La riforma Fornero e l’accomodante CGIL
Apriamo con la frase del ministro Fornero, giusto per far capire che fase politica stiamo attraversando. Ovviamente un frase che hanno presto rettificato ma intanto è stata detta e rimane insieme alle lacrime e a tante altre dette che hanno poi portato, passo dopo passo all’approvazione della riforma del lavoro.
La cosa che dovrebbe scandalizzare però in tutto questo, non sono di certo le parole della Fornero, ma l’atteggiamento della segreteria Cgil che volutamente senza consultare la base ha di fatto rotto il mandato delle 16 ore di sciopero, tramutandole in lotte territoriali di sole due ore di sciopero e la manifestazione di oggi davanti a montecitorio, nella speranza che potesse scalfire l’animo di un aula tutta compatta, chi più o chi meno, nel votare una riforma che cambia radicalmente il mondo del lavoro e pone definitivamente il lavoratore in posizione minoritaria negli equilibri lavorativi.
Ancora una volta si va contro le richieste di una base sempre più scontenta della dirigenza del più grande sindacato italiano, che ha virato, come il suo partito di riferimento il Pd, verso una posizione centrista e conservatrice rispetto alla situazione politica sociale attuale. La continua ricerca dell’ unita sindacale è nuovamente disattesa quando si parla di riforma del lavoro, ben voluta e decantata da Cisl e Uil, oppure con i sindacati di categoria della metalmeccanica di questi ultimi due, che non ci pensano un attimo a fare ricorso contro la Fiom per la sentenza pomigliano,la quale costringe di riassumere oltre 140 operai iscritti alla Fiom.
E’ proprio da queste due contradizioni interne che fa crescere il senso di rabbia e sconcerto tra la base, una base che è arrivata a contestare lo stesso Landini della Fiom, sempre più coinvolto lui stesso nel loop che ha preso dentro molti dirigenti della Cgil incapaci di contrastare un segretario nazionale che ancora una volta porta avanti gli interessi propri e non della base stessa, quella stessa base che rientrerà nei posti di lavoro con condizioni di lavoro che li faranno tornare ai primi anni del dopo guerra.
Allora non stupisce che molti lavoratori in maniera autonoma dettino la linea della lotta scavalcando le linee delle stesse camere del lavoro come successe per le manifestazioni dei metalmeccanici fiom che hanno occupato l’autostrada nei mesi scorsi, non stupiscono le mobilitazioni che hanno visto momenti di lotta negli stabilimenti pisani della fiat, ma allo stesso tempo non stupisce che la Cgil non emetta un comunicato alle multe ben mirate date ai lavoratori metalmeccanici di Modena per l’occupazione dell’autostrada.
E’ palese che oggi il mondo del lavoro esce sconfitto, ma soprattutto vengono tradite stagioni di lotte che hanno visto con il sangue, con arresti e sacrifici ottenere una serie di diritti che hanno permesso al lavoratore di essere allo stesso livello, con dignità del padrone, che ora con scuse molto deboli potrà licenziare e tenere sotto ricatto tutta la sua forza lavoro.
Ma soprattutto chi ne esce sconfitta è la linea del più grande sindacato italiano, quasi quasi viene da rimpiangere Cofferati e i suoi tre milioni di lavoratori in piazza. Una linea perdente sin dal primo momento tanto era chiaro dove voleva arrivare la Camusso. Parlano di democrazia poi sono i primi a lederne i principi, non ascoltando quelle che sono le ragioni della base.
Riforma del lavoro: la scheda
Art.18, precari e partite Iva
Ecco la legge che introduce le nuove norme sui rapporti di lavoro dipendente e precario. Saranno più facili i licenziamenti individuali per motivi economici, modifiche anche ai contratti dei collaboratori e alla durata dei lavoratori a termine. Stretta sull’abuso delle partite Iva.
Licenziamenti individuali più facili, una stretta sull’uso delle partite Iva e retribuzioni dei contratti a termine legate ai contratti nazionali di categoria. Queste alcune delle norme introdotte dal disegno di legge oggi alla Camera dopo il passaggio al Senato. Cambiamenti che di fatto mutano i rapporti di lavoro dipendente e precario.
Licenziamenti e articolo 18. Ci sarà maggiore flessibilità in uscita. In caso di licenziamento per motivi economici, non sarà più previsto il reintegro automatico. In alcuni casi, sarà possibile un’indennità risarcitoria. E’ la norma che ha fatto discutere di più. Sarà sempre considerato nullo, il licenziamento discriminatorio per ragioni di credo politico, fede religiosa o attività sindacale. Nei casi dei licenziamenti disciplinari, per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, il giudice avrà un minor margine di discrezionalità nella scelta del reintegro. Con le nuove norme il reintegro sarà possibile solo nei casi previsti dai contratti collettivi. Vengono meno, così, gli altri casi previsti anche dalla legge.
