
Ikea: tutti in sciopero! Il primo sciopero nazionale
Sabato 11 Luglio è stato il primo sciopero nazionale da quando IKEA ha aperto i suoi store in Italia. Dopo una prima serie di scioperi articolati in forme diverse nei 21 negozi italiani da inizio giugno, quello di sabato è stato uno sciopero contemporaneo che ha raggiunto adesioni altissime fra i dipendenti diretti di IKEA.
IKEA per molti anni è stata considerata dai suoi clienti e  anche dai suoi dipendenti come un’azienda equilibrata, attenta alle  esigenze dei lavoratori e dell’ambiente. Dopo tante denunce in  tutto il mondo dagli Stati Uniti al Bangadesh passando per l’Olanda, la  reputazione di IKEA ha subito un primo colpo anche in Italia, quando i  lavoratori del magazzino centrale di Piacenza hanno preso in mano la loro situazione e iniziato a lottare contro l’uso criminale delle cooperative e per i loro diritti . Due anni di battaglia contro  cui IKEA ha usato tutta la sua potenza di fuoco, mobilitando  istituzioni locali, il ministero degli interni, i quotidiani e pure  chiedendo a CGIL, CISL e UIL di prendere posizione contro questi  lavoratori, cosa che – purtroppo – è avvenuta.
A meno di un anno  dalla conclusione di quella vertenza, è chiaro a tutti che IKEA non è  quella madre buona che in molti hanno voluto descrivere.
 Una volta  eliminato il problema della resistenza nei magazzini, la multinazionale  ha deciso di modificare drasticamente le condizioni di lavoro nei suoi  punti vendita italiani, puntando ad una decisa compressione dei salari  in sede di ridefinizione del contratto integrativo. L’attacco ai  lavoratori è presentato come l’unica soluzione ad una parziale  diminuzione del fatturato verificatasi negli ultimi anni. Ma IKEA è una  multinazionale che gode di ottima salute e prevede anche di aprire molti  nuovi negozi in Italia, per cui diventa chiaro come l’unico obbiettivo di questa disdetta del contratto integrativo sia solo quello di fare più utili sulle spalle di lavoratrici e lavoratori. Utili e profitti su cui  l’azienda paga pochissime tasse tramite un insieme di holding, una  fondazione e paradisi fiscali. Il proprietario Ingvar Kamprad con il suo  patrimonio che oscilla fra i 23 e 53 miliardi di dollari a seconda  delle stime, costringe i lavoratori ad un part-time obbligatorio con  stipendi che si aggirano attorno ai settecento euro mensili, ma questo  non gli basta e le nuove proposte aziendali ridurrebbero i salari di  un’ulteriore 20%! 
 L’eliminazione di una parte del salario che cade  sotto la voce premio di produzione, ma che è una componente fissa del  salario che ha consentito fin qui di integrare la misera paga base ( tra  l’altro con un risparmio per l’azienda che sui premi paga meno tasse e  contributi) fa il paio con l’intenzione di IKEA di passare i propri  dipendenti sotto un nuovo contratto specifico per la grande  distribuzione organizzata che le grandi catene stanno promuovendo e che  sarebbe fortemente peggiorativo. 
La mobilitazione è stata chiamata in modo unitario su tutto il territorio nazionale dai sindacati confederali CGIL, CISL e UIL ed anche da quelli di base CUB e USB, rinvenendo adesioni nell’ordine del 80%. L’azienda, temendo lo sciopero e lo stato di agitazione di questo periodo, è corsa ai ripari con un comportamento antisindacale anche se legale: ha assunto in anticipo di alcune settimane i lavoratori interinali che solitamente assume in Agosto (quando c’è un picco del flusso di clienti e delle operazioni di rinnovo), così da sostituire i lavoratori in sciopero.
In tutti i negozi i lavoratori si sono organizzati per sensibilizzare i clienti, invitandoli ad essere solidali, con reazioni molto differenziate nei vari negozi: in molti casi i clienti hanno rinunciato a fare acquisti e qualcuno è pure tornato indietro però molti non hanno capito l’importanza di questa battaglia che punta a difendere i salari dei dipendenti IKEA ma vuole anche mettere un freno all’arbitrarietà e autoritarismo di una azienda potente e che muove interessi economici e politici di grande rilievo e che in questo contribuisce a determinare il livello generale di salari e condizioni di lavoro.
 IKEA vuole cancellare una componente  fissa del salario, eliminare il supplemento per il lavoro domenicale e  festivo, vuole adottare un nuovo contratto peggiorativo ed eliminare  qualsiasi possibilità di scelta riguardo il lavoro domenicale e festivo  andando a peggiorare ancora una situazione già difficile qui come in  tutta la GDO.
 Ma non è detto che riesca nei suoi intenti,  lavoratrici e lavoratori hanno iniziato una lotta che non solo chiede di  non peggiorare le attuali condizioni, ma chiede anche un’uniformazione  al rialzo delle maggiorazioni e della possibilità di scelta per i  festivi su tutto il territorio nazionale e all’interno dei singoli  negozi, dove invece oggi esistono almeno tre tipi di contratto.
