Alcuni spunti sulla questione giovanile oggi.
Dalla repressione nel mondo studentesco alla criminalizzazione dei giovani.
Le notizie degli ultimi giorni sulla stampa locale insistono più del solito sul fenomeno “baby gang”, ovviamente utilizzando un registro moralizzante e patetico. Addirittura viene riportato un reportage tra le mura del carcere minorile di Torino laddove, secondo i giornalisti “Le pareti sono colorate, come in un oratorio, gli agenti della polizia penitenziaria non indossano le divise per non sembrare ostili, la giornata è divisa tra lezioni e attività.” Due giorni fa si apprende la notizia che un giovane si è tolto la vita a seguito del suo arrivo ai Nuovi Giunti all’interno del carcere delle Vallette, era stato arrestato per aver rubato un paio di cuffie.
Qualche settimana fa è uscito un report redatto dal Centro di Ricerca Interuniversitario sulla Criminalità Transnazionale che, basandosi su dati prodotti dalla polizia, da carabinieri e dagli uffici dei servizi sociali per minorenni, riporta una classificazione delle cosiddette “baby gang” della penisola in base all’origine dei soggetti facenti parte di questo fenomeno. Al di là delle considerazioni su come si possa tracciare una linea netta e quali possano essere i criteri per stabilire chi faccia parte di tali “gruppi” (e la possibilità di definirli come tali) o meno, è interessante notare come l’analisi di Transcrime vada, sebbene la sua matrice completamente securitaria e istituzionale, a sfatare immediatamente lo stereotipo che le “baby gang” siano composte per la maggior parte da giovani razzializzati. Anzi, è evidente come molto spesso, soprattutto al Sud, le “baby gang” siano una sorta di emanazione giovanile di organizzazioni legate a fenomeni mafiosi. Questo dato apre una serie di considerazioni in merito alla strutturazione e all’organizzazione dei rapporti sociali in questa fase, alla loro integrazione all’interno di dinamiche violente che hanno come unico obiettivo il profitto, ossia, che si caratterizzano come completamente piegate alle esigenze del dominio capitalista.
Per aggiungere poi, alcuni elementi di riflessione, può essere utile riprendere un articolo di Emilio Quadrelli dal titolo Le gang dei “minori stranieri”: teppisti o nuovo soggetto operaio? che si pone la domanda sui soggetti in questione (giovani, razzializzati, di estrazione popolare) in questa fase, a fronte di in un dibattito decisamente polarizzato sul tema. Da un lato, dimora impunita una narrazione mediatica palesemente razzista, ghettizzante, allarmista e securitaria nei confronti di questo fenomeno e, dall’altro, dilaga un approccio fortemente paternalista e benpensante della “sinistra” che vorrebbe educare ai propri “valori” questi soggetti, in maniera totalmente pietistica e a tratti romanticizzata.
Questi sono soltanto alcuni spunti per aprire alcune domande e riflessioni sulla fase attuale e sulla “questione giovanile”. Come collocarsi dunque come soggetti che si pongono l’obiettivo di lottare e di intrecciare relazioni antagoniste in un contesto sociale impregnato di violenza che difficilmente ha la capacità di verticalizzarsi? Una domanda tra le altre da porsi in una fase in cui assistiamo a una crescente criminalizzazione dei giovani, a una repressione e un disciplinamento sempre più stringenti che colpiscono in maniera trasversale tutta la composizione giovanile in un continuum inquietante che va dal carcere alla repressione poliziesca.
Da un podcast di Radio Blackout
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