#FreeFive, bloccare l’estradizione!
In queste ore cominciano ad arrivare i primi aggiornamenti da Atene in riferimento alla richiesta di estradizione per i 5 studenti greci accusati di aver partecipato agli scontri del 1°maggio 2015 a Milano in occasione della manifestazione No Expo. I giudici greci stamane si sono pronunciati per quattro studenti (il quinto ed ultimo sarà giudicato lunedì 11), rifiutando la richiesta della procura di Milano la quale si vede sfumare il tentativo di usare un mandato europeo per reprimere le lotte sociali.
AGGIORNAMENTO ore 15.30: E’ stata rifiutata la richiesta di estradizione anche per altri due giovani imputati e sono decadute tutte le misure cautelari. Lunedì il tribunale si pronuncierà sulla sorte dell’ultimo studente, anche se probabilmente il verdetto sarà lo stesso. In queste ore, in solidarietà ai 5 giovani, è stata occupata l’università di economia ASOEE di Atene.
E’ arrivata stamattina la decisione dei giudici greci di rifiutare la richiesta di estradizione emessa dalla Procura di Milano per i primi due studenti greci accusati di aver partecipato agli scontri del 1° maggio 2015 a Milano in occasione della manifestazione No Expo.
I 5 giovani, arrestati dalla polizia greca il 12/11/2015 a seguito dell’emissione di un mandato di cattura internazionale (per la prima volta applicato in Europa rispetto a degli scontri di piazza), erano stati dallo stesso tribunale greco scarcerati poco dopo con l’obbligo di firma due volte a settimana ed ora stanno affrontando il processo presso il Consiglio Giudiziaro che deciderà per la loro estradizione.
Come detto in apertura, il giudice si è espresso poche ore fa in maniera negativa rispetto l’estradizione e togliendo ogni misura cautelare preventiva per i primi due accusati, nel pomeriggio toccherà ad altri due ed infine lunedì decideranno per l’ultimo giovane.
Un processo molto diverso a quello cui siamo abituati in Italia, durato dalle 10 del mattino fino alle 6 di sera in cui hanno parlato tutto il tempo testimoni della difesa tra cui molte personalità politiche cittadine e di realtà di lotta alla quale oltre alla diretta conoscenza dei ragazzi, è stato chiesta un’opinione personale rispetto alla vicenda e alla possibilità di estradare i 5 giovani sulla base delle poche e confuse carte arrivate dall’Italia.
Durante il processo, infatti, è emerso chiaramente come le carte avessero una traduzione dozzinale, poco chiara, in cui il reato di devastazione e saccheggio non viene ben spiegato e spesse volte confuso con quello di “resistenza”. Impossibile quindi per i giudici dare un’interpretazione chiara al reato di devastazione e saccheggio a fronte di un’impostazione poco tecnica delle carte delle Autorità italiane.
E’ stata messa in risalto la natura politica di tale procedimento già dai primi fermi in Italia, con le facce dei giovani pubblicate in prima pagina sui giornali, con le accuse già esplicitate in una conferenza stampa da parte dei vertici della questura milanese che parlavano di stranieri, greci, che avevano partecipato alla manifestazione.
Elementi questi sottolineati dalle difese ed accolti dai giudici, anche a fronte di un codice penale, quello italiano, copia del Codice Rocco ed quindi ancorato agli anni bui del fascismo e a livello di garanzie equiparalbile ad un governo dittatoriale. Difficile altresì estradare in Italia i 5 giovani per un reato che in Grecia prevede una pena di due mesi…
Ieri sotto il tribunale un enorme presidio di più di 600 persone ha sostenuto i cinque compagni, cantando e gridando a squarciagola. Il presidio era composto dall’assemblea solidale ai 5, dall’assemblea di quartiere di Aghia Paraskevi (dove vivono e agiscono politicamente i cinque ragazzi), dal coordinamento dei sindacatati di base (quello di librai, lavoratori della telefonia, camerieri, traduttori e disoccupati).
C’erano anche i giovani del Kke, un sindacato dei lavoratori del settore pubblico e molti altri solidali mentre lavoratori della municipalità di Aghia Paraskevi hanno indetto uno sciopero di 3 ore.
Oggi l’assemblea dei professori di Aghia Paraskevi farà uno sciopero sempre in solidarieta’.
Rispetto al mandato di cattura europeo, dobbiamo sottolineare il tentativo di internazionalizzare la repressione, di criminalizzare la lotta sociale e l’incontro fra i movimenti su scala europea, ma per questa ed altre riflessioni ci diamo il tempo di approfondire aspettando il giudizio per gli altri 3 giovani compagni.