Riportiamo qui le immagini, le corrispondenze e qualche breve commento dalle varie città:
A Padova
Dall’apertura del negozio un nutrito presidio dei lavoratori in sciopero ha presidiato i tre ingressi e anche la strada di ingresso: distribuendo più di mille volantini ai clienti. I clienti raggiunti ancora in macchina hanno frequentemente deciso di fare marcia indietro in segno di solidarietà, tanto che i responsabili del negozio hanno chiesto alla DIGOS di intervenire per far smettere questa pratica che metteva in discussione la loro strategia anti sciopero che ha comportato l’assunzione di decine di lavoratori tramite agenzia interinale, usati come inconsapevoli crumiri. Fino alle tre del pomeriggio una bara di cartone, finte e vere magliette di IKEA accoglievano i clienti che se proprio volevano entrare erano costretti ad oltrepassare i diritti dei lavoratori (la cosa ha suscitato l’ostilità di qualche capetto completamente immerso nella narrazione di IKEA come grande famiglia di cui va difeso l’onore). La voglia di lottare, la coscienza della vertenza ed anche della situazione generale con discussioni sul Jobs Act, la “buonascuola” e sulle vertenze di altre aziende padovane hanno accompagnato i volantinaggi, le interviste, le fotografie e la musica di sottofondo, in un clima di determinazione unita alla serenità di star lottando per i propri diritti.
Proprio davanti all’ingresso dove era il presidio più numeroso c’è il rubinetto d’acqua suppostamente depurata con il quale IKEA insiste sulla sua immagine ambientalista. Ma oggi in occasione dello sciopero e presidio ha ben pensato di mettere fuori uso il dispositivo! Non sia mai che i lavoratori potessero abbeverarsi in questa giornata bollente.
A Napoli
Anche qui le maggiorazioni per festivi e le domeniche al lavoro sono  fondamentali per arrivare con uno stipendio dignitoso a fine mese  (parliamo comunque sempre di meno di mille euro). 
Ci sono stati  anche cortei interni e il presidio è stato mantenuto per tutta la  mattinata da numeri folti. Fischietti, slogan, scandivano ogni momento.  Alcuni clienti sono tornati a casa senza entrare nel negozio,  solidarizzando con le scioperanti. 
A Roma
Due presi hanno scandito la giornata fuori dallo store di Agnagnina.
 In questo video uno delle centinaia di lavoratori in sciopero ci ha  spiegato perché hanno deciso di portare la bandiera della Grecia al  presidio: “Perché nel suo piccolo la nostra storia è la stessa di quella  del popolo greco: quella di un meccanismo perverso che risucchia i  soldi in basso per trasferirli in alto.” Per questo è la stessa lotta!
Qui anche una corrispondenza di Radio Onda Rossa dove si ripercorrono le tappe della vertenza, i motivi della lotta e le prospettive:
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A Carugate(MI)
A Milano il presidio si è tenuto davanti al negozio più grande, quello di Carugate (adesione 90%), di fronte al quale sono confluiti anche i dipendenti di Corsico (adesione 80%) e San Giuliano (adesione 60%). In tutto erano presenti circa un centinaio di lavoratori. Oltre ai sindacati confederali ha partecipato anche l’Usb, che ha deciso di sostenere lo sciopero e il presidio per non rompere il fronte.
Come in altri negozi, diversi clienti hanno solidarizzato con la lotta decidendo di rinviare i propri acquisti. La rabbia dei lavoratori deriva soprattutto dal fatto che Ikea non è in crisi, anzi, in questi anni ha guadagnato molto proprio grazie al lavoro dei propri dipendenti. La disdetta del contratto, infatti, avviene solamente per permettere all’azienda di continuare la propria espansione, non per far fronte ad una difficoltà economica. Naturalmente l’espansione deve essere finanziata dai lavoratori, per i quali la disdetta del contratto comporta una perdita annua di circa € 1.200 a persona, che soprattutto per un part time costituiscono un’entrata fondamentale per la gestione ordinaria delle spese familiari.
E’ emersa la consapevolezza che la situazione è andata peggiorando con l’introduzione del Jobs Act e con l’ultimo rinnovo del contratto del Commercio. Il paradosso è che per Ikea quest’utlimo è addirittura troppo favorevole per i lavoratori, quindi come Esselunga e altri giganti della GDO è uscita da Confcommercio per entrare in Federdistribuzione (che attualmente non ha CCNL).
Segnaliamo però che nonostante l’alta adesione i negozi sono rimasti aperti, anche se con orario ridotto. Questo è stato possibile impiegando gli stages, che progressivamente stanno sotituendo gli interinali perché senza tutele e ancora più sottopagati, visto che percepiscono un “rimborso” di € 600 mensili per 40 ore settimanali.
Questa è la dimostrazione che la lotta per la difesa dei nostri diritti deve collegarsi all’acquisizione degli stessi anche per chi non ne ha mai avuti, perché l’esistenza di dipendenti di serie A e di serie B permette all’azienda di indebolire il fronte di lotta e parificare al ribasso le condizioni di lavoro.
Anche a Brescia sciopero e presidio. Qui di seguito un’intervista a cura di Radio Onda d’Urto
 A Bologna lo sciopero è iniziato a sorpresa con un  giorno di anticipo, dopo una partecipata assemblea sindacale i  lavoratori hanno deciso di iniziare già da venerdì 10 lo sciopero, che  si è poi unito alla mobilitazione nazionale del giorno seguente.
 Anche a Salerno, Parma, Genova sciopero e presidi.  
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