C’era una volta il primo maggio
L’autore, come molti altri in questi giorni, affida alla rete il racconto della propria esperienza durante la manifestazione ed evidenzia le ragioni di chi, sfilando con lo spezzone sociale, non ha permesso che pd e polizia impedissero di contestare una classe dirigente impresentabile.
Il mio Primo Maggio si svolge da vent’anni seguendo sempre lo stesso rituale: arrivo in piazza molto presto con l’obiettivo di vivere la giornata passando qualche minuto dietro ogni striscione, senza distinzioni di sorta, viaggiando nella Storia e passando dai ragazzi di Lotta Comunista stra-colmi di nostalgiche bandiere rosse in coda al serpentone ai vecchi sindacalisti in testa al corteo, con un intermezzo giovanilistico a pogare con gli studenti. Il tutto guidato dalla romantica utopia di unire le diverse anime della sinistra con una traversata del corteo senza avere partiti né bandiere di riferimento.
Quest’anno però, credo per la prima volta nella Storia, tutto ciò non mi è stato possibile. La Polizia di Stato ha deciso di partecipare attivamente alla manifestazione sin dalla partenza canonica di Piazza Vittorio: stufi di essere relegati sempre e comunque in fondo, hanno deciso di inserirsi con un loro spezzone, all’interno del quale i simboli di appartenenza erano facilmente riconoscibili in scudo e manganello. Le cariche alle dieci del mattino hanno fatto capire subitamente che la giornata sarebbe stata densa di tensione e prevedibili scontri, e soprattutto all’ignaro sottoscritto sarebbe stato impedito di girovagare indifferentemente da un’anima all’altra della rappresentanza sociale. Il messaggio doveva essere subito chiaro a tutti: non c’era una Festa dei Lavoratori indifferentemente intesi, non c’era un’unica manifestazione, non c’era un Primo Maggio di crisi nera (Torino ad oggi è la città più povera del Nord Italia) di fronte al quale urlare la propria rabbia e disperazione, ed in effetti non c’erano neanche più quei Sindacati pronti a raccogliere i propositi di lotta provenienti da quell’area del disagio sociale che non trova più interlocutori all’interno delle sigle tradizionali.
La Festa di ieri doveva essere la rappresentazione plastica di una cittadinanza spezzata nettamente e vigorosamente in due parti, e così è stato fatto: in testa hanno sfilato i Sindacati ed il Partito Democratico, detentore monolitico del Potere e del destino della città da ormai un paio di decenni, ed ora fiero porta-bandiera del “Governo nazionale del Pensiero Unico”, che si presenta all’appuntamento coi lavoratori con la proposta del Jobs Act, affascinante formula inglese che si traduce in italiano come precarizzazione diffusa e generalizzata della Società. Gli Illuminati latori della Verità Assoluta non avrebbero certo potuto accettare che qualcuno tentasse di rovinare la loro auto-celebrazione, preludio all’elezione di Chiamparino a Presidente della Regione Piemonte. La contestazione non è più prevista nel loro lessico, e così all’alba del Terzo Millennio assistiamo ad un partito che si auto-definisce “di sinistra” (ok lo prometto, non userò mai più PD e sinistra nella stessa frase) che scende in piazza scortato da un servizio d’ordine di virgulti palestrati che rimandano ad un immaginario più vicino al tamarro di zona da un lato e da un imponente schieramento di celerini dall’altro, liberi di scorrazzare per tutta Via Po in mezzo ai manifestanti. Oltre alle allegre immagini di famiglie con splendidi bambini, insegnanti arrabbiati e giovani liceali ribelli (anche qui la colonna sonora è la stessa da vent’anni ma vabbè), la cronaca ci ha tristemente proposto poliziotti in tenuta anti-sommossa che vagavano a metà corteo, tra le gente, a bordo strada: forse la loro volontà di manifestare il disagio era realmente incontenibile.
Il pezzo di cittadinanza escluso dalla festa era facilmente catalogabile per i mass media allineati: erano gli Antagonisti, “gli altri”, quelli dei centri sociali con i piercing e le spranghe, o genericamente “i No-Tav”, come se opporsi all’Alta Velocità in ValSusa fosse una condizione ontologica di appartenenza alla frangia dei brutti, violenti e cattivi. E forse hanno ragione loro, hanno ragione i giornalisti cosiddetti progressisti che difendono la Grande Opera: a Torino la TAV è diventata un simbolo, la perfetta metafora del tutto, l’esemplificazione massima di come la lobby di potere ha deciso di investire sul futuro mentre i servizi sociali latitano e l’assistenza pubblica diventa sempre più chimera. Gli Illuminati non avevano però previsto un piccolo particolare: di fronte al tentativo di escludere un frammento sociale dal corteo, molti torinesi hanno reagito manifestando solidarietà ed andando ad ingrossare le fila di quella parte di corteo che non poteva procedere in avanti lungo il percorso. E così una marea crescente di ggente (sì proprio quella con due “g” non rientrante propriamente nell’immaginario dell’Antagonista) si è accodata al loro furgone lungo Via Po, compreso il sottoscritto che ha ormai abbandonato i propositi globe-trotter. L’apogeo della frattura sociale va in scena in Via Roma: una fiumana di persone non può entrare in piazza, le forze dell’ordine glielo impediscono e qua avviene l’imprevisto, il Coup de théâtre che non t’aspetti. Di fronte all’arroganza di una selezione all’ingresso nella “discoteca” Piazza San Carlo, condita da un paio di cariche probabilmente gratuite, i “partecipanti laterali” ed i semplici passanti si uniscono ai cori di sdegno nei confronti della Polizia, in una unione simbolica del tessuto sociale in opposizione allo status quo che cercano di imporci. La sostanza è che bisogna attendere la fine dello stanco rituale ufficiale dal palco che ha desertificato le presenze: una volta raggiunto involontariamente l’obiettivo di svuotare la piazza dai “manifestanti buoni” viene concesso l’onore del libero accesso a tutti. Questo il triste epilogo di una giornata che ha saputo fotografare la realtà meglio di qualsiasi approfondita analisi sociologica: la distanza tra chi governa Torino e chi vive la crisi sulla propria pelle è amplissima e sembra incolmabile; questa classe dirigente è malata di una cronica e perseverante cecità di fronte ai movimenti che palesano il malessere diffuso.
Siamo ormai di fronte ad una spaccatura socio-economica e culturale che la mia generazione di trenta-quarantenni non ha mai vissuto sulla propria pelle: da una parte i finti progressisti che puntano a mantenere uno status quo di comodo proponendo finte ricette di rinnovamento che non portano a nessun reale cambiamento positivo. Dall’altra parte vi risiede chiunque tenti di esprimere dissenso ed agire a difesa della cosa pubblica, tutti gli attori sociali che a vario titolo e con varie modalità hanno provato ad interloquire con un linguaggio fuori dagli schemi con i rappresentanti politici. Oltre che ciechi sono diventati anche ormai sordi, oltre che così ottusi da riuscire nel capolavoro involontario di far sentire Antagonista anche chi non si è mai reso conto di esserlo: dopo una giornata come questa, molti torinesi si sentono un po’ più Antagonisti/NO-TAV, ed anche il sottoscritto per una volta è felice di aver trovato una collocazione precisa all’interno del corteo del Primo Maggio.
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