TTIP: il potere delle multinazionali sulle nostre vite
Nel pressoché totale silenzio dei media, dal 2013 è in corso un negoziato tra Stati Uniti ed Unione Europea finalizzato alla creazione di un’ampia area di libero mercato transatlantico tra le due entità (super-)statuali continentali: TTIP (TransAtlatic Trade & Investment Partnership), ovvero “Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti”. Come spesso accade in questi casi, la definizione esprime una sensazione al contempo di grandezza e neutralità, fattori che concorrono a definire come irreversibile il processo in corso. Sulla taglia della nuova definizione giuridico normativa degli scambi c’è poco da contestare – dal momento che Europa e Stati Uniti producono tuttora metà del Pil mondiale e un terzo del commercio mondiale. Sulla supposta neutralità di questi trattati c’è invece molto da eccepire e ne va riconosciuta la natura ideologica e performativa. Abbiamo qui a che fare con la strategia discorsiva propria del Neoliberismo che tende a rappresentare come “naturali” processi di aggiustamento strutturale delle economie e delle regole che le fanno funzionare, tali da produrre cambiamenti significativi nelle vite delle popolazioni coinvolte da queste decisioni.
L’obiettivo dichiarato è l’abbattimento delle protezioni doganali tra le due aree territoriali e la standardizzazione/omologazione delle procedure tecniche che regolamentano la messa sul mercato delle merci. L’agognata “semplificazione” (parola tanto cara a Renzi e ai capitalisti ultra-liberisti di mezzo mondo) si tradurrà inesorabilmente in una perdita secca di controlli sulla qualità(e non nocività) delle merci. La cosa è particolarmente pericolosa per l’agro-alimentare e la farmaceutica, due dei più grossi rami produttivi interessati dalla nuova regolamentazione. Come spesso accade nel capitalismo, la standardizzazione si fa verso il basso, perché essenziale è ridurre i costi dei prodotti, quindi della forza-lavoro e dei controlli sulla qualità. Un attacco ai diritti dei consumatori che si configura piuttosto e più radicalmente come attacco alle condizioni di vita delle classi subalterne. Assisteremo insomma al prodursi di una sorta di apartheid del consumo alimentare, con una produzione standardizzata e massificata a marchio statunitense – una walmartizzazione dell’Europa – cui farebbe da contraltare una produzione europea di alta qualità destinata ai ricchi. WalMart e Eataly diventano un po’ i modelli fintamente antagonistici di una scelta imposta, immagine appena forzata se si considera peso e ruolo delle multinazionali nella definizione degli accordi in questione (vedi i link a fondo pagina).
Gli accordi prevederebbero inoltre un’accelerazione nella circolazione del flusso degli investimenti e l’accesso ai rispettivi mercati dei servizi e degli appalti pubblici. Troppo spesso si rimuove l’amara realtà, che questi accordi ci sbattono violentemente in faccia, che nel capitalismo ogni aspetto della vità è merce. Nelle società capitalistiche avanzate, da almeno due decenni i servizi alla persona sono uno dei maggiori ambiti di valorizzazione capitalistica. Gli effetti di un’ulteriore mercificazione di questi servizi, a detrimento delle residuali garanzie in termini di diritti e qualità, lasciano immaginare il futuro che ci aspetta dopo l’applicazione del Partenariato. Altro aspetto non proprio irrilevante, gli accordi prevedono l’introduzione di un arbitrato internazionale (ISDS – Investor-state dispute settlement) che garantirà alle imprese la possibilità di intentare cause per «perdita di profitto» contro i governi dei paesi europei che intendessero promulgare legislazioni potenzialmente ostili alle loro aspettative di profitto. Una bella doccia fredda per chi si ostina a parlare di «sovranità nazionale» e «democrazia».
In costante declino sul piano economico, contestati nella loro pretesa egemonica di unica super-potenza mondiale, gli Stati Uniti non si arrendono ai rivolgimenti storici che ne mettono in discussione la supremazia. All’irrefrenabile interventismo politico-militare ai quattro angoli del globo, fa seguito da diversi decenni l’articolazione di una produzione normativa di leggi e dispositivi economico-politici che impongono al resto del mondo i modi di adeguamento ad un capitalismo di cui vogliono continuare a essere i principali beneficiari: NAFTA, ALCA, TPP (accordo complementare del TTip sul versante Pacifico)… Lungi dall’essere però solo il prodotto delle brame statunitensi, queste proposte trovano il sostegno attivo delle classi dirigenti capitalistiche occidentali, che ne condividono modi, finalità e vantaggi, mentre le élite dei paesi dell’ex Terzo Mondo e dell’ex Patto di Varsavia ne contestano piuttosto l’articolazione gerarchica, meno i contenuto capitalistici di fondo (vedi l’orientamento iper-estrattivista dei paesi del Brics).
Per illustrare più nel dettaglio e con qualche esempio la portata dei mutamenti, abbiamo realizzato un’intervista con Saro Romeo, agricoltore catanese e attivista dell’ Assemblea Costituente del Comitato NO TTIP
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Link utili
I ricchi e i poveri. Sugli effetti del TTIP sulle nostre vite – di Saro Romeo
Tutto quello che avreste voluto sapere sul Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) – di Grateful Dead
TTIP su Wikipedia
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