La dignità è un bene comune
Parlare da universitari di ciò che sta succedendo dentro Mirafiori comporta molte difficoltà. Una delle maggiori è il rischio di cadere nel bieco solidarismo o in accostamenti ideologici del passato. Molte cose sono cambiate dal ciclo di lotte che ha attraversato la seconda metà del ‘900, trasformandone la storia. Molte cose non sono più le stesse e nell’intervenire e nel confrontarsi con quello che sta avvenendo in questo momento nel polo industriale storico italiano bisogna saper leggere le novità e le peculiarità di questo attacco padronale ai diritti dei lavoratori.
Un attacco che è in modo duplice una ricetta (forse non così precisa) di fuoriuscita dalla crisi e al contempo una possibilità di eliminare le ultime rigidità del lavoro stabile e parzialmente garantito. Il tentativo è quello di abbassare il salario (in modo diretto o indiretto) e le garanzie. Questo obiettivo può essere realizzato soltanto attraverso la gestione e il controllo del conflitto dentro la fabbrica. Controllo che avviene cercando di far identificare il lavoratore con l’azienda stessa (sul modello americano della Chrysler) ed estromettendo dalla fabbrica l’unico sindacato in forte divergenza con l’accordo.
In questo scenario però molte uova si sono rotte nel paniere di Marchionne, già nel pre e nel dopo Pomigliano molti soggetti sociali si sono affiancati ai lavoratori in lotta, dentro la data del 16 ottobre, dentro le contestazioni sparse per l’Italia ai vari attori governativi, sindacali e non, dentro la fiaccolata precedente al voto ed adesso verso la data del 28 gennaio. Ma questo non è l’unico aspetto a rinforzare l’opposizione al piano Marchionne, la quale è stata palesata proprio dal voto referendario, vinto per una virgola dal Si, soprattutto grazie ai colletti bianchi, restituendoci l’immagine di una fabbrica difficilmente governabile, dove il margine del dissenso e del disagio è molto marcato. Ecco il motivo del titolo, la dignità è un bene comune, e gli operai della Fiat hanno dimostrato di volerla difendere.
Dentro questo discorso si inserisce ancora una domanda in vista del 28 e oltre, cioè quali sono i rapporti tra gli attacchi portati al mondo della formazione e le lotte che ne sono nate e gli attacchi che invece hanno insidiato Mirafiori e la risposta operaia scaturita da ciò? I punti in comune sono molti, e si può dire che la Riforma Gelmini e il Piano Marchione, su piani diversi e con avanzamenti differenti, abbiano molti obiettivi comuni e siano figli della stessa filosofia di fuoriuscita dalla crisi e della stessa visione di un nuovo mercato del lavoro. Un mercato del lavoro dove la parola di base è flessibilità, flessibilità che per noi studenti della generazione zero vuol dire precarietà!
Ma molte altre sono le parole d’ordine che i “cattivi maestri” del padronato nostrano cercano di imporre nel tessuto sociale: sta a noi adesso saper aprire un fronte conflittuale e diffuso che comprenda tutti i soggetti sociali sotto l’egida della lotta alla precarietà, e non della difesa del lavoro o della formazione pubblica in quanto tale, in quanto “bene comune” (lo sfruttamento e le pessime condizioni di lavoro, le forme mercificate e inserite dentro il meccanismo produttivo della formazione non ci fanno pensare affatto a un bene, tantomeno comune!), quindi in difesa della dignità intesa realmente come bene comune.
Per questo motivo ci è parso importante invitare in università Maurizio Landini, segretario generale Fiom-Cgil, per discutere riguardo a questo e per porre alcune domande su come la Fiom attraverserà le lotte a venire.
Collettivo Universitario Autonomo – Torino
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