#FightFor15: sciopero dei fast food in 190 città USA
La mobilitazione si inserisce nel percorso iniziato ormai due anni fa nelle principali catene di fast food e nella campagna “Fight For 15” che rivendica un salario minimo di 15 dollari l’ora e il diritto a forme di tutela e organizzazione sindacali. Lo sciopero di oggi segue una serie di altre giornate di protesta coordinate a livello nazionale andate in scena nei mesi scorsi (come quella del 4 settembre) ma si annuncia con ogni probabilità come la più grossa e partecipata mai organizzata finora.
Ad essere presi di mira dai lavoratori che incrociano le braccia oggi sono principalmente le filiali del McDonald’s ma le azioni si stanno estendo anche alle altre principali sigle, come Burger King, Wendy’s, KFC ecc.
“Hold your burgers, hold your fries: make our wages supersized!” è lo slogan che riecheggia oggi in centinaia di città USA (“Tenetevi i vostri hamburger, tenetevi le vostre patatine: fate le nostre paghe di misura super!”). A partire dalle 6 di questa mattina migliaia di lavoratori hanno abbandonato il posto di lavoro per dar vita a cortei, blocchi, picchetti e flash mob.
La reazione della catena di McDonald’s per ora è stata disastrosa e non ha fatto che soffiare sul fuoco della protesta: il colosso statunitense, infatti, ha invitato i suoi lavoratori a fare richiesta per l’assistenza economica pubblica o a trovarsi un secondo lavoro, dichiarando che un aumento delle paghe comporterebbe un aumento dei prezzi dei menu (più realisticamente una diminuzione degli smisurati profitti incassati ogni giorno sulla pelle dei lavoratori sottopagati).
Il dato interessante che è emerso finora dalle mobilitazioni di #StrikeFastFood, oltre alla massiccia partecipazione, è la trasversalità della sua composizione e la capacità di parlare anche ad altri settori della popolazione americana: recentemente alla lotta per i 15 dollari l’ora si sono aggiunte anche moltissime lavoratrici che si occupano del settore domestico e quelli degli aeroporti, mentre nelle scorse settimane i cartelli “Fight For 15” sono comparsi anche tra le mobilitazioni contro l’assoluzione del poliziotto che ha ucciso il giovane afroamericano Mike Brown (un dato che si spiega anche alla luce delle composizione razzializzata di buona parte dei lavoratori dei fast food). Insomma, la battaglia sembra stia travalicando i confini delle grandi catene di fast food per rivolgersi più in generale a una lotta contro la povertà e agli impieghi maggiormente sfruttati, sottopagati e privi di qualsiasi riconoscimento sindacale.
Dopo la conquista del tetto minimo di 10 dollari l’ora ottenuta nel 2012 con la prima ondata di scioperi, ora il movimento sta riscuotendo nuove vittorie: in alcune città, come San Francisco e Seatlle, le principali catene hanno accordato la paga dei 15 dollari, mentre a Chicago la scorsa settimana la cifra è stata fissata a 13.
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