Dal corteo antifa al G7: la recidiva della procura
Un’altra dimostrazione della strategia persecutoria e politica della magistratura e della questura di Torino. Come chiamare altrimenti l’assoluzione di cinque dei sei attivisti antifascisti denunciati e arrestati in seguito al corteo contro il comizio di Casapound del 22 febbraio 2018?
Ricordiamo brevemente i fatti: in quell’occasione i fascisti avevano convocato un comizio pre-elettorale con la presenza del loro leader nazionale Di Stefano. Centinaia di giovani e meno giovani antifascisti si erano organizzati per impedire la propaganda di odio e razzismo che l’organizzazione di estrema destra propugna e con una manifestazione determinata avevano assediato l’hotel in cui si stava svolgendo il comizio.
Ad appena un mese di distanza la questura dell’allora sceriffo Messina aveva proceduto con l’arresto di quattro giovani antifascisti, misure cautelari per altri tre, e con la perquisizione di diverse abitazioni.
Dopo qualche giorno le misure avrebbero raggiunto anche Nicolò, tradotto in carcere alle Vallette, dove è rimasto per tre mesi in attesa del braccialetto elettronico.
I fatti che venivano contestati alla maggior parte di questi giovani rasentavano l’assurdo, alcuni erano stati perseguiti per aver fatto degli interventi al microfono, ad altri veniva imputato il concorso morale per essersi trovati semplicemente nella vicinanza dei luoghi dove sono avvenuti gli incidenti. L’intento della procura era evidentemente intimidatorio e punitivo, non per aver commesso materialmente dei reati, ma piuttosto per aver scelto di partecipare con consapevolezza a una giornata antifascista.
Adesso l’inconsistenza dell’operazione è dimostrata dalle stesse assoluzioni dei tribunali, ma chi restituirà i mesi di vita in carcere a Nicolò o i giorni di domiciliari e di firme per gli altri?
Le motivazioni dell’assoluzione recitano chiaramente: la «mera presenza» in piazza non può essere sinonimo di «contributo causale alla commissione del reato»: fosse così, «si costruirebbe uno schematismo per cui “tutti concorrono in tutto”».
La storia si ripete esattamente nello stesso modo oggi, ma con livelli di assurdo se si può ancora più profondi, per quanto riguarda gli arresti riguardanti la mobilitazione contro il G7 di Venaria del 2017. Diciassette persone con misure cautelari a cui vengono affibbiati pseudo reati senza nessuna prova neanche passabile, con la consapevolezza, probabilmente, per la magistratura che le misure presto cadranno. Le misure cautelari, in teoria strumento di garanzia contro l’inquinamento delle prove o la fuga, vengono qui usate come vendetta e per allontanare gli attivisti dal loro impegno politico quotidiano. Lo sa bene anche il senatore trombato Stefano Esposito del PD, sempre in prima linea contro i No Tav e i movimenti sociali che ieri in un alacre tweet celebrava l’operazione con un retrogusto amaro: “Questa mattina su ordine della Procura di Torino sono stati arrestati per gli scontri del G7 di 2 anni fa molti esponenti di askatasuna. Come al solito resteranno agli arresti pochi giorni ma non posso che esprimere soddisfazione per questa azione di legalità” afferma Espochì.
Triste però è la soddisfazione di chi come Esposito dopo anni di cazzate è dovuto tornare a lavorare e dei PM che pur di fare un briciolo di carriera, miseri come sono, passano il loro tempo a tentare di incarcerare giovani attivisti con teorie fantasiose che si vedono prontamente smontate. Grande dev’essere la frustrazione, ma questo non impedirà a chi lotta con dignità di portare avanti le proprie battaglie.
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