Crisi di governo: lo spettacolo imbarazzante della politica italiana
Ieri pomeriggio (13 febbraio) Renzi ha comunicato ufficialmente il ritiro delle due ministre di Italia Viva dal governo: Elena Bonetti (Pari opportunità) e Teresa Bellanova (Agricoltura), più il sottosegretario agli Esteri Ivan Scalfarotto.
Sembrerebbe il preludio della fine del Governo Conte, ma non poniamo limiti alla ‘creatività parlamentare’ della politica italiana, infatti nonostante il ritiro della delegazione, Renzi ha subito affermato che non ci sono pregiudizi nei confronti di Conte e che è possibile ricreare la stessa maggioranza di governo.
Non sono indovinelli è la cronaca politica del ‘Bel Paese’.
Siamo tutt* abituati alle crisi di governo, ai rimpasti, alle ammucchiate di scopo, ma la vera novità è che il tutto si svolge in un contesto ben più disastroso del solito. Un teatrino talmente inopportuno che risulta irraccontabile. Le manovre tra Renzi e Conte sono talmente subdole ed egoiste che rendono trasparente quanto la classe dirigente italiana sia indegna e affarista.
L’Italia vive una condizione sospesa sul baratro di un rapido peggioramento delle condizioni materiali di vita della sua popolazione. Un ridimensionamento prossimo che potrebbe rendere la pandemia, con i suoi ristori e gli scostamenti di bilancio per manovre emergenziali, un momento quasi da rimpiangere.
La tragedia pandemica con 80 mila morti da Covid 19 continua a premere e il comparto sanitario è allo stremo dopo 9 mesi di lavoro estenuante, l’emergenza occupazionale e abitativa, testimoniata dall’impennata di richieste di sfratto per morosità, si configurano come ben più gravi della ‘grande recessione’ del 2008, mentre il mondo della formazione secondaria e delle università nel suo stato di sospensione si sta sgretolando.
Tuttavia la ‘normalizzazione’ del virus sta andando talmente bene che i partiti politici e le lobby capitaliste hanno ricominciato a lottare per il perseguimento dei propri interessi a scapito di quelli collettivi.
In questo caso la materia del contendere non è di poco conto e può sintetizzata in tre ambiti:
Il primo è di facciata ed è la solita barzelletta del MES ‘sanitario’, ossia prestiti per 36 miliardi erogati all’interno del meccanismo europeo di stabilità per sopperire a deficienze sanitarie causate dalla pandemia.
La seconda questione che a Renzi (e ad altri sia chiaro) non è mai andata giù è stata l’auto-assegnazione di Conte alla delega ai servizi segreti. La scelta dei vertici di intelligence non è questione di poco conto anzi questi sono uno dei pilastri sui quali si regge lo stato liberale italiano.
I servizi segreti valgono ben più del Ministero degli Esteri quando si parla di trattative bilaterali tra le grandi potenze e soprattutto quando guardiamo agli Stati Uniti.
Alcuni vociferano che Renzi, la cui impopolarità mina la stessa rielezione, si stia pian piano dirigendo a svolgere attività di carattere più internazionale, la NATO, la cui governance si rinnoverà il prossimo anno. Potrebbe essere un pensionamento politico di suo gradimento.
Tuttavia si può affermare con serenità che il cuore della crisi di governo innescata da Renzi, e da chi lo sostiene nel capitalismo italiano, sono i 209/222 miliardi del Recovery Fund e davanti a questo banchetto non si fanno sconti a nessuno, figuriamoci a Conte.
Gli altri protagonisti di governo e il Quirinale guardano sgomenti. Tutti sanno che andare a votare sarebbe un massacro.
Nel bel mezzo di una pandemia che corre parallela al piano di vaccinazione nazionale, si dovrebbe andare a votare per un parlamento modificato dal referendum sul taglio del numero di deputati e senatori, con una legge elettorale che non è stata nemmeno revisionata in funzione del nuovo assetto istituzionale.
E’ abbastanza chiaro che non si andrà a votare e la schiera dei franchi tiratori di Conte non è certo composta dal solo Renzi.
Come abbiamo scritto in passato pezzi di capitalismo italiano hanno chiarito fin dall’inizio della pandemia che questi tempi emergenziali si sarebbero dovuti gestire con qualcuno che rappresentasse “l’unità nazionale”, o per meglio dire l’unità degli interessi delle classi dirigenti.
Draghi e Cottarelli erano e rimangono i nomi più blasonati per irrompere nella scena e stringersi tutti a coorte, sarebbe già successo se i 5S non avessero avuto la maggioranza relativa.
Conte e i 5stelle erano già considerati delle mine troppo vaganti, figuriamoci in tempi duri come questi.
Conte, si fa per dire, ha dei meriti, ha ottenuto il Recovery Fund con un approccio rigido ai tavoli europei di trattativa, ha sfruttato la convergenza degli interessi francesi per aprire una breccia nell’ordoliberismo nord-europeo.
Conte nella pandemia ha ottenuto troppo capitale politico che ha provato a spendere nella verticalità decisionale con cui voleva strutturare la governance del Recovery Fund. Consapevole della considerazione italiana del binomio politica-opacità sta tentando di imporre una governance che sia parzialmente indipendente dalle logiche politiche-ministeriali. Istituzioni che sono pervase dall’azione di lobby di Confindustria e di tutte le forme di rendita italiana.
Con questo non si vuole difendere l’operato di Conte o la progettazione del Recovery Fund, che abbiamo già descritto come viziata, manchevole e retorica, tuttavia è utile constatare come il suo tentativo di ‘tecnicizzare’ il Recovery fund con pool di esperti per singoli progetti e aree di investimento abbia prodotto un vero e proprio subbuglio nelle clientele politico-industriali. Come sempre però tentare di tecnicizzare un problema eminentemente politico in chiave riformista è un segno di debolezza e di un rapporto di forza molto sbilanciato.
Dopo aver ‘normalizzato’ il virus, la politica italiana accantonerebbe volentieri anche Conte il cui capitale politico senza partito è diventato qualcosa di non completamente governabile dalle solite logiche di palazzo.
La crisi politica del secondo esecutivo di questa XVIII legislatura sembrerebbe terminale, la crisi sociale si agita silenziosa. Quale destino per un governo di larghe intese o un altro guazzabuglio istituzionale degno della prima repubblica?
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