Riders, Di Maio e l’abbassamento del costo del lavoro: spunti
Ieri, si è svolto l’incontro al Ministero del lavoro, in via Flavia, che ha segnato un’altra tappa della vertenza dei Riders sollevata subito dopo l’insediamento del Governo.
Questa vicenda ha in parte dell’incredibile per il livello di attenzione che è stato dedicato dai media. I fattorini della micro-logistica urbana hanno sollevato la questione sicurezza, tutele e contratto già da diverso tempo a partire proprio da una subordinazione lavorativa vissuta a tutti gli effetti e non riconosciuta.Il Ministro Di Maio ha preso in considerazione la lotta autorganizzata dei lavoratori del food delivery come emblema della precarietà da cui partire per portare avanti una serie di leggi, in primis il decreto dignità, che possa superare il jobs act e come ha sostenuto in conferenza stampa l’ipocrisia di 1milione di occupati in più rispetto agli anni precedenti ma che di fatto sono interamente precari. Il ministro ha aperto il tavolo delle trattative dove erano presenti i rappresentanti dei riders autorganizzati, i sindacati confederali nelle persone di Furlan, Baragallo e Camusso e le aziende piccole e multinazionali, nonché i rappresentanti del Governo guidati dal Ministro del lavoro. Il confronto è durato all’incirca tre ore e nonostante il “dialogo” l’impressione è che la battaglia sarà lunga perché a differenza delle dichiarazioni date alla stampa nessuno è d’accordo. Le aziende, infatti, come sono abituate a fare per raggiungere record di profitti, si lamentano dell’elevato costo del lavoro del mercato italiano, Confindustria propone di ritornare ai voucher, la Uil ai co.co.co. Un disastro insomma. Il ministro riconvocherà il tavolo nelle prossime settimane con due possibili obiettivi: o inserire i riders nel decreto dignità entro 60 giorni, oppure raggiungere un accordo attraverso la contrattazione collettiva dando vita ad un ccnl dei riders o inserendo gli stessi nel ccnl dei trasporti o della logistica. Quest’ultima opzione sembra essere quella auspicata da tutti compresi i riders ma a differenza loro, tutti gli altri hanno in mente un punto ben preciso che rende palese l’incompatibilità di chi lavora: la solita solfa di tenere le aziende in Italia e di aiutarle ad abbassare il costo del lavoro. “Sir Di Maio – verrebbe da dire – le forme di precarietà che lei tenta di superare sono le stesse che hanno garantito l’abbassamento del costo del lavoro che tanto richiedono le aziende”. Allora proviamo a fare un esercizio utile a tutti. Proviamo a smontare pezzo dopo pezzo l’assurda immagine che vede tutte le parti sociali, in fondo, voler raggiungere lo stesso obiettivo, quello di migliorare le condizioni di lavoro dei poveri riders.
Governo. Come già abbiamo accennato il governo sta prendendo in considerazione i lavoratori del food delivery per farne il suo cavallo di battaglia contro la precarietà. Ma cos’è la precarietà? Di Maio sostiene che è un concetto vecchio che lo Stato da lui personificato deve definire. Deve dire cos’è lavoro e cos’è sfruttamento. La precarietà serve ad aumentare le ore di lavoro e a pagarle di meno e la tecnologia, in questo caso, serve a governarne il processo. Per abbassare il costo del lavoro sono state intraprese diverse strade nella storia del capitalismo una può essere semplicemente abbassare i salari, l’altra quella di aumentare le ore di lavoro, l’altra ancora mixata alle prime due che va per la maggiore dagli anni ’90, è quella di regalare soldi dei contribuenti, i nostri, alle aziende sotto forma di incentivi. Di Maio e il suo entourage di Professori della facoltà di economia di Roma Tre, vuole fare proprio questo. Vorrebbe inserire gli sgravi fiscali superate un certo tot di ore lavorate. Il ricatto è il seguente: noi aziende portiamo occupazione anche non precario se ci tenete troppo, ma il prezzo della non precarietà presunta e della subordinazione lo paga lo Stato. Se il cruccio del governo Renzi era quello di far crescere i numeri sull’occupazione dell’Istat quella di Di Maio è uguale identico. Per questo motivo se ad un primo step si vuole strappare la subordinazione al secondo è indispensabile mettere in discussione la subordinazione stessa. I lavoratori della logistica inseriti nel ccnl muovono battaglie da anni su questo tema perché il sistema delle cooperative, degli appalti e dei subappalti e dello sfruttamento dei lavoratori immigrati risiede proprio in quel ccnl. Provare a guardare sul lungo periodo della battaglia dei riders che hanno portato lo slogan al ministero “Non per noi ma per tutt*” vuol dire proprio mantenere questo tipo di lucidità.