Il 1° Maggio a Milano c’eravamo tutt*!
NO all’estradizione, libertà per tutt*!
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[ENG] Il 1º maggio 2015, a Milano, una grande manifestazione ha avuto luogo nel contesto della May Day. Non è stato solo un giorno in cui in tutt’Italia non si è lavorato, ma un giorno d’incontro tra i movimenti di tutta la Penisola (sindacati di base, centri sociali, gruppi studenteschi, comitati di lotta per la casa, comunità di migranti, No Tav, ecc.) contro le misure d’austerità che sono state votate e applicate dal governo Renzi. È stato inoltre il culmine del movimento No Expo contro l’Esposizione universale, il tutto con la partecipazione di persone provenienti da molti paesi d’Europa contro la roboante inaugurazione dell’Expo prevista per lo stesso giorno. La partecipazione di massa e le dinamiche di protesta sono state il culmine di un movimento che da sette anni si batte contro Expo e la relativa propaganda, mettendo in crisi le carriere politiche di ministri e autorità locali.
Sette anni fa la città di Milano vinse il bando per ospitare l’Esposizione universale. A questo scopo oltre un milione di metri quadri sono stati ricoperti da una coltre di cemento, le popolazioni locali sono state scacciate e le loro case espropriate, in ossequio ai piani di sviluppo e alla rendita. Gli amministratori scommisero sul fatto che Milano sarebbe diventata una città attraente per il capitale e cercarono di farla diventare il paese di Bengodi della finanza, presentando il tutto come l’ottava meraviglia del mondo per la classe lavoratrice locale alla quale promisero lavoro e sviluppo. L’intera città è stata adornata da grattacieli sfavillanti, nuove superstrade e vari progetti spettacolari. Dietro la vetrina dello sviluppo le promesse sono cadute una dietro l’altra, le banche hanno prestato, gestito e riciclato denaro, le aziende impegnate nella costruzione dell’area espositiva si sono premurate di ritardare i lavori per alzare i costi e, ovviamente, fra queste aziende c’era la mafia coi suoi affari.
Questo ciclo di profitti per i padroni, iniziato nel 2008, è stato coronato dal brutale sfruttamento di giovani sottopagati e di lavoratori volontari, a ulteriore beneficio delle tasche dei capitalisti. Expo è stato accompagnato da un’azione di “ripulitura” nei confronti di chiunque potesse risultare potenzialmente pericoloso per l’imbellettamento di Milano. Vaste operazioni poliziesche hanno avuto luogo in città, con sgomberi di case occupate e centri sociali, mentre si vietavano gli scioperi, come quello dei lavoratori della metropolitana, pochi giorni prima dell’inaugurazione.
Dopo sei mesi è calato il sipario su Expo, ma le sue conseguenze e i suoi effetti rimangono. Expo finisce lasciando dietro di sé un deficit di un miliardo e mezzo di euro da ripianare con l’aumento delle tasse. I proletari saranno obbligati a pagare il conto all’insegna della “responsabilità aziendale” del debito e forse anche a dire grazie per l’orgia di spettacolo cui hanno potuto assistere. L’Expo lascia dietro di sé terre saccheggiate, rapporti di lavoro flessibili, un esercito di volontari e una montagna di repressione. Sei mesi dopo il nostro fermo ingiustificato in cui ci fu prelevato il Dna, le autorità italiane hanno iniziato una nuova caccia alle streghe fabbricando indizi e spiccando 5 mandati d’arresto per i compagni italiani e 5 mandati d’arresto europeo per noi. Abbiamo più di un motivo per ritenere che dietro i capi d’accusa stia un espediente politico, un trucco che serve non solo a criminalizzare la partecipazione a una manifestazione di protesta, sulla scorta di un articolo fascista del codice penale che nacque sotto Mussolini ed è ancora applicato ai nostri giorni, ma a favorire un’operazione di “copertura” da parte delle autorità italiane: l’opinione pubblica deve “dimenticarsi” della “terra bruciata” che Expo lascia dietro di sé. Basta parlare di scandali e corruzione, parliamo dei manifestanti, affinché le carriere politiche sian fatte salve! I nostri arresti sono l’opportunità ideale per le autorità italiane per giungere a punizioni esemplari per noi e per chiunque altro fosse in strada in quei giorni. È l’opportunità ideale per mostrare quale futuro aspetta chi voglia lottare e organizzarsi con altri movimenti su scala nazionale o europea.
