E’ trascorsa una settimana da quando le iniziative e le mobilitazioni contro la venuta di Salvini sono sfociate nel corteo di sabato 11. Abbiamo lasciato trascorrere qualche giorno prima di prendere parola. Non è nella nostra cultura la politica dell’evento né il circo mediatico, neanche quando ci vede “protagonisti”. In questa lunga settimana abbiamo assistito ad un linciaggio senza precedenti per intensità e durata, forse paragonabile solo a quanto sta accadendo alle lotte nella logistica: mentre picchetti di centinaia di lavoratori vengono quotidianamente sgomberati, la macchina mediatica attacca la dignità di queste resistenze classificando come “estorsione” la legittima e necessaria rivendicazione di diritti e dignità sul lavoro. Sembra questo uno degli aspetti più rilevanti di quanto sta accadendo al momento in Italia. Il resto sono cose semplici, che parlano da sole, se solo le si lasciasse parlare.
Salvini è espressione di una delle esperienze più buie della storia italiana. Di bassa caratura culturale e deprecabile formazione politica, il leader del “nuovo” partito della destra populista italiana ha deciso di iniziare la campagna elettorale per le prossime elezioni nella nostra città. Le ragioni sono chiare ai più: i suoi voti si raccolgono stimolando i sentimenti brutali che covano nella pancia del paese, cercando visibilità tra odio e insulti nei confronti dei più deboli, pescando in quella classe media dilaniata dalla crisi e dalla gestione che ne ha fatto l’establishment italiano. Una strategia nuova che ha richiesto la riabilitazione perfino dei napoletani, d’improvviso eliminati dal podio dei capri-espiatori.
Napoli, però, non è un città “dolce di sale” per personaggi e provocazioni di questo tipo. Non lo dicono i “centri sociali”, ma una storia centenaria di dignità e solidarietà ed una intensa storia recente di movimenti, autorganizzazione sociale e discontinuità politica con quei partiti che l’hanno devastata nel corso degli ultimi venti anni. Non possiamo non sottolineare anche l’esplosione di interviste e momenti goliardici che hanno preceduto la venuta di Salvini: era chiaro fin dall’inizio che i napoletani non erano per niente allineati con le sue politiche ed intenzioni. C’è poi un pezzo di questa città da anni ha deciso di non chinare la testa dinnanzi all’arroganza dei diversi poteri che l’aggrediscono ogni giorno, da quelli legali a quelli illegali: lotta per la sopravvivenza e per un mondo migliore, combatte le mafie e la miseria, gestisce attraverso pratiche di comunanza ed azione diretta quei giganteschi vuoti che l’austerità e la corruzione hanno lasciato nei nostri quartieri.
Il 10 e l’11 marzo questo pezzo di città (e non solo) ha avviato un meccanismo di risposta per questa provocazione, scontrandosi tuttavia con l’arroganza e la violenza delle cosiddette istituzioni democratiche del paese. La legittima occupazione del pala-congressi della mostra d’oltremare, spazio pubblico gestito da un ente privato, ne ha mostrato tutta la loro debolezza ed arroganza. Lungi dal pensare di sgomberarci, la Questura e la Prefettura ci hanno infatti invitato ad un tavolo aperto sull’ordine pubblico insieme al Comune e all’Ente mostra. Una discussione lunga diverse ore si è conclusa con la dichiarazione di rimettersi alla volontà della Mostra che ha optato per la rescissione del contratto con il comitato “Noi con Salvini”, annunciando la decisione con una conferenza stampa. Una scelta quasi dignitosa e politicamente obbligata, che però dopo meno di un’ora è stata scavalcata direttamente dal Ministero degli Interni sbandierando il diritto costituzionale alla libertà d’espressione. Quale ignorante, d’altronde, non sa che questo diritto è sancito per tutelare il libero svolgimento di adunate razziste e neofasciste?
Che i media abbiano decisamente marginalizzato la vicenda appiattendo la narrazione sulle azioni illegittime di “centri sociali” e ‘’soliti noti’’, non stupisce. L’attacco mediatico è diventato uno dei principali strumenti repressivi messi in campo da una macchina statale che si trasforma sempre più in senso autoritario: distorsione e manipolazione dell’informazione colpiscono quotidianamente chiunque sfugga dal processo di omologazione e forzata pacificazione sociale, che oggi più che mai mostra chiari segni di sfaldamento. Non è quindi un caso che le testate giornalistiche parlino ancora una volta dell’ormai ridicola retorica dei ‘’black block’’, cosi come non è stato un caso che a Modena sindacati di lotta che ogni giorno organizzano i lavoratori della logistica per il diritto ad un lavoro e ad una vita che possa essere chiamata tale, siano stati accusati di estorsione attraverso una gogna mediatica architettata ad hoc.
