Un anno d’assedio ai padroni: per una logistica delle lotte future
Un anno di assedio ai padroni: quando lottare è vincere!
I poteri che governano la città di Bologna sono stati profondamente scossi dall’iniziativa degli operai della logistica organizzati nel sindacato di base S.I.Cobas e accompagnati dai disoccupati, precari, studenti universitari e delle superiori organizzati nei collettivi e centri sociali autonomi della città. Per mesi l’apparato di potere locale (Amministrazione regionale e comunale, prefettura, questura, procura, Legacoop, Unindustria, CGIL, CISL, UIL, stampa mainstream) ha tenuto un basso profilo, ma non per questo potenzialmente inefficace, nel rispondere alle istanze sollevate dal movimento operaio della logistica. All’attacco frontale ha preferito aggredire la lotta dei facchini tramite forme di sabotaggio del percorso di lotta, criminalizzazione a mezzo stampa, e minacce repressive. E’ probabile che contassero sull’incapacità di tenuta organizzativa della lotta e scommettessero sulla forza egemonica, dal punto di vista politico e culturale, dell’apparato che dal 1977, tranne alcune importanti parentesi (il ciclo di lotte per il diritto alla casa del Comitato Senza Frontiere, e il movimento cittadino contro il modello cofferatiano aperto dallo scontro Crash/amministrazione) ha funzionato pressoché indisturbato nel governo della città e nella neutralizzazione delle istanze politiche e sociali sollevate dagli sfruttati del territorio. All’assedio dei padroni della logistica da parte dei facchini, l’apparato rispondeva con una sorta di accerchiamento e tentativo di isolamento, e poi smembramento della composizione sociale della lotta. Il loro punto di forza era l’uso politico del tempo che tramite lo strumento di trattative mai rispettate, allungava la temporalità a favore del padrone, che comunque in grandi difficoltà, teneva in mano il cronometro della lotta, permettendo a repressione e criminalizzazione di sabotare e fiaccare l’iniziativa. La situazione si ribalta durante l’ultima settimana di Gennaio (“la settimana di passione” come è stata definita da un facchino) che ha espresso e concentrato in un breve tratto di tempo, tutta l’energia politica della composizione della lotta dell’assedio alla Granarolo, forgiata da 9 mesi di picchetti, trattative, scioperi, cortei, manifestazioni, assemblee. Ciò non solo dal punto di vista soggettivo, ma anche dal punto di vista del contesto di lotta che sfruttando la tattica padronale “dei tempi lunghi”, in maniera più o meno carsica, aveva il tempo di modificarsi sulla costante iniziativa e regidità operaia. A seguito di quella settimana che all’aumento qualitativo e quantitativo dell’iniziativa del presidio permanente alla Granarolo vide l’intensificarsi della repressione (dall’utilizzo di bande di crumiri per picchiare gli operai, passando dall’uso di bombolette di gas cs per aggredire i manifestanti sdraiati sotto i camion, fino all’arresto di due delegati del sindacato), l’apparato tenta di reagire compatto, ma sbaglia il colpo e inizia a smembrarsi: la questura e la procura dopo l’impennata della repressione si tirano indietro e chiamano in causa la “politica”, l’amministrazione comunale si trincera dietro la solidarietà alla Granarolo e si richiama al principio di legalità, Calzolari, padrone della Granarolo, è costretto a pubblicare lettere aperte alla cittadinanza sui maggiori quotidiani locali per giustificare la repressione, la CGIL tenta l’ultima carta provando inefficacemente di mettere i lavoratori della Granarolo contro altri facchini, Lega Coop rilancia il mantra delle cooperative spurie, e la prefettura apre e chiude l’ipotesi di allestire un nuovo tavolo. Il “si salvi chi può” dell’apparato, un tempo d’acciaio-PCI, si conclude con il miserabile esito della “querelle” legata alle dichiarazioni di Lucarelli, intellettuale di un partito che non c’è, che pubblicamente chiede scusa per il sostegno offerto alla criminalizzazione della lotta dei facchini fomentato da CGIL, Legacoop, Libera, Arci. Questa strategia del potere cittadino ci ha permesso di misurare i nostri limiti e punti di forza, soprattutto rispetto alla forza politica che siamo riusciti a costruire, o meno, nel momento in cui le autorità si compattavano formando una sorta di “Partito Granarolo”. Il potere in quel momento, duro ma fragile come un diamante, si è fratturato grazie all’esercizio di rigidità della soggettività di lotta che è riuscita a formarsi e a stare sul livello dello scontro, accettando e mettendosi bene in testa di proseguire la battaglia fino infondo. Il modo in cui il “Partito Granarolo” ha tentato di smobilitare, deviare e assorbire la lotta ci interroga sulle nostre capacità di agire, e contro-agire, la temporalità e la spazialità della lotta, e su come attivare una dinamica autonoma di accumulo e verifica di energia politica antagonista situata nel contesto di lotta, la sua accelerazione o momento di posizionamento.
