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La rabbia dei facchini irrompe al convegno di Granarolo e in rete

Alle 7 in punto il picchetto si è ritirato e dopo una pausa di poche ore i facchini sono partiti alla volta di Milano dove al Museo della Scienza e della Tecnica la Granarolo aveva organizzato un convegno dal titolo “Granarolo per il domani. Siamo quello che mangiamo”. Un convegno basato sull’etica della distribuzione e del consumo volto a “promuovere un progetto per ragionare di futuro e promuovere iniziative di richiamo sull’uomo e sul cibo, capitalizzando sulle aree di interesse e ricerca del Gruppo”, come racconta la presentazione dell’iniziativa.

E a quest’incontro aperto al pubblico i facchini hanno voluto partecipare per andare a raccontare ad una platea interessata ad un “commercio etico” che cosa significhi produrre a certe condizioni. Non è necessario partire alla volta di qualche azienda cinese, è sufficiente soffermarsi nell’Emilia delle cooperative per capire cosa significhi sfruttare i lavoratori in maniera occulta proteggendosi dietro la fiera dell’est dei mille subappalti. I facchini entrati nella sala hanno interrotto il convegno e raccontato alla platea le motivazioni della propria protesta [ guarda il video 1 e 2 ] . L’ipocrisia di Granarolo è stata smascherata e nonostante l’investimento della grande mucca nel marketing pubblicitario, gli astanti hanno gradito la veritiera “controinformazione” solidarizzando e applaudendo i facchini.

Contemporaneamente in rete erano in molti a convergere sull’hashtag #granaroloperildomani lanciato dall’azienda per affiancare e raccontare il convegno via Twitter; intento sfumato dopo le prime battute, subissato dalla marea di tweet che richiamavano i numerosi abusi perpetrati ai danni dei facchini dietro lo scudo del sistema dei subappalti ed invitavano al boicottaggio della grande mucca. Una mobilitazione già datasi con successo nei confronti di IKEA, altra realtà tristemente nota per le pessime condizioni di lavoro imposte alle maestranze, e che non mancherà di ripetersi laddove si proverà a dare una riverniciata di fittizia “responsabilità sociale d’impresa” ai marci capannoni dello sfruttamento.

 

 

 

 

 

 

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