I fatti del 10 marzo, seppur silenziati dalla narrazione main stream, tuttavia, da un lato mostrano la drammaticità dello stato di salute della democrazia dell’Italietta di Renzi e Gentiloni, dall’altro hanno ingrossato la rabbia di quelle diverse migliaia di persone che sono scese in piazza il giorno successivo. Su questo c’è poco da dire e va detto con chiarezza. Il corteo era intenzionato a cacciare Salvini a tutti i costi e non era disponibile ad accettare limitazioni. La blindatura disposta dalle forze dell’ordine avrebbe generato ugualmente degli scontri, ma questi sono stati evidentemente appesantiti dall’ostinata arroganza di Salvini e del Ministro Minniti da un lato, dall’imprudenza ed inconsistenza della Questura e della Prefettura napoletane dall’altro.
Di certo gli scontri non hanno visto protagonisti le quasi diecimila persone che hanno animato il corteo sino all’ingresso principale della mostra: tuttavia, sebbene a qualcuno non saranno piaciuti e qualcun altro si sarà spaventato, nessuno in quelle strade li ha trovati illegittimi. In migliaia si è sfilati sino alla fine, compatti e solidali anche a seguito della lunga carica che, da Piazzale Tecchio fino a Largo Lala, ha provato a disperdere il corteo. Auto bruciate e negozi devastati, per la sfortuna dei media, non ce ne sono stati.
Ma perché allora da ormai una settimana non si fa altro che parlare dei “terribili scontri” di Napoli?
Perché due manifestanti sono stati rinchiusi due notti in questura, processati per direttissima e costretti ad un obbligo di firma per 3 volte a settimana con una banalissima accusa di resistenza a pubblico ufficiale?
Perché il corteo napoletano è divenuto un “caso” tale da produrre in pochi giorni interrogazioni parlamentari, minacce di ulteriori ritorsioni repressive nei confronti dei cosiddetti “centri sociali”?
Nel corso degli ultimi anni Napoli è stata attraversata da un processo straordinario di resistenza e ribellione alle politiche di devastazione sociale dei poteri criminali che governano questo paese: PD, PDL, sindacati confederali, grande imprenditoria legale ed illegale. Nessuna rivoluzione, sia chiaro, e tante contraddizioni, ma in un quadro politicamente anomalo e scomodo ai più, segnato da un lato da un’incredibile crescita di esperienze di autorganizzazione, autogestione, lotta e mutuo soccorso, e dall’altro da un’amministrazione non allineata ai principali partiti del paese, disponibile al dialogo e a diversi tentativi (sicuramente parziali) di discontinuità amministrativa. Bene, questa ricchezza è chiaramente al centro di un attacco senza precedenti, di un tentativo di resa dei conti, lanciato dai poteri riuniti. L’ingresso in campo di Minniti la sera del 10 marzo, la gigantesca mobilitazione di tutte le maggiori testate del paese, l’attivazione della magistratura, il linciaggio mediatico proposto da tutte le reti televisive e le modifiche al codice penale con il tentativo di introdurre la cosiddetta “flagranza differita”, mostrano un compattamento senza precedenti, pericoloso, certo, ma terribilmente debole, almeno per tre ordini di ragioni:
1. L’immagine che i media hanno utilizzato per articolare l’attacco, questo oggetto misterioso dei “centri sociali” quale sottobosco della violenza urbana e della marginalità, semplicemente non esiste; lo sanno bene le migliaia di donne, bambini, anziani, che attraversano ogni giorno gli spazi liberati di questa città, non più semplicemente centri sociali, ma luoghi aperti della città e alla città, comunità solidali e cooperative, spazio di legami e solidarietà, dove si producono cultura, servizi, educazione, dove ci si organizza per tutelare la salute. Beni comuni da dove partono le lotte per i diritti sociali che l’austerity ha cancellato, la casa, il reddito, condizioni di lavoro dignitose, dove si costruisce ogni giorno un’alternativa reale alla barbarie del presente. Questa è la realtà che giornali e politica non vogliono vedere e provano a deturpare, perchè questa realtà rappresenta il loro fallimento e la loro possibile rovina, nonché il possibile principio di un altro modo di vivere la città, di fare economia e società, un principio politico irriducibile e agganciato alla vita di tanti e tante che hanno scelto di non arrendersi alla miseria, alla depressione, alla violenze di questo stato di cose. Insomma, sebbene siano ancora primordiali, nella barbarie neoliberale si sono aperte delle crepe nelle quali hanno messo radici e stanno crescendo le vite pulsanti della città: hanno forse paura di non poterle più tagliare o confinare?
