattenimento e informazione.
Mentre se non si considerano le comunicazioni territoriali, la visibilità che si ottiene è una presa di parola mediatica basata, non su un piano di contrattazione (per contrattazione intendiamo il contendersi di poteri e contropoteri anche sul piano dello spettacolo), ma su quello dell’adattamento ai canoni dello spettacolo stesso, cedendo di volta in volta in termini di linguaggio, simbologia e parole d’ordine. Un caso emblematico di questo fenomeno è l’implosione dei partiti della sinistra radicale in Italia che non hanno saputo sviluppare politiche territoriali e di comunicazione a rete e hanno visto agito il parco mediatico da un punto di subalternità a cui chiedere parola.
L’altra prospettiva è quella che dovrebbe guardare all’immediato e quindi percepire da subito i circuiti dello spettacolo come battleground. Qua, un primo terreno provo a costruirlo io, nella speranza che anche una madre abbia voglia di affrontarlo. Il 15 aprile un maiale sudato si è arrogato il diritto di parlare della vita di Vik, e questo maiale sudato ha infamato per 10 minuti la memoria di Vittorio dalle 20:35 alle 20:45 su Raiuno nel programma dal nome Qui Radio Londra. A parte la scelta estetica della Rai che mentre mangi ti costringe a vedere un animale del genere. Nel giorno della morte di Vittorio Arrigoni, è decisamente inaccettabile che si getti del fango sulla vita di un uomo che si è sempre schierato dalla parte della libertà, e questo è ancora più inaccettabile se pensiamo che la cara italietta riuscì a celebrare le morti di stato perfino per dei mercenari, riempiendo ore e ore di programmazione televisiva. Di riparare alla sua memoria ce lo chiede Vittorio stesso e credo che sia importante iniziare a pensare seriamente a pratiche che vedano la possibilità di aprire una vertenza per far si che a parlare di Vittorio alle 20,35 sia la madre stessa. Questo potrebbe essere un primo terreno di sperimentazione immediato su un evento che riguarda direttamente il ricordo di un nostro compagno.
Per chiudere, se dovessi pensare a “forme e linguaggi instabili che lo spettacolo crea rispetto al dominio” onestamente, in questo preciso contesto storico ho alcune difficoltà, visto che ormai anche lo spettacolo per eccellenza in Italia “il calcio” è diventato come uno di quei film che servono a convogliare il sonno.
Bada Nasciufo
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