Lo stato di salute della sanità – Intervista a Chiara Rivetti
A poco meno di tre anni dall’inizio della pandemia di Covid19 abbiamo posto alcune domande a Chiara Rivetti di Anaao Piemonte sulla condizione della sanità nel nostro paese.
Proviamo a fare un po’ il punto: dopo la fine delle fasi più acute della pandemia quali fenomeni si riscontrano all’interno della sanità pubblica ospedaliera?
La speranza di tutti i lavoratori della sanità durante il Covid è stata che finalmente l’ attenzione dell’opinione pubblica e le scelte politiche si concentrassero sui problemi della sanità. Questo perché il taglio dei posti letto, le mancate assunzioni, l’utilizzo dei medici a gettone e la deriva privatistica erano tutti argomenti che noi denunciavamo almeno da 7- 8 anni . Il covid aveva finalmente messo la sanità al centro dell’attenzione di tutti: era il momento di investire in un bene comune preziosissimo. Invece, è successo l’opposto. Gli investimenti sono aumentati solo transitoriamente e sono serviti a gestire l’ emergenza covid, null’altro di strutturale. Gli organici sono stati aumentati in modo transitorio e il ricorso ai medici delle cooperative è non è mai stato così determinante come oggi, numericamente e per poter tenere aperti i servizi. I posti letto continuano ad essere solo millantati, e non aumentati davvero: la regione Piemonte, per esempio, dichiara all’ AGENAS 628 pl di rianimazione, quando effettivamente se ne contano un massimo di 413. Gli altri sono teorici e si ricaverebbero dalle sale operatorie, sospendendo gli interventi. Ma il taglio dei posti letto ha colpito tutt’Italia e dura da anni: dal 2010 al 2020 sono stati tagliati 30.492 posti letto per acuti , con una riduzione del 19%. Negli stessi anni, la popolazione è progressivamente invecchiata, l’incidenza dei malati cronici polipatologici è aumenta e quindi , nonostante gli accessi in PS stiano diminuendo, i malati che hanno necessità di ricovero aumentano sempre più. Rispetto al personale, se è vero che è difficile assumere proprio per carenza di medici specialisti , d’altrocanto non si fa nulla per rendere più attrattivo il lavoro e almeno evitare le fughe dei dipendenti che già ci sono.
Le condizioni di vita e di lavoro di chi opera all’interno del settore della cura sono tornate alla normalità?
No , sono peggiorate. Un po’ certamente c’era tra i sanitari l’ aspettativa che dopo le prime ondate pandemiche si investisse di più sui lavoratori. Che quindi i clinici fossero maggiormente coinvolti nelle scelte organizzative, che fosse valorizzata la loro professionalità, investito nella loro formazione. Invece , i medici continuano ed essere utilizzati come pedine. Per l’ azienda è sufficiente che il turno sia coperto, è sufficiente fornire prestazioni , non si investe nella qualità delle stesse, che è inevitabilmente legata alla soddisfazione dei lavoratori. Il carico di lavoro burocratico è elevato, frustrante e demotivate. I medici vorrebbero visitare e avere un dialogo con i pazienti, condividere le scelte diagnostico-terapeutiche e questo spesso non è possibile per mancanza di tempo. La delusione prevale, e i medici se ne vanno: nel 2021 ben 2886 medici ospedalieri, il 39% in più rispetto al 2020 ha deciso di lasciare gli ospedali del SSN e proseguire la propria attività professionale altrove.
Quale è l’atteggiamento del nuovo governo nei confronti della sanità pubblica?