Contratti a termine. Il primo contratto a termine dovrà durare dodici mesi. Il rapporto di lavoro potrà essere stipulato senza specificare la causale, ovvero i requisiti per i quali viene richiesto. Vengono aumentate le pause obbligatorie che intercorrono tra un contratto e l’altro. Per un contratto della durata inferiore ai sei mesi la pausa diventa di 20 giorni (prima era di 10 giorni) mentre per un contratto di durata superiore ai sei mesi la pausa dovrà essere di 30 giorni.
Collaboratori e retribuzioni. Lo stipendio minimo dei collaboratori dovrà fare riferimento ai contratti nazionali di lavoro. Ci sarà una definizione più stringente del progetto con la limitazione a mansioni non meramente esecutive o ripetitive. L’aliquota dei contributi aumenterà di un punto percentuale l’anno. Nel 2018 dovrà raggiungere la stessa aliquota dei contratti dipendenti (il 33 per cento). Restano però molto esigui gli strumenti di sostegno al reddito quando si perde il lavoro. Viene infatti confermata, anche se in parte rafforzata, l’una tantum.
Partite Iva e requisiti. Verranno considerate vere quelle partite Iva che avranno un reddito annuo lordo superiore ai 18mila euro. La durata di collaborazione per chi avrà una partità Iva non deve superare gli otto mesi. Inoltre il corrispettivo pagato non deve essere superiore dell’80 per cento di quello di dipendenti e collaboratori. Il lavoratore non deve avere una postazione “fissa” in azienda. Nel caso in cui si realizzino almeno due delle tre precedenti condizioni, il rapporto di lavoro viene considerato come collaborazione coordinata e continuativa.
Assicurazione sociale per l’impiego. Ovvero tutto quello che non rientra nella cassa integrazione, indennità di mobilità, incentivi di mobilità, disoccupazione per apprendisti e una tantum per i collaboratori. La nuova assicurazione sociale per l’impiego (Aspi), che sostituirà tutte le indennità precedenti, partirà nel 2013 ma sostituirà a regime le altre indennità solo nel 2017. Ci sarà un incremento dell’aliquota dell’1,4 per cento per i lavoratori a termine. Il lavoratore perde però il sussidio, se rifiuta un’offerta di impiego che prevede una retribuzione di un valore superiore almeno del 20 per cento al valore dell’indennità.
Quanto agli importi, l’Aspi sarà pari al 75 per cento della retribuzione mensile nei casi in cui quest’ultima non superi, nel 2013, l’importo mensile di 1.180 euro. Nel caso in cui la retribuzione mensile sia superiore a tale importo l’indennità è pari al 75 per cento dell’importo prima indicato incrementata di una somma pari al 25 per cento del differenziale tra la retribuzione mensile e l’importo prima indicato. È comunque stabilito un massimale erogabile, che mensilmente risulta essere pari a 1.119,32 euro. Secondo i calcoli della Cgia di Mestre, il nuovo ammortizzatore sociale Aspi garantirà una copertura economica a 150 mila disoccupati in più rispetto alla situazione attuale.
Apprendistato e assunzioni. Arrivano norme più stringenti. Seppure le aziende potranno sempre assumere un nuovo apprendista, i contratti in media dovranno durare almeno 6 mesi. Per le imprese che impiegano almeno dieci dipendenti, l’assunzione di nuovi apprendisti sarà subordinata alla prosecuzione del rapporto di lavoro, al termine del periodo di apprendistato, nei 36 mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 50 per cento degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro.
Le donne, l’equità e i voucher asili. Sono introdotte norme di contrasto alle dimissioni in bianco e viene incrementato a tre anni di età del bambino (era di un anno) del regime di convalida delle dimissioni rese dalle lavoratrici madri. Il congedo di paternità diventa obbligatorio, ma solo per un giorno. A questo si aggiungono altri due giorni facoltativi, che però vanno a ridurre il monte delle 20 settimane di congedo della madre. Le madri lavoratrici si vedranno erogati dei voucher per l’acquisto di servizi di baby-sitting da spendere nella rete pubblica dei servizi per l’infanzia o nei servizi privati accreditati. Le madri ne potranno usufruire al termine del periodo di congedo di maternità e per gli undici mesi successivi, in alternativa al congedo parentale.
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