L’utilizzo del mandato d’arresto europeo, gli indizi ridicoli, la criminalizzazione per aver partecipato a un corteo, i processi politici con pene di 15 anni per i compagni, mandano un chiaro messaggio: se gli sfruttati uniscono le proprie voci, la repressione s’intensifica.
Per la prima volta il mandato europeo è stato utilizzato per degli scontri di piazza (finora era stato utilizzato solo per reati pesanti quali il traffico di stupefacenti e di esseri umani o il riciclaggio di denaro). È un chiaro tentativo di internazionalizzare la repressione, di criminalizzare la lotta sociale e l’incontro fra i movimenti su scala europea. Allo stesso tempo è una scommessa per il movimento antagonista europeo: bloccare questo approccio repressivo, impedendo l’estradizione.
Nel 2008-2010 con l’esplodere della recessione nelle economie europee dovuta alla crisi globale capitalista, gli Stati membri dell’Unione hanno fatta a gara per prendere provvedimenti che nazionalizzassero i danni e le perdite per salvare il sistema creditizio internazionale. Lo Stato greco in testa con al seguito tutti gli altri dell’Unione. Certamente tutto ciò non bastava a risolvere il problema, poiché la crisi finanziaria è solo una mera espressione della crisi nel processo di produzione e riproduzione del capitale. Il problema dovrebbe essere affrontato alla radice: svalutazione del potere dei lavoratori e abbassamento degli standard di vita dei proletari per uscire dalla crisi a condizioni tali affinché i capitalisti ci guadagnino.
Così i capitalisti nazionali e internazionali e i loro governi cominciano ad applicare le misure di austerity o varano programmi di aggiustamento strutturale. Tali misure e programmi in Grecia li conosciamo come Memoranda: tagli a salari, pensioni e stipendi, riduzione della spesa pubblica, incrementi di tasse sul cibo e su altri generi di prima necessità, privatizzazioni, licenziamento, innalzamento dell’età pensionabile, ecc., tutto ciò che che la coalizione di governo Syriza-Anel continua a votare e ad applicare.
Tutto ciò può essere imposto solo sulla base di un permanente “stato d’emergenza” che, oltre a una politica del “debito pubblico” utilizzata come leva di applicazione e per incutere terrore, si afferma con la revoca dello “Stato sociale” e l’emergere dello “Stato di sicurezza”. Tutti questi sono solo differenti aspetti della stessa strategia di governo della crisi da parte del capitale, per l’imposizione di nuove norme di disciplina e sfruttamento delle classi più povere.
Un generalizzato “regime di stato d’emergenza” viene imposto passo dopo passo in tutta Europa, in occasione della minaccia del “terrorismo islamico”, con una diffusa militarizzazione delle metropoli occidentali. È in atto su larga scala una campagna di paura e controllo totale, con retate nelle case degli attivisti, divieti di manifestare, introduzione di nuove leggi antiterrorismo, militari che pattugliano le strade. Ed è ben noto che questo clima di guerra non è solo diretto contro gli immigrati che riescono ad arrivare in Europa dalle zone di guerra in Africa e Asia, ma anche verso tutti quelli che scelgono oggi e domani di prendersi le strade e protestare contro le politiche di austerità e svalutazione, contro la Fortezza Europa e il silenzio di tomba che stanno provando a imporci.
Il 7, 8 e 11 gennaio, siamo chiamati a batterci contro queste richieste di estradizione. La lotta per bloccarle è parte di un mosaico più ampio di azioni con cui cerchiamo di arginare il continuo declassamento delle nostre vite. È parte della lotta studentesca contro l’aumento delle tasse universitarie, delle lotte quotidiane e degli scioperi dei lavoratori contro i padroni, dei movimenti delle assemblee di quartiere per il rifiuto di pagare per i propri bisogni primari, delle richieste dei lavoratori precari contro la schiavitù moderna dei programmi di workfare, delle rivolte degli immigrati alle frontiere e nei moderni campi di concentramento. È parte di ogni comunità in lotta che scoppia nella sfera pubblica contro gli imperativi capitalisti e la repressione di Stato.
Chiamiamo tutti i nostri compagni di lavoro, i nostri compagni di classe, i compagni di lotta e tutte le persone che si battono affinché facciano proprio il caso della nostra accusa penale, affinché prendano posizione nella battaglia.
Bloccare le estradizioni!
“Attaccare uno è attaccare tutti”
I cinque attivisti che le autorità italiane si vogliono portare via
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