La sanità è stata completamente dimenticata dal programma di governo e dalla legge finanziaria. Il governo sembra ignorare il dramma delle liste d’attesa, che da un lato obbliga i pazienti con maggiori problemi economici a rinunciare a curarsi, dall’ altra devia sul privato. L’Istat ci dice che nel 2021 un paziente su 10 ha rinunciato alle cure, per problemi economici o difficoltà di accesso, con una quota doppia nel mezzogiorno rispetto al Nord. Nel 2019 era il 6,3%. I dati sul ricorso alla sanità privata, per evitare le lunghe liste d’attesa, sono parziali, ma la nostra esperienza quotidiana ci indica che, escludendo gli interventi chirurgici che sono molto costosi , il resto del privato è pressochè raddoppiato. Vale a nostro avviso il concetto, oramai famoso, espresso da Noam Chomsky : “Questa è la tecnica standard per la privatizzazione: togli i fondi, assicurati che le cose non funzionino, fai arrabbiare la gente, e lo consegnerai al capitale privato. Se il privato puro compromette l’universalismo e l’equità del sistema, a nostro avviso la deriva privatistica è preoccupante anche nell’ accreditato, perché rischia di puntare alla quantità e non alla qualità , perché non è prevista la presa in carico del paziente, perché c’è interesse a fornire le prestazioni con maggiore margine di guadagno. E perché il privato, convenzionato o no, non è interessato a fare prevenzione. La prevenzione, degli stili di vita, dei rischi ambientali o dei luoghi di lavoro, interessa solo ad un sistema pubblico. Nessun privato ci chiederà mai che acqua beviamo, che aria respiriamo, cosa mangiamo o se il nostro lavoro è un lavoro sicuro.
Durante le fasi acute della pandemia abbiamo sentito molti “mea culpa” da parte della classe politica e molte promesse di investimento. Ad oggi anche i pochi progetti emersi da questa riflessione, come le “case di comunità” sembrano star fallendo o finendo nel dimenticatoio. Qual’è il problema?
Le case di comunità rischiano di essere un bel investimento edilizio. Rischiamo di investire i finanziamenti del PNRR per ristrutturare delle scatole vuote, dove fuori si cambierà semplicemente la targa, da poliambulatorio a casa di comunità . Ma nulla cambierà dentro. Perché mancano sia i soldi che il progetto, per riempire le case di comunità di personale. E se finisse così sarebbe un vero peccato. Poiché perché negli anni si sono create asl sempre più grandi, sempre più estese e lontane dai bisogni delle persone, ed invece bisogna tornare vicino e in mezzo ai bisogni, con luoghi che possano essere visti davvero come una “ casa “ per le piccole comunità . Luoghi dove medici di famiglia, infermieri, specialisti, assistenti sociali, fisiatri e tutte le figure sanitarie possano prendersi cura della popolazione, H24. Sulla carta, il progetto delle case di comunità è un progetto fantastico, che richiede ogni sforzo per essere realizzato.
Qual’è il clima tra chi lavora all’interno dei reparti? Avete assistito a dei cambiamenti nei rapporti tra operatori sanitari e pazienti negli ultimi tempi ?
Negli ultimi anni e’ certamente peggiorato sia il clima interno che il rapporto con i pazienti. Lo stress lavorativo induce insofferenza e l’armonia delle equipe è certamente compromessa: non sono rari casi di tensioni tra colleghi, con episodi di discriminazione di genere in aumento. Sono, per esempio, in aumento le ostilità verso le colleghe che si assentano per maternità: purtroppo la loro assenza non è sostituita e quindi ricade sui colleghi, con incremento del carico di lavoro. Sono aumentati i provvedimenti disciplinari delle direzioni nei confronti dei sanitari, in alcuni casi utilizzati per intimidirli. Ma purtroppo sono anche in aumento gli episodi di violenza verso i sanitari, soprattutto nei Pronto Soccorso, dove i pazienti estenuati per le lunghe attese hanno in alcuni casi aggredito i lavoratori . Per arginare questi episodi, il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha proposto di istituire presidi di polizia nei principali ospedali delle grandi città. Questo tipo di soluzione testimonia il totale fallimento del rapporto medico-paziente, che dovrebbe basarsi su un legame di collaborazione e di reciproco accordo. Medici, infermieri e pazienti dovrebbero allearsi per chiedere con urgenza la soluzione dei gravi problemi della sanità italiana: dovremmo unirci per chiedere una soluzione alle liste d’attesa, alle vergognosi giornate in barella aspettando un posto letto, all’assenza di presa in carico sul territorio. Se risolvessimo questi problemi , non sarebbero di certo necessarie le guardie armate per difendere i medici dai loro pazienti . Ma evidentemente, per la politica è più semplice reprimere che aprire un confronto e migliorare i servizi.
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