Noi e il sindacato, dentro e oltre il picchetto operaio
In questo breve paragrafo non vogliamo proporre una metodologia che si pretende replicabile identica. Sappiamo che i metodi di lotta che vengono elaborati in un contesto determinato di conflitto sociale sono buoni solo se “traditi” altrove, ovvero se divengono uno strumento utile alla riflessione critica e alla pratica collettiva interna ad altri conflitti e ad altre battaglie politiche necessariamente articolati in contesti differenti. Eppure crediamo che non si tratti di una fatalità l’incontro per mezzo della lotta dei facchini, tra noi e un organizzazione del sindacalismo conflittuale, i S.I.Cobas a cui va riconosciuto il merito dell’apertura della lotta sindacale alle istanze dell’antagonismo sociale e politico. Un merito che ha saputo fare i conti con la fase della crisi capitalistica in Italia e ha tirato le somme nella direzione giusta: dare organizzazione alla rigidità operaia senza mediazioni, ed aprirsi alla politicità della relazione con altre componenti di classe come precari, studenti, disoccupati, occupanti di case organizzati nei collettivi e nei progetti autonomi-metropolitani. Dal nostro punto di vista la scommessa è stata far funzionare la rigidità operaia come una delle architravi di un ipotesi di composizione sociale e politica di lotta contro la crisi e contro l’austerità. I facchini sono entrati in relazione con le lotte autonome non tramite un meccanismo retorico di solidarietà tra strutture o peggio di coalizione tra ceti politici, ma per mezzo di una solidarietà di classe che siamo riusciti a tradurre in: “si lotta insieme!”. Alle decine e decine di picchetti, scontri e resistenze abbiamo semplicemente favorito e politicizzato la partecipazione di studenti, precari e disoccupati costruendo strumenti e prassi organizzativa funzionale allo scopo.
Non è un caso se la prefettura e la Legacoop hanno sempre “invitato” il S.I.Cobas a sbarazzarsi del Laboratorio Crash!. Questa esigenza dei padroni è dettata dal potenziale rischio che recepiscono quando osservano l’alta partecipazione di proletariato giovanile e precariato metropolitano ai picchetti alla Granarolo, e dal repentino meticciarsi di pratiche e linguaggi di lotta: da una scuola occupata, allo sciopero all’interporto, dall’occupazione di una facoltà o di una casa, al corteo dei facchini. Questo meticciarsi virtuoso di pratiche e linguaggi di lotta può costituire una minaccia per i poteri e una nuova possibilità per gli sfruttati. A Bologna d’altronde stiamo verificando praticamente le potenzialità e le capacità di rafforzamento reciproco delle lotte quando si insiste sulla centralità della composizione, e su questo terreno da cui siamo partiti, vogliamo restare, esplorandone tutte le potenzialità di cui saremo capaci. L’inchiesta dentro la composizione sociale della lotta, le ipotesi sulla sua politicizzazione esplicita a partire dalla politicità intrinseca dei comportamenti e dei bisogni ci segnala che la proposta di lotta sindacale e partito-direzione, o la proposta della coalizione dei gruppi o anche delle istanze è inadeguata, limitata e insufficiente sia alla potenziale soggettività antagonista che rispetto all’offensiva della controparte. Vogliamo insistere, senza polemica, su questo nodo perché ci sembra uno degli aspetti dirimenti per affrontare collettivamente le sfide future: se il sindacalismo conflittuale dispone una prassi vertenziale aperta alla politica antagonista che si sviluppa nel territorio, e se le forze antagoniste non si impantanano in contesti organizzativi che provocano solo infinite mediazioni reciproche (dove il fattore egemonico è sempre la rincorsa al ribasso dell’iniziativa edella proposta!), c’è la possibilità per le lotte di agire collettivamente nella prospettiva del rovesciamento favorevole dei rapporti di forza. Le forme organizzative che possono prodursi sono espressioni embrionali dell’autonomia della classe dei nostri giorni. Questa possibilità è una domanda aperta che vogliamo continuare a porre nel nostro territorio, e non solo, a tutti i compagni e le compagne che si muovono nella ricerca ostinata della ricomposizione di classe. Anche tra le giornate del 18 e 19 ottobre scorso e prima del ritirarsi di alcune componenti organizzate del sindacalismo conflittuale e non solo, ci sembra che si sia espressa questa potenzialità, mostrando solo parzialmente ciò di cui è capace dal punto di vista delle lotte contro la crisi capitalistica. Non vogliamo dire retoricamente di “ripartire da lì”, ma vogliamo riconsiderare alla luce degli obiettivi collettivi futuri i punti di forza e i limiti che ci hanno accompagnato durante gli ultimi mesi di lotta e conflitto sociale, e tentare di porre la domanda giusta per rispondere collettivamente verso le sfide che ci attendono.