Mediazione. La mediazione del Governo nel conflitto tra i riders e le aziende va capito e inquadrato per poter meglio capire gli obiettivi inevitabilmente differenti delle forze in campo. I riders devono costruire quei rapporti di forza necessari per strappare delle vittorie. La mediazione del governo e anche qui nessuna novità, inserisce quell’aspetto morale di interesse nazionale che si chiede a tutti di rispettare. Un interesse che il Governo in questo momento veicola bene, non c’è che dire, attraverso il concetto “superiamo la precarietà” ma le forze in campo non sono neutre e non è una questione di “rispettare le regole” e di “sovranità e dignità nazionale” che ripudiamo a prescindere, ma è una questione di classe. Da un lato l’abbassamento del costo del lavoro per i profitti delle imprese, dall’altro gli sfruttati, lavoratori e non, del paese. Un’altra tattica 5stelle utile alla mediazione, ben riuscita non c’è che dire agli occhi dell’opinione pubblica, è quella di dare spazio ai lavoratori autorganizzati in un’ottica antisindacale che va agita e non subita. Bisognerebbe far sentire tutto il peso del rischio che si stanno prendendo sottovalutando la controparte. Perché i riders, sotto l’aspetto velato della partecipazione e dello spazio concesso, sono una controparte del governo se l’obiettivo dichiarato è quello di far star comode le aziende dell’industria 4.0. Ci sembrano, infatti, utili a questo proposito le mobilitazioni che ci sono state negli ultimi giorni a Torino a ridosso del tavolo di Roma.
Sindacati confederali. Questi nonostante l’inimicizia importante che gli si dimostra da sempre sono parte del problema come si è specificato in diverse occasioni ma non per partito preso. Per mantenere nel tempo la loro sopravvivenza come organizzazioni hanno firmato qualsiasi cosa in cambio anche loro di occupazione per i loro iscritti e per il consenso. L’occupazione di fronte alla delocalizzazione prima e alla crisi dopo che ha visto la chiusura di centinaia di imprese è diventata il veicolo per lo scambio politico nel mercato del lavoro. Il sindacato confederale è diventato un’agenzia interinale. Hanno firmato qualsiasi accordo che garantisse questa occupazione ottenendo non solo che si diffondesse la precarietà ma ottenendo che i lavoratori fossero supini nell’accettare qualsiasi condizione pure di mantenere un briciolo di occupazione. La vicenda Almaviva è una delle più recenti ma se ne potrebbero nominare a volontà. Far sentire il peso delle scelte prese e farne pagare un prezzo non è una questione di principio ma è necessaria a definire la parte entro cui stiamo.
Sarebbe opportuno restituire analisi a quello che il mercato del lavoro è oggi anche se come parzialità nel panorama della complessità capitalistica odierna. Nel nostro paese e non solo, il capitale si è ristrutturato basando la propria accumulazione sulla precarietà di alcuni soggetti per lo più giovani, donne e immigrati/emigrati che sono stati esclusi da una certa centralità. E’ il capitale che ne ha determinato l’inclusione facendo diventare centrali nel mercato del lavoro le soggettività subalterne invece che le lotte per la loro liberazione dallo sfruttamento. Come rimane importante ridefinire i termini di sviluppo e sottosviluppo a livello internazionale, nazionale e nelle aree urbane non per definire la loro gerarchia ma per definirne la loro interdipendenza. Ci piace immaginare, quindi, che si inneschi un dibattitto proficuo su questi temi nelle lotte e per le lotte continuando a dare spazio alle battaglie e alle vertenze presenti e future che chiariscono inevitabilmente i termini della discussione.
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