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Rage against covid

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Per continuare il dibattito su quanto sta succedendo in questi giorni in molte piazze d’Italia riprendiamo l’editoriale di Brigate Volontarie per l’emergenza, la rete di squadre volontarie che a Milano si muove dall’inizio della pandemia per supportare la popolazione in difficoltà.

In questi giorni stiamo assistendo al solito, insopportabile circo mediatico che mistifica la rabbia sociale accesasi a fiammate, da nord a sud, nelle città e in provincia, dopo l’entrata in vigore del nuovo DPCM. Per esorcizzare lo spettro della rivolta, la canea si sofferma morbosamente su folk devils e trame oscure cercando di screditare la legittimità della protesta. La camorra, gli ultras, i fascisti, i centri sociali, le seconde generazioni, la gioventù nichilista. Ok.

Non siamo qui per sbandierare grandi verità sociologiche sulle tante piazze che stanno spuntando con risultati più o meno significativi. Quel che ci interessa, più pragmaticamente, è provare a capirci qualcosa di più rispetto al loro significato per provare ad agire consapevolmente in questo contesto. Guardare e giudicare da lontano non è un atteggiamento che ci appartiene. Un certo Antonio Gramsci scriveva che “trascurare e peggio disprezzare i movimenti cosiddetti spontanei può avere spesso conseguenze molto gravi e serie”.

Il dato che dalla confusione emerge con chiarezza è un popolo stanco e insofferente, ridotto quasi allo stremo dall’incedere della pandemia e profondamente frustrato delle mancanze governative in relazione alla tutela della salute, al welfare e le politiche sociali. I moti contro il DPCM, partecipati da una composizione spuria e spesso contraddittoria, esprimono un malessere diffuso e trasversale, che anche durante le nostre attività sui territori percepiamo in rapida espansione. Ci azzardiamo a ipotizzare che ciò che si è visto in strada sia solo la punta di un enorme iceberg di malcontento popolare. Il patto sociale tra cittadini e istituzioni non gode neanch’esso di buona salute, la fiducia nello Stato diminuisce a mano a mano che si manifesta il suo fallimento nel proteggere la popolazione.

Il nuovo decreto chiude tutte le attività sociali ricreative mentre impone al popolo il martirio programmato in nome della produzione economica. Produci consuma (online) crepa, wow. La traslazione della responsabilità dal governo all’individuo fa sì che chiunque, nel tempo libero, diventi un untore che invece, nel tempo di lavoro, deve responsabilmente continuare ad essere ingranaggio della macchina produttiva. Per mantenere questo ordine, a molti governanti non rest che comportarsi alla stregua di sceriffi e, a suon di ordinanze e per mano della polizia, prendono prepotentemente il controllo delle nostre vite, mistificando e reprimendo la legittima rabbia contro il covid.

La terminologia che collega rabbia e covid non è casuale. Sprigionare energie contro il covid, contro questo orribile fatto sociale totale che è la pandemia, è il paradigma primario in questa seconda ondata di contagi. Reagire reagire reagire. Del resto, non paiono esserci molti altri modi per cambiare le cose – o anche solo qualcosa – se non mettendosi in gioco in prima persona, unendo le forze in un noi, diventando popolo che afferma una e molteplici volontà. Si tratta, da un lato, di svelare l’ipocrisia delle norme di sicurezza imposte, votate a preservare la salute dei profitti dei grandi gruppi economici sacrificando la vita sociale della gente comune. Dall’altro, di pretendere sostegno economico incondizionato e investimenti massicci nella salute pubblica, per tutti e tutte e per tutto il tempo che sarà necessario. Queste istanze già ribollono nel magma confuso delle proteste. Ci auspichiamo che possano diventare dei claim di massa.

Lottare contro il virus significa dunque lottare contro la gestione dell’emergenza, contro questa specifica gestione che mira a disciplinarci affinché tutto possa restare com’è. Badate bene, molte delle precauzioni sanitarie sono imprescindibili e con queste dovremmo convivere per molto tempo, fino a quando la pandemia non sarà superata. Non ci stancheremo mai di ripeterlo: ci sono misure necessarie per proteggere noi stessi e le persone più fragili, rispettiamole. Detto ciò, è inaccettabile che a fare sacrifici sia sempre e soltanto la gente comune. “La crisi la paghino i ricchi”, abbiamo letto su degli striscioni qua e là. Ci sembra davvero un ottimo programma minimo, che sbloccherebbe immediatamente le risorse necessarie per affrontare al meglio questo stanco tempo pandemico. Del resto è una semplice questione di giustizia sociale: non si può chiedere tanto a chi a poco e poco a chi ha tanto. Si trovi il coraggio per mettere le mani dove i soldi non mancano.

Combattere perché il profitto resti un privilegio da mantenere è in totale antitesi con ciò che siamo e costruiamo.

Combattere per dichiarare la presunta inesistenza del virus è un inganno fatale.

Combattere tollerando gli intolleranti non dovrebbe nemmeno essere preso in considerazione.

Combattere la paura, costruire anticorpi ed essere motore di rivolta consapevole è la strada che vorremmo percorre, assieme a tanti altri.

Sono stati spesi fiumi di parole su come attraversare questi tempi, a noi piace credere e praticare svariate modalità di lotta intersezionale. La materialità di ciò possiamo fare ogni giorno per sfogare la nostra straripante rabbia è cruciale per trasformare il presente.

Accogliere la rabbia, condividerla e non lasciarla agli speculatori del caso. Trasformaci insieme ad essa perché, che a qualcuno piaccia o no, siamo parte di quella stessa rabbia.

Ci saranno altre piazze, ci saranno altri momenti e ci saranno ancora molte altre persone che dimostreranno di non avere più voglia di ammalarsi per colpa del sistema, di covid o di miseria. Questo è semplicemente il dato che vogliamo cogliere per ribadire, ancora una volta, che solo il popolo può salvare il popolo, cantando a squarciagola “rage against covid”.

Brigate Volontarie per l’Emergenza, 30 ottobre 2020

 

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