2. Lo spauracchio della violenza di piazza dura il tempo di un telegiornale e questo forse spiega l’accanimento mediatico. Se escludiamo i sinistroidi professori della protesta educata e intelligente, chi vive la città non è più attratto dal dibattito ideologico violenza-non violenza. La rabbia che si esprime in sassi e petardi esprime molta più legittimità e dignità dei rifiuti tossici interrati nelle nostre terre, nelle file ai pronto soccorso, negli tagli al welfare e negli scandali che periodicamente vedono coinvolti la presunta classe dirigente e politica del paese. Fa sorridere che in questa settimana mentre i giornali continuavano a dare fiato a Salvini contro “i centri sociali”, in città rimbalzava l’eco di un’ennesima gigantesca inchiesta (69 le ordinanze cautelari eseguite) per appalti truccati e concussione di decine di professionisti che in giacca e cravatta avrebbero lucrato sulle nostre teste nel corso degli ultimi anni.
3. Lo stato di salute dell’informazione in questo paese è evidentemente ai minimi storici, al pari della credibilità delle istituzioni politiche. In questi giorni abbiamo incontrato centinaia di persone che ridevano della narrazione mediatica, cercavano disperatamente nei video e nelle immagini quei contenuti che hanno riempito i titoli delle testate. La rincorsa del click e il servilismo nei confronti dei capi-bastione (tutte brave persone, a partire dal nostro aficionado Caltagirone per “Il Mattino”) hanno sostituito non solo una qualsivoglia etica, ma il fondamento stesso della loro funzione informativa. Nel paese che passa dal “Je suis Charlie” a “sti pezzi di merda scherzano sul terremoto” nel tempo necessario ad un cambio di calendario, non c’è d’altronde da stupirsi. Segnaliamo, giusto per dare misura a tutti di quanto raccontiamo, che mentre si evocava la buon anima di Voltaire, non c’è stato un giornalista che abbia osato darci parola ed invitarci a discutere in pubblico. Anche questo è senza precedenti.
Che ci sia qualcosa che fa tremare enormemente i poteri di questo paese è fuor di dubbio. E la scomposizione interna al Pd ha probabilmente influito molto nell’articolazione di una nuova alleanza con la Lega. In linea con la tendenza europea, si configura una destra che fa di tutto per cavalcare il malessere sociale, ma che nei fatti è la stampella di quelle stesse politiche che finge di contestare: nazionalismo e neoliberalismo sono due facce della stessa medaglia, due modi di mettere la politica al servizio dei poteri forti, delle banche, dei gruppi finanziari, dei signori della guerra e degli speculatori. Possiamo dire, in ultima analisi, che la reazione autoritaria del governo e l’imposizione di Minniti, esprimano la volontà di un sistema di proteggere se stesso dalle istanze sociali e dalle critiche, anche a costo di mostrare il volto più brutale e reazionario della democrazia. La difesa di Salvini da parte del governo rappresenta nient’altro che la difesa di un “sistema” di cui il Pd stesso è attualmente il cardine. Una strategia che spingerà ulteriormente l’ Unione Europea nella barbarie della precarietà e della disuguaglianza, del razzismo e della devastazione ambientale.
Non sappiamo quanto è lunga la gittata dell’attacco che stiamo ricevendo, ma sappiamo cosa abbiamo alle nostre spalle. La ricchezza di una città una che ha deciso di non arrendersi alla brutalità, che ogni giorno lotta per un mondo migliore. Una città che si è svegliata dal torpore e che ha visto in questa primavera di rinnovata freschezza migliaia e migliaia di donne, uomini e bambini scendere prima nelle strade a più riprese: nei giorni del carnevale per raccontare le proprie esperienze di autorganizzazione, durante il primo marzo e nello sciopero globale delle donne dell’otto marzo, per denunciare con forza il razzismo delle politiche di Stato, la brutalità della violenza sulle donne e delle discriminazioni di genere, rispedendo al mittente la retorica dell’ultimo fascista ‘itagliano’.
Oltre tutta questa brutalità e da questa semplicità che ripartiamo. Per chi sentisse un sussulto di dignità e la voglia di conoscerla e raccontarla, sincronizzi una sveglia per il 25 aprile.
Lab. Pol. Zero81
Lab. Pol. Iskra,
Mensa Occupata,
Centro Autogestito Piperno 80126,
Bancarotta 2.0,
Rete Scacco Matto