I facchini bloccano la Granarolo: stop al latte dello sfruttamento!
L’immagine del marchio Granarolo viene associata dal consumatore medio italiano alla solida e familiare tradizione di uno sviluppo “made in Italy” che in una logica tutta nostrana e nazionalistica dovrebbe di per sé distinguere il capitalismo italiano da quello del resto del mondo.
Indisponibili a dubitare degli imprenditori italiani, che han fatto “il bel paese”, ci si ostina a credere di avere il monopolio dell’etica sul lavoro e della qualità nella produzione.
Gli esempi che smentiscono questa romantica visione sono continui, ma si preferisce pensarli come anomalie o (seguendo la moda del momento) come conseguenze di “scelte inderogabili e sofferte” prese da responsabili uomini di polso (alla Marchionne) come risposta alla crisi.
Ma a conoscere la verità sono proprio le “aziende leader” come appunto lo è la Granarolo, che non è una piccola ditta emiliana produttrice di latte per la provincia felsinea, ma è una spa che fattura cifre a 9 zeri e che vanta tra i suoi soci a quota 19,7 % anche una banca, l’Intesa San Paolo.
Mission della Granarolo sono “innovazione e fare shopping per cavalcare l’export” spiega Calzolari il patron del gruppo che (in un monito che ci ricorda i tracolli finanziari più recenti) aggiunge come garanzie alla solida posizione finanziaria il ricorrere all’indebitamento per fare acquisti! (sic!)
Shopping che tradotto significa acquisizioni di altri gruppi come Yomo, Pettinicchio etc, ma anche intervento nei mercati esteri attraverso la Granarolo Iberica.
Il profitto si sa non si formalizza davanti al concetto di patria ma è piuttosto il cardine del mercato globale!
E se da una parte si festeggia il continuo aumento di capitale e lo “shopping”, dall’altra ci si dovrebbe assumere tutta la responsabilità dei sacrifici che l’austerity impone.
Inutile ricordare chi questi sacrifici li paga: sono i soliti noti, ovvero noi comuni mortali che sul posto di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nei territori ci troviamo ad essere sempre più depredati della possibilità di un’esistenza dignitosa.
Non più disposti a subire questo infame furto iniziamo ad essere in tanti! Compresi quegli schiavi che nell’ outsourcing della logistica costituiscono la ghiotta materi prima: i facchini.
Alla Granarolo i facchini da mesi vedono detrarre dalla loro busta paga una quota consistente e pari al 35% del salario . Lavorano più di 40 ore settimanali spaccandosi la schiena per prendere a fine mese meno di 700 euro. L’azienda dice che si tratta di una “trattenuta per crisi” che i lavoratori stessi avrebbero accettato in una fantomatica assemblea di soci in cui erano stati convocati.
Si, perché la Granarolo per la gestione del magazzino esternalizza il lavoro ad un consorzio cooperativo, la “Sgb Service Group”, i cui dipendenti risultano essere soci, che tradotto significa promotori del loro stesso sfruttamento (ragionando legalmente).
E’ sempre la stessa infame storia: attraverso il più squallido tradimento di quello che fu lo spirito mutualistico originario delle cooperative, oggi esse sono solo l’elemento legale (ma nemmeno troppo) che giustifica l’intermediazione e garantisce lo sfruttamento (al limite della schiavitù!) della forza lavoro. Meccanismo che peraltro il presidente della Granarolo conosce bene essendo il suo nome presente anche nel consiglio direttivo della LegaCoop, il colosso delle Cooperative emiliane.
Fantomatiche assemblee con deleghe occulte determinano a priori i risultati, prendendo decisioni che si riversano contro i facchini “soci”… soci formalmente delle loro catene e di chi gli mette il lucchetto! Nessun rispetto del già misero contratto nazionale, caporali che vessano di continuo i lavoratori, minacce e continui soprusi!
Dopo il primo sciopero svoltosi il 19 marzo la cooperativa in questione si era detta pronta a sistemare la faccenda e in una trattativa con il sindacato si.cobas che rappresenta i lavoratori aveva garantito le proprie buone intenzioni.
In questa settimana si doveva giungere alla firma dell’accordo ma la cooperativa ha preferito altre strade, cercando di corrompere sindacato e lavoratori offrendo loro dei soldi in nero nel tentativo di “accomodare le cose”.
Dopo quest’ennesimo affronto i lavoratori e il sindacato hanno deciso di presidiare i cancelli del magazzino. Ieri durante il primo giorno di sciopero la SGB ha fatto entrare dei lavoratori (peraltro in Cig presso un altro stabilimento) per sostituire i facchini a braccia conserte in barba al più elementare diritto di sciopero. Da quel momento i lavoratori con il S.I.Cobas insieme al Lab Crash! stanno bloccando anche le merci. La lotta è appena iniziata!
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