Piemonte: il “sistema Chiamparino” va a casa, i 5stelle smaterializzati
Se il risultato del voto in Piemonte è univoco, altrettanto non lo sono le interpretazioni. La Lega vince e stravince quasi ovunque, salvo a Torino, dove comunque raggiunge cifre molto significative e in Val Susa dove non sfonda.
Il risultato era sufficientemente scontato per chiunque non si facesse assorbire dalla bolla mediatica montata dai giornali. La scelta del Pd di ricandidare Chiamparino e quella di Chiamparino di centrare la campagna elettorale interamente sul TAV avevano il sapore di suicidio politico già da subito. Mentre lo stato della regione per quanto riguarda sanità, abitare e occupazione è a livelli disastrosi, Chiampa ha tentato la mossa tutta politicista di eterodirigere un movimento civico che, dietro il volto delle madamine, lucidasse i pomelli del Partito Democratico. Tutto lavoro utile per la concorrenza, che senza doversi impegnare più di tanto o esporsi significativamente ha potuto godere anche di questo slittamento di consenso.
L’idea del Chiampa di agitare il modello TAV come quello adatto a un rilancio del Piemonte ha toccato il cuore solo di quelli già convinti di votarlo, ma invece ha tagliato fuori chiunque direttamente o indirettamente ha vissuto i rovesci di quel modello, dai disinvestimenti nelle periferie e nelle provincie alle grandi cattedrali nel deserto torinesi. Dunque il PD vince di misura solo a Torino, anzi solo in centro a Torino e in un paio di quartieri ormai residenziali nella periferia Sud. Solo i pochi che hanno goduto di qualche vantaggio di questo modello di sviluppo riconfermano la propria fiducia, tutti gli altri vogliono solo che Chiamparino molli la sua poltrona.
Il problema è che non siamo nel 2016 e i Cinque Stelle sono già stati messi alla prova, sia sul governo della città, sia sul piano nazionale con effetti a dir poco sconfortanti. In Piemonte, curatori fallimentari della disastrosa gestione centro destra e centro sinistra degli scorsi decenni, hanno dimostrato di essere guidati da una sola stella polare: garantire il pagamento degli interessi dell’ingente debito cittadine alle banche. È il cosiddetto “consolidamento dei conti”, unica azione politica tangibile della sindaca, che si è concretizzata in tagli ai servizi, razionalizzazioni, concessioni di aree comunali ai giganti della grande distribuzione organizzata. C’è poco da fare, i voti che dal PD erano transitati ai 5 stelle nelle periferie di Torino adesso finiscono dritti dritti nella pancia della Lega, in alcuni casi nelle province saltano anche il passaggio intermedio.
Le mutande verdi di Cota sono un ricordo archiviato ormai. Salvini, sornione, nel celebrare la vittoria attribuisce il voto a una presunta convinzione SI TAV dell’elettorato, prendendosi oltre che la poltrona anche lo scalpo di Sergio, ma sa bene che non è così. Anche perché d’altronde non è certo il SI al supertreno, assolutamente trasversale tra i politici a palazzo, che può spiegare la differenza del voto tra coalizione di centro destra e di centro sinistra.
A combinarsi è piuttosto una volontà di venire prima degli altri nell’assegnazione di risorse sempre più scarse assieme all’aspettativa, in alcuni settori, della riapertura di una fase di crescita e sfruttamento del territorio. E così Cirio, candidato di per sé abbastanza insipido della coalizione di centrodestra, si trova tutto il lavoro già fatto dagli avversari. Basta non esporsi troppo e lasciare che sia sul piano nazionale lo svolgimento della campagna elettorale.
Nuove tornate di privatizzazioni sono alle porte, nuova disuguaglianza e impoverimento. Starà a noi non cementare un muro di contrapposizione e agire una proposta di riscatto collettivo che dobbiamo elaborare, all’altezza dei tempi. Neanche la Lega, come prima i 5stelle e prima ancora il PD sarà la risposta ai bisogni proletari aggravati dalla crisi. Dire di voler fermare la guerra tra poveri non basta se non si fa la guerra ai ricchi.
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