Autunno 2014 per una logistica delle lotte
Dopo mesi di assedio ai “Padroni della Logistica” nel bolognese, la Legacoop, ha ceduto, si è piegata, è scesa al tavolo delle trattative e ha firmato l’accordo della vertenza Granarolo. Per noi questa è la vittoria politica della lotta dei facchini contro la multinazionale del latte, ed è parte di una stagione di movimento che ha avanzato al governo e alle controparti padronali delle istanze non mediabili sollevando il programma politico sintetizzato dallo slogan “casa, reddito e dignità”. La ricezione reazionaria della controparte ha prodotto il Piano-Casa e il Jobs Act, indicando alle procure l’intensità e gli obiettivi da colpire per aggredire il movimento. Vogliamo leggere questo dato nella sua ambivalenza cogliendo anche nella risposta politica reazionaria e nelle iniziative repressive l’assunzione politica dello scontro sociale dell’apparato. Senza cedere narrazioni autocelebrative, vogliamo leggere con estrema parzialità un punto di forza della composizione della grande testa di apertura delle giornate di lotta nazionali da poco trascorse: cosa ha permesso ad un facchino che percepisce un salario da 500 euro al mese e il cui raddoppio tramite la vertenza sindacale si determina in un accesso per lui straordinario ai consumi, di lottare insieme ad uno studente la cui percezione di povertà si attesta sopra il salario base di un operaio della logistica? O di lottare insieme ad un giovane precario che per accedere ad un livello minimo di stabilità strappa welfare tramite l’occupazione di casa? Potremmo andare avanti a lungo prendendo in considerazioni le differenti figure della povertà che hanno composto e compongono la testa meticcia del movimento, ma ci bastano questi tre esempi per trovare la risposta fuori dall’angusto vicolo cieco che oppone il salario al reddito o alla lotta per il diritto all’abitare e viceversa.
L’operaio della logistica di cui abbiamo parlato, con la sua specifica percezione della povertà, con un salario di 1000 euro potrebbe smettere di lottare (re-)integrandosi alla macchina della produzione capitalistica e invece ha continuato a prendere parte all’iniziativa antagonista lottando per il diritto alla casa e per una dignità segnata anche da un’accesso sempre maggiore alla ricchezza sociale, al reddito. E’ questa un esperienza che stiamo facendo nel nostro territorio con il giovanissimo percorso di lotta “SocialLog” dove stiamo tentando di sperimentare una logistica delle lotte che componga la vertenza sul salario, alla lotta per il diritto all’abitare e all’imposizione dell’accesso ad un welfare sempre in espansione. Ma senza la prospettiva politica determinata collettivamente dalle mobilitazioni nazionali d’autunno e di primavera difficilmente avremmo potuto godere di una politicizzazione della povertà in una prospettiva antagonista che ci ha permesso di passare dall’evocazione alla pratica di un meticciato politico e di classe. Le differenti percezioni della povertà o di accesso al benessere e ai consumi che si sono mosse insieme per conquistare “casa, reddito e dignità” ci stanno segnalando delle possibilità che vale davvero la pena di cogliere, a cui si aggiunge anche l’entusiasmante esplorazione del territorio sociale abitato dal lavoratore autonomo la cui percezione di povertà aggiunge altre striature, che dal nostro punto di vista non si sfumano esclusivamente a partire dall’oggettivo precipitare delle condizioni di vita del livello basso del ceto medio, ma soprattuttodall’esercizio di organizzazione collettiva e proposta politica antagonista. Da questo punto di vista la vittoria anche sul piano vertenziale dell’assedio alla Granarolo ci sembra un contributo parziale ma sostanzioso per prepararci alla battaglia contro le politiche sul lavoro e il Jobs Act del governo Renzi che non riusciamo davvero a pensare e ad immaginare come disincarnata da processi di lotta concreti che vedono protagonisti i precari, i neet, e gli operai. Non crediamo che la sfida posta dal nuovo partito-sistema sul terreno del welfare, del lavoro e della casa si risolva con campagne mediatiche e azioni che solleticano l’opinione pubblica, al massimo si tratta di contorni a volte efficaci, altre davvero velleitari. Per questa ragione torniamo alle potenzialità della composizione meticcia (in tutti i sensi) delle lotte, sollecitando il sindacalismo conflittuale e gli ambiti del conflitto sociale organizzati nei territori a praticare una sciopero metropolitano a venire che non sia artefatto o mero assemblaggio di istanze, ma che tenda a sviluppare ricomposizione sociale e politica. Lo sciopero della logistica promosso dal S.I. Cobas e dall’ADL Cobas ci ha permesso di verificare l’efficacia in questi termini dell’arma “sciopero” nel momento in cui ha contrattaccato (provocando anche ingenti danni economici alla controparte) e ha segnato ambiti di ricomposizione e generalizzazione delle lotte. Le potenzialità non le stiamo evocando, al contrario le abbiamo sperimentate positivamente e nel concreto dell’iniziativa collettiva. Così come, oltre allo sciopero, gli operai della logistica hanno rimesso in mano alla classe anche lo strumento del picchetto, e il movimento NoTav ha posto il nodo del territorio e delle pratiche di resistenza, e il movimento per il diritto all’abitare l’attualità delle pratiche di riappropriazione. La nostra logistica delle lotte verso uno sciopero metropolitano vuole funzionare con questi strumenti, superando le esigenze dell’ottenimento dell’obiettivo minimo, e ponendosi almeno il problema dello scopo mediano da ottenere… sul programma politico collettivo di “casa, reddito e dignità” per la nostra metropoli ribelle e meticcia in costruzione!
LABORATORIO CRASH
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