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Pisapia e i ritornanti

I prodromi li abbiamo visti nel sorriso di D’Alema nelle prime interviste post-voto, come negli immediati appelli dei sindaci Merola e Zedda per un nuovo cantiere del centro-sinistra da costruire nei mesi a venire. Oggi, con l’intervista dell’ex sindaco arancione Pisapia a la Repubblica e il suo appello alla costruzione del Campo Progressista, vediamo la definitiva emersione del tentativo di soggetti trombati dalla storia e/o dal Parlamento di rifarsi una verginità.

L’obiettivo è quello di unificare lo spazio a sinistra di Renzi, fatto di “associazioni, liste, pezzi di Sel e di Si”. Per poi sedersi di fronte al ducetto fiorentino e proporgli un’alleanza in chiave elettorale che depuri definitivamente il Pd dall’abbraccio con gli Alfano e i Verdini. Il movente è la necessità di rioccupare posti di potere, il metodo è quello di offrire una stampella a Renzi, fino a ieri tanto dileggiato nel confronto pubblico verso il referendum.

La nuova stampella del centro-sinistra fornirebbe al PD (con o senza Renzi) un sostegno che allo stesso tempo è un cappio, riuscendo a riprendersi le poltrone e il potere che Matteuccio voleva tenersi tutto per sé.

Va da sé che l’operazione annunciata da Pisapia non ha alcun carattere davvero progressista, né è promotrice del cambiamento tanto sbandierato: le personalità che dovrebbero farne parte o appoggiarla da dentro il Pd (Bersani, D’Alema solo per dirne un paio) sono assolutamente in linea con le politiche promosse dal governo Renzi, come hanno dimostrato negli scorsi mesi non creando nessun reale pericolo all’approvazione di JobsAct, Piano Casa, SbloccaItalia, BuonaScuola.

Del resto questi “ritornanti” un certo tipo di politiche hanno contribuito in passato a forgiarle, con i governi Prodi e il loro accucciarsi alle politiche della Ue e delle istituzioni finanziarie transnazionali che hanno causato e causano quella stessa diseguaglianza sociale e quella stessa rabbia diffusa alle origini della vittoria del No.

Il discorso di Pisapia è riproporre con un maquillage un po’ più leftist l’esperienza del centro-sinistra, quello dei bombardamenti in Jugoslavia, della Turco-Napolitano, delle lenzuolate di liberalizzazioni e privatizzazioni, della fede assoluta nell’Unione Europea. Il progressismo è solamente un gioco semantico, al tempo in cui la “sinistra”, più o meno radicale, che aspira al Parlamento altro non è che strumento prono alla cristallizzazione dei rapporti attuali di sfruttamento.

La spinta a farlo è la possibilità di inserirsi in quello spazio dove domina la paura (che ha giocato un grosso ruolo nel 40% dei Sì, checchè ne dica Renzi) di un trionfo di Salvini e Grillo alle prossime elezioni, molto diffusa nell’elettorato che ha abbandonato il Pd negli ultimi anni di iper-centrismo. Si potrebbe rilegittimarsi e contemporaneamente riassaporare il gusto della poltrona. Ma le politiche sociali di questi nuovi alfieri del centro-sinistra le conosciamo bene…

Le abbiamo viste benissimo all’opera a Milano della “grande opportunità” di Expo!, oppure, sempre nella Milano “arancione”, soprattutto in relazione al diritto alla casa per le fasce popolari, e nessuno dica che la colpa delle ondate di sgomberi agite sotto il Duomo fosse solamente di Maroni alla contemporanea guida della Regione. Le abbiamo viste agire allo stesso modo in questi anni a Bologna, dove il Pd di Merola ha completamente abdicato alla Questura su qualunque tema di ordine sociale, derubricandolo nei fatti a questione di ordine pubblico. Le abbiamo viste nelle risate di Vendola al telefono e nelle relazioni dello stesso leader di Sel con i padroni dell’Ilva.

E’ questo il campo valoriale del nuovo campo progressista? A noi pare di sì, come ci pare evidente che l’unica divergenza con il boy-scout dimissionario fosse su chi tira o meno i fili di politiche poi non tanto